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SEBEROS DE IMPRENTA

18.09.2007
Giulio Angioni: la letteratura che rappresenta meglio la Sardegna è quella in italiano 

LA NUOVA SARDEGNA - Cultura e istruzione : La Nouvelle Vague sarda 18.09.2007

di Giulio Angioni In occasione del Premio Dessì ho partecipato a una tavola rotonda dove si ragionava di nouvelle vague della letteratura sarda. Lo chiamano il «secolo breve», ma il Novecento, per chi l’ha vissuto in luoghi come la Sardegna, è lungo e largo ed è mondiale, non foss’altro che per le due guerre che si dicono mondiali, ma anche per la letteratura, a prendere le misure da Grazia Deledda per arrivare a Salvatore Satta, due nuoresi mondiali tanto quanto i due campidanesi mondiali Giuseppe Dessì e Emilio Lussu, mentre il millennio si chiude sul nuovo con una quantità di scrittori sardi di rinomanza anche internazionale non certo trascurabile, da Giorgio Todde a Salvatore Niffoi, da Milena Agus a Marcello Fois, a Salvatore Mannuzzu per finire magari con il meritevole vincitore dell’ultimo premio Dessì, Alessandro De Roma. Nessuno a Villacidro ha negato l’importanza di questa nouvelle vague sarda. Qualcuno ha fatto distinzioni drastiche, soprattutto nel nome e nel ricordo di Sergio Atzeni. Se fossi costretto a porre un terminus a quo per inquadrare nel tempo quella che a me pare una novità novecentesca per lo meno quantitativa, per quanto riguarda l’importanza e la popolarità della narrativa in Sardegna, forse indicherei il 1975, con Padre padrone di Gavino Ledda, che termina il vecchio atteggiamento degli scrittori sardi che offrono l’esotico che ci si aspetta da un sardo che racconta la Sardegna. Probabilmente non è una novità solo quantitativa, rispetto al passato, nonostante che la letteratura, più precisamente la narrativa, in Italia e quindi anche in Sardegna, non sia mai stata davvero popolare. Anche in Sardegna c’era e c’è una grande tradizione poetica colta, in sardo e in altre lingue, con ottimi autori e punte eccelse come Benvenuto Lobina e Antoninu Mura Ena. Nel Novecento comunque è la prosa in italiano, la narrativa, la forma letteraria colta più notevole, mentre si inaugura una produzione di narrativa in sardo negli ultimi anni. Nel Novecento è accaduto da noi ciò che altrove accadeva o era già accaduto da circa un secolo e mezzo a questa parte. Né qui né altrove mancano i poeti, ma qui come altrove sono più numerosi i narratori che acquisiscono lettori e rinomanza. Insomma, anche in Sardegna il romanzo è diventato la forma d’arte linguistica più importante, in ambito colto e semicolto. E anche da noi la questione delle lingue ha oscurato altri dilemmi del nostro tempo e del nostro futuro e facendo trascurare polemiche forse più necessarie, mentre proprio l’ultimo quarto del secolo produceva la stagione più fertile della letteratura sarda in italiano, con nomi che ciascuno può fare, di morti, di vecchi e di giovani narratori e anche di poeti in sardo, in italiano e in duas limbas. Com’è giusto, anche in Sardegna si ripone l’ovvia e allarmata questione di che utilità sia oggi e qui l’esercizio di mestieri e competenze come quelle che diciamo culturali, intellettuali, dello spirito, della memoria accumulata in biblioteche e musei e simili luoghi di conservazione e fruizione della memoria oggettivata documenti. Ed ecco interpellati i variegati mondi della scuola, dell’editoria, della politica culturale, dell’informazione, delle arti, e messi davanti alle proprie responsabilità di contribuire a capire presente e passato e a progettare il futuro. E chi semplifica si chiede di che utilità sia oggi un grecista, un musicista, un archeologo, un urbanista, un cineasta, un assessore alla cultura, un filologo romanzo, uno scrittore... Abbiamo risposte da almeno duemila e cinquecento anni, in queste terre mediterranee. Eppure il bisogno di senso e di prospettiva si rifà sentire concitato. Così oggi la letteratura sarda sembra aiutare a riprenderci dalla vertigine di essere sopravvissuti al Novecento e al millennio: col ricordo pietoso, attento, conscio della opacità del mondo, della varietà e pluralità dei modi di vita e delle cose, magari smorzando l’enfasi con cui fino a poco fa si guardava alle invarianze e ai destini collettivi e si continuava a parlare anche letterariamente di autonomia e di riscatto, magari di «progresso» e di mutevolezza perfettibile dell’uomo, in una Sardegna cambiata in pochi anni come forse non era cambiata nei millenni, nel secolo più tragico e più prospero della nostra storia. Anche qui da noi forse nessun altro mezzo meglio della letteratura ha espresso le specificità e le permanenze, ciò che ci distingue e ciò che ci assimila al resto del mondo. Alla letteratura anche sarda resta questo compito, anche per contribuire a premunirci dai guasti del mutamento, che nel Novecento sono stati guasti del paesaggio in ogni senso, dell’emigrazione e della deruralizzazione con o senza industrializzazione e turismo solemare. Ed è un compito che io vedo svolto in modi diversi dalla maggior parte degli scrittori sardi di oggi, sebbene con diversa fortuna di pubblico e di critica, da Mannuzzu a Fois, da Todde a Soriga, a Nonnis, a Marrocu, a Capitta... Per quanto riguarda i più fortunati del momento, così come non riesco a guardare alla letteratura sarda di oggi senza vedervi l’importanza dell’opera vigorosa di Salvatore Niffoi, così non riesco a non vedervi l’importanza dei più giovani come Milena Agus e Alessandro De Roma, ma vi vedo anche l’importanza del loro essere diversi, tanto quanto l’importanza della loro fortuna di pubblico. Se si può capire il giudizio perplesso o francamente negativo sulle singole opere e sui singoli autori, non ha senso il fastidio per il successo di pubblico e di critica degli scrittori sardi più noti del momento che, si direbbe, tutto il mondo ci invidia. La Sardegna di oggi è anche il successo letterario di Niffoi e della Agus, di Todde e di Fois, irrobustito e supportato da eccellenze consolidate e nuove come quelle di Mannuzzu, di Ledda e di non pochi giovani, sulla solida roccia dei Deledda, Dessì, Satta, Lussu, Atzeni. L’onda c’è, e che sia lunga, magari anche, perché no?, con altre streghe e altri campielli.



  




 

 
 
 

 

 
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