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12/10/2007 
Una sentenza scritta in Sardegna
[de Gianfranco Pintore]

Per una volta, Diariulimba mi consentirà di intervenire in italiano. Il fatto è che mi illudo che, così, potranno leggere e capire anche quegli intellettuali metropolitani che si vantano di non conoscere il sardo, pur non mancando occasione di pontificare sulla Sardegna. E' in oggetto la sentenza che il barone Burries von Hammerstein, giudice di Hannover, ha scritto per diminuire la pena a uno stupratore sardo.

Bisogna tener conto - ha scritto il magistrato tedesco - delle particolari impronte culturali ed etniche dell'imputato: è sardo. Ci sono - come il più dei commentatori hanno detto - ingredienti razzisti in questo giudizio e su questo non ci piove, motivati dalla presa d’atto di una diversità etnica dei sardi rispetto alle altre etnie europee e, in particolare, a quella cui appartiene von Hammerstein.

L’esistenza di queste diversità è cosa scontata per i più e i più la consideriamo una ricchezza, a differenza dai razzisti che, per mestiere, situano le etnie in una scala gerarchica. Parte, la scala, da quelle ritenute culturalmente sviluppate e finisce in quelle, la sarda fra esse, primitive. Fin qui tutto normale: la letteratura razzista è lì a certificare questa prassi.

Il problema è: come i razzisti si fanno idea della qualità di un’etnia? Gen te come Lombroso, Onano e Niceforo hanno verificato le loro teorie abominevoli sul campo: sono andati a misurare crani, studiare comportamenti, esaminare le culture – sub culture, naturalmente, per essi – dei gruppi umani indagati. Altri si fidano dell’immagine di un’etnia quale risulta da letture: giornali, televisioni, saggi, romanzi.

Ed ecco il problema, nostro di sardi e suo del giudice. “Su quali elementi si basa un tale assurdo pregiudizio?” si è chiesto un romanziere sardo, fra i più attivi nel descrivere la Sardegna assecondando le idee sulla Sardegna che fuori dell’isola sono radicate. Io non so come von Hammerstein si è fatto una opinione delle “impronte culturali ed etniche” sarde, ma certo nei romanzi di questo scrittore avrebbe trovato conforto per la sentenza che si accingeva a pronunciare.

Parlando del film dei Taviani “Padre padrone”, nelle due pagine che danno conto della sentenza tedesca, il Corriere della sera di oggi (12 ottobre) dice che “racconta l’educazione, repressiva fino alla violenza, ricevuta dal padre pastore in una Sardegna ancestrale e profonda”. Che cosa può capitare, se non violenza, in un’isola “ancestrale e profonda”? Il film e il libro da cui fu tratto hanno aperto un camino lastricato di opere ideologiche (anche se non solo di queste, per fortuna), proclami contro un passato “ancestrale” e a favore delle maravigliose sorti e progressive dell’integrazione e del rifiuto dell’identità (lingua, cultura, diritto consuetudinario, attaccamento alle tradizioni, e altro) come passaporto per la civiltà.

Giulio Angioni ha recentemente collezionato, e co n entusiasmo, alcuni suoi colleghi scrittori dentro l’etichetta di “nouvelle vague sarda”. Alcuni dei cooptati – mi auguro – si sentiranno a disagio nella compagnia, a cui sono iscritti ad honorem stuoli di giornalisti che da anni, e con impegno, danno la stessa immagine della Sardegna.

Perché, forse, si deve anche alla congrega se il giudice di Hannover ha della etnia sarda l’immagine che risulta dalla sua sentenza.


Gianfranco Pintore


















  




 

 
 
 

 

 
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