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13/03/2007 
Evitiamo la catastrofe della lingua sarda
de Lucio Angelo Porcu

Negli ultimi 10 anni, molti linguisti di fama mondiale hanno lanciato l’allarme per il rischio d’estinzione di moltissimi idiomi (Crystal). Le cifre non sono definite a causa del fatto che non si conosce il numero preciso delle lingue esistenti al mondo. I numeri variano tra le 5000 e le 7000 e fissando la prima cifra come valida si stima che il 30% di esse è a rischio d’estinzione. 
Un indicatore frequente è il basso numero di parlanti, ma non è affidabile perché ci sono alcune lingue in cui la trasmissione avviene regolarmente dai genitori ai figli per cui non è detto che esse siano a rischio. Le lingue parlate solo da persone anziane e che non vengono trasmesse ai bambini della stessa comunità, rischiano di scomparire nel giro di poche generazioni. 

La scomparsa di una lingua è una catastrofe per la cultura mondiale perché si perdono per sempre i tratti di una cultura e la possibilità di studiare come funziona la mente degli esseri umani. Ma non tutti sono d’accordo con il fatto che molte lingue del mondo siano in pericolo per la loro vita stessa. Altri affermano, al contrario, che la morte di una lingua è un fenomeno naturale e in effetti molte lingue sono scomparse nel corso dei millenni per i motivi più disparati. 

Nell’America del sud, per esempio, con l’arrivo dei conquistadores europei molti idiomi sono deceduti insieme a numerosi gruppi etnici. Si pensi al popolo Charrùa che abitava l’attuale Urugay, sterminato interamente dal generale Rivera che nel 1831 li attirò in una trappola mortale. Con loro è morta anche la loro lingua. 

La questione è che oggi assistiamo ad un fenomeno diverso a causa dei mezzi di comunicazione di massa mondiali (che trasmettono nelle lingue più parlate) e del prestigio che lingue come l’inglese hanno nel mondo, per cui nei prossimi 100 anni potremo assistere ad una “catastrofe linguistica” ( e culturale, ovviamente). Solo una dato per riflettere: oggi il 96% della popolazione mondiale parla il 4% delle lingue esistenti o se vogliamo, ribaltando la statistica, il 96% delle lingue del mondo è parlato dal 4% della popolazione mondiale. 

Fortunatamente molte popolazioni reagiscono quando vedono la loro lingua minacciata. È il caso dei nativi dell’America del nord che nel 1990 sentivano la loro lingua a rischio per la presenza dell’ inglese statunitense che ormai era diffuso tra i loro figli e per le azioni di un movimento chiamato “US English” (con una probabile componente razzista). Quest’ultimo, tra le altre cose, chiedeva di preservare le “lingue americane autoctone”. La cosa paradossale è che questa azione non era rivolta contro le lingue dei nativi Indiani ma contro quelle degli emigrati che giungevano negli USA.

Evidentemente le tribù sioux, chippewa, ute, yaqui, havasupai, navaho e apache sentivano una minaccia per la loro lingua e riuscirono a far approvare dal congresso il “Native American Language Act”. 

Questo fatto ci riporta alla nostra terra e ci ricorda la reazione dei sardi contro alcune proposte di standardizzazione avvenute in tempi recenti (LSU). Nonostante il fatto che nei provvedimenti allora adottati non ci fosse una reale minaccia per l’estinzione del sardo la popolazione reagì ad essi come se fossero una minaccia, segno che “La questione della lingua” in Sardegna era sempre rimasta nella mente dei parlanti e che non appena, forse inconsciamente, sentirono una minaccia per essa, reagirono. 

Sono meccanismi che, uniti alla riscoperta dell’identità culturale, sono avvenuti e stanno avvenendo in tutto il mondo. Bisogna però dire che una volta riscoperta la propria identità non sempre seguono delle politiche atte a sanare le situazioni esistenti di minaccia delle lingue. Questo per svariati motivi. 

Prendiamo l’esempio della Papua Nuova Guinea, paese al mondo in cui pare si parlino più lingue. In questi paesi è molto complesso, come si può immaginare, tutelare i parlanti e le loro lingue tanto più che di tutte le lingue parlate ve ne sono 130 che sono parlate da meno di 200 persone. 

In Sardegna non esistono tutte queste diversità ma la situazione non è semplice da altri punti di vista. In primo luogo il fatto che il sardo e le altre lingue (catalano e tabarchino) non godano (ancora) del prestigio necessario per renderli una lingua d’insegnamento. Il prestigio del sardo in particolare ha visto delle fasi diverse, e, negli ultimi anni, quando è stato associato al mondo della campagna e delle realtà “rurali” in contrapposizione all’italiano come lingua della modernità urbana, ha spesso avuto una connotazione negativa ed è stato relegato sempre di più nell’angolo dell’informalità. 

In questi giorni la stampa ha riportato il caso di un nutrito gruppo di genitori di Sardara (nella provincia del Medio Campidano) che chiedono alla scuola dei loro figli “che (il sardo) si decida di inserirlo nei piani di studi”. Al linguaggio diretto e franco dei genitori, che non entrano in merito al “come”, risponde in maniera più tecnica il dirigente scolastico scaricando il problema alla mancanza di uno standard (e quindi di una norma) e di “docenti preparati”. Se è vero che non esiste uno standard, a parte quello sperimentale da adottare nell’ambito burocratico della Regione, non è per nulla vero che non esistono docenti preparati. Facciamo un altro esempio: all’inizio del secolo scorso, quando lo stato d’Israele ancora non esisteva, alcuni pionieri (non linguisti) riuscirono a resuscitare la lingua della Bibbia e farla diventare quella che oggi è l’ebreo moderno. La determinazione di pochi, unita allo spirito di molti, riuscirono in un impresa giudicata impossibile. Nei nostri insegnanti probabilmente manca questa spirito. 

Basterebbe, a mio avviso, inserire nei programmi lo studio della letteratura in lingua sarda. Esiste un manuale: La letteratura in lingua sarda di Salvatore Tola, edito dalla Cuec nel 2006 che potrebbe essere adottato. Questo testo, anche se è più adatto ad un lettore universitario, potrebbe essere usato dai docenti in maniera che poi ne trasmettano il contenuto ai loro alunni. Io credo che per il mancato studio del sardo in sostanza si tratti d’immobilismo generale, senza voler colpevolizzare l’istituto di Sardara che anzi ha risposto con cognizione ai genitori ed ha comunque, a quanto pare, lasciato una porta aperta alla proposta dei genitori . Il mancato insegnamento nelle scuole della lingua e della cultura sarda rischia di farla entrare nel circolo, per nulla glorioso, delle lingue a rischio d’estinzione, perché è ovvio che uno degli strumenti di trasmissione di una lingua è l’insegnamento nelle scuole. 

Non vorrei essere catastrofista, ma mi auguro che nel 2100 il sardo non sia solo nella mente di qualche anziano (che non lo parlerebbe perché privo di interlocutori) come sta succedendo a diverse lingue oggi. 


Lucio Angelo Porcu 












  




 

 
 
 

 

 
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