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Diretore: -       Coord.Editoriale: Micheli Ladu
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29/05/2008 
In làmpadas sa lege subra sa limba sarda:"Est richesa e avanguàrdia"
[dae www.renatosoru.it]
Renato Soru parla della lingua sarda con gli studenti del liceo Siotto-Pintor di Cagliari durante l'incontro di giovedì 22 maggio in aula magna.

 
(...) Io credo che molto presto, anzi prestissimo, occorrerà che la conoscenza della lingua sarda possa essere un credito in ambito scolastico e certamente possa essere un credito all’interno della selezione dei concorsi pubblici. Non dico una discriminazione, ma certamente una ricchezza, un fatto in più. E quindi come tale deve essere valutato e premiato.

Ci siamo riproposti entro il mese di giugno di approvare nella giunta regionale il nuovo disegno di legge sulla lingua sarda, guardando ad altre esperienze che son state percorse in Italia, certamente in Friuli. Parlare delle lingue è sempre complicatissimo. Hanno fatto guerre in passato, come sapete, tra i Boemi. Fecero una guerra sugli accenti, quando un frate decise di codificare la forma scritta del Boemo intorno al Cinquecento. Così come ci son state polemiche asprissime anche in Sardegna, qualche anno fa, quando si cercò di provare a codificare le regole di scrittura. È talmente complicato, che in Friuli hanno deciso di chiamare un arbitro da fuori. Non si sono messi d’accordo tra di loro, hanno chiamato professori tedeschi per mettere accordo tra le diverse forme di scrittura nelle diverse valli friulane.

In Sardegna ci siamo riusciti, con fatica, certo, ma ci siamo riusciti. Circa due anni fa, mettendo assieme gli esperti di lingua sarda, i professori di linguistica delle varie università in Sardegna, un sardo che insegna in Olanda e Michel Contini, un importante linguista francese. Quindi abbiamo delle regole ormai, e sono stati fatti approfondimenti ulteriori. Quindi è il momento, ormai, di fare la legge sulla lingua sarda, e appunto ci auguriamo di farlo in questo mese di giugno.

L’importante è farlo, anche per sostanziare una cosa che è stata decisa quest’anno in Sardegna con “Sa Die de sa Sardigna”, la celebrazione che si fa ogni anno a fine maggio per ricordare il giorno di ribellione in cui la Sardegna, e soprattutto i cagliaritani, si ribellarono al dominio sabaudo. “Sa Die de sa Sardigna” quest’anno è stata dedicata alla lingua sarda, ed è qualcosa di importante che abbiamo fatto per la lingua sarda: non possiamo celebrarla e poi dimenticarla qualche ora dopo. Il 2008 è l’anno che l’ONU dedica alle minoranza linguistiche e quindi è l’anno in cui anche l’Organizzazione delle Nazioni Unite ci dice “state attenti, una minoranza linguistica, una lingua, è una ricchezza importante dell’umanità. Un modo in cui gli esseri umani hanno imparato a parlare, a scambiarsi emozioni tra loro, è una questione importantissima. State attenti a non perderla".

Tant’è che negli Stati Uniti adesso ci sono studiosi che cercano di ricostruire lingue che non esistono più. Sulla base di antiche testimonianze, sulla base di un piccolo testo scritto. Cercano di ricostruire la lingua delle tribù dei nativi americani, con molta difficoltà. Quindi se da una parte ci sono studi enormi, investimenti importanti per ricostruire lingue ormai perse, pensate quanta importanza ha il fatto che noi decidiamo di non perderla. In un libro, molto bello, un libro di biografie che si intitola “Uomini del Novecento”, si citano uomini che hanno fatto cose speciali, uno che ha inventato la Croce Rossa, uno che ha fatto altro e via dicendo.

Tra questi c’è un signore che era l’ultimo uomo su questa terra capace di parlare una lingua di una qualche zona ai confini dell’Afghanistan. Questo signore passava la giornata povero, esiliato, senza mezzi, nei giardini di Parigi, che lo ospitavano. E lì chiamava i figli degli immigrati e cercava di re-insegnarla a qualcuno, a due, a tre, a quattro. Questo signore è stato l’ultimo a conoscere una lingua e grazie a questo signore questa lingua ha “rimbalzato”, ed è ritornata ad essere conosciuta.

Allora certo noi dobbiamo fare qualcosa per la lingua sarda. Ci siamo detti che dobbiamo innanzitutto smettere di parlare
del sardo e quante più volte possibile parlare in sardo, che è la cosa più pratica, più immediata, più concreta che si possa fare. Quindi è bene il fatto che anche voi oggi abbiate dato una testimonianza importante, scambiando qualche parola.

Non è vergogna parlare sardo, è vergogna avere una cosa e metterla da parte e fare omologazioni, è vergogna farsi rubare le cose e non reagire, è vergogna pensare che una cosa che ci appartenga sia inferiore alle cose che appartengono agli altri. Quindi già riconoscere una
ricchezza in quello che tante volte è stato considerato come il segno di una arretratezza, comprendere che è un’avanguardia avere una lingua minoritaria, che è un tesoro e non un segno di arretratezza, è già un passo avanti nella strada che in questi anni cerchiamo di perseguire (...).

Mancari non b'intret nudda ponimus finas custa parte de s'interventu ca est bellu pro unu Presidente de sa Sardigna a faeddare gasi de costeras e cultura sarda


No ai villaggi inventati: "difendiamo la natura e i nostri paesi con mille anni di storia"


Renato Soru
lunedì 26 maggio 2008 ore 19:05:15

Il presidente Soru affronta i temi delle politiche ambientali nel corso dell'incontro con gli studenti del Liceo Classico Siotto Pintor di Cagliari


(...) Quattro anni fa, quando abbiamo iniziato a parlare di politica ambientale in Sardegna, sembrava ancora un mondo diverso. Sembrava che l’unico sviluppo possibile fosse quello di continuare a costruire seconde case nella fascia costiera. Che quello fosse il nostro futuro, che da lì passasse il nostro futuro, che nel costruire case ci si arricchisse tutti.
A me ricorda un pochino una catena di Sant’Antonio, quel giochino secondo cui “se rispondi a cinque, altri cinque lo rimandano a te, e poi altri cinque ancora, e alla fine diventiamo tutti ricchi”. Ma non è possibile, come sapete. A un certo punto c’è qualcuno che rimane col
cerino in mano.

Certamente anche nel fare seconde case, a un certo punto la costa finisce. E forse non siamo diventati tutti ricchi,forse siamo diventati tutti più poveri. Abbiamo perso un ambiente naturale che poteva essere una ricchezza per noi oggi, per voi oggi e domani, e per le future generazioni, per sempre.
Questa era l’idea, che l’unica cosa buona che si potesse fare della natura fosse consumarla il più presto possibile, per appropriarcene oggi e farne dei guadagni oggi.

In questi anni ci sono stati cambiamenti anche drammatici, come sapete, coi processi di desertificazione nel mondo, processi che interessano anche la vostra regione. Con i grandi cambiamenti climatici, e con la considerazione che alla fine questa terra, che sembra grandissima, in realtà è piccola. E i nostri cattivi comportamenti in una parte della terra incidono anche su altre parti della terra, e così tutti siamo chiamati a far meglio.

Insomma, oggi di ambiente si parla in maniera molto diversa rispetto a come se ne parlava cinque anni fa. Allora credo sia entrato maggiormente nella coscienza di tutti il dovere di rispettare la natura e di trasmetterla alle generazioni future. La natura, come è stato tante volte detto, il bene ambientale, non è un bene che ci appartiene, ma è qualcosa che dobbiamo restituire alle future generazioni. E
dentro questa natura c’è la possibilità per l’uomo di vivere bene, di seguire le proprie aspirazioni, di creare occasioni di lavoro, di migliorare le proprie condizioni di vita.

Per perseguire questo, la politica della vostra Regione ha fatto questa considerazione. Immaginate, come tante volte accade in Sardegna, di vivere in un piccolo paese. Ne cito uno, Villanova Monteleone, nel nord Sardegna. Un paese sulla rocca, un po’ in alto, una strada con un po’ di curve e a sette, otto chilometri il mare. E ci sono delle spiagge incantate, bellissime, dove ancora non ha costruito nessuno.
Spiagge che si sono salvate dalla speculazione edilizia, dove non hanno costruito villaggi vacanze che rimangono aperti un mese all’anno. Questo paese ha una storia di mille anni, un suo dedalo di stradine dove si è stratificata la storia di poeti come di agricoltori. Dico la parola poeti, perché parliamo del paese di Remundu Piras, il grande poeta e improvvisatore sardo, morto nel ’78. Immaginiamo questo paese, di fatto proprietario di questo sguardo sul mare, libero, proprietario di quei terreni, e di fatto “proprietario” di questa natura che gli sta davanti. Che cosa sarà più utile per gli abitanti? Che cosa li renderà maggiormente ricchi? Che cosa gli garantirà un lavoro nel futuro?

Dare a qualcuno la possibilità di costruire sul mare un villaggio che guarderà il mare e darà le spalle al paese, un nuovo villaggio di proprietà di uno solo? Che magari affitterà a caro prezzo a un signore che ha il bar nel paese, la possibilità di fare il bar lì. O darà a un altro signore che ha un negozio di alimentari in paese la possibilità, sempre a caro prezzo, di fare un negozio di alimentari davanti al mare.

Pian piano costringerà gli abitanti del paese, che vogliono vivere anche di economia turistica, ad abbandonare il paese, un paese che ha mille anni di storia, e trasferirsi in un paese inventato, di trenta giorni all’anno, scivolando giù dalla rocca verso la spiaggia. Farà in modo che le case, che erano proprietà di ogni famiglia, si spopolino, vengano disabitate e non valgano più niente. E l’unico villaggio, di proprietà solamente di una società, sia l’unico che acquista valore in quella zona lì.

Allora, innanzitutto sarà meglio rispettare l’ambiente e non costruire sulla spiaggia e lasciarla alle future generazioni, perchè sia un bene pubblico di cui tutti possono godere con certezza. Diventeremo più ricchi facendo costruire un unico villaggio? O valorizzando ciascuna delle case di Villanova Monteleone, facendo in modo che chi ha il negozio di alimentari lo possa continuare a tenere tutto l’anno aperto per i villanovesi e per i turisti, facendo in modo che tutte le attività economiche di Villanova Monteleone continuino a rimanere aperte per loro e per i turisti, facendo in modo che ogni casa acquisti valore? È così che tutti diventano un pochino più ricchi.

Un’ultima cosa. Il turismo fra dieci anni, fra vent’anni che cosa farà? Ma anche solo tra cinque anni, o oggi, che cosa sceglie? Villaggi tutti uguali, per cui andare a Villanova Montelone è uguale ad andare in Tunisia o a Sharm al Shaik, o chissà dove. Come un hamburger, che è uguale dappertutto, da Cagliari appunto a chissà dove. Un turista sceglierà di fare una vacanza sempre uguale in tutto il mondo prendendo un hamburger sempre uguale in tutto il mondo, o sceglierà di vivere un’esperienza di diversità?

Un viaggiatore, in futuro, avrà piacere di ritrovarsi in una comunità, quella di Villanova Monteleone appunto, dove sentire una musica particolare, una musica che non vorrà sentire tutto l’anno, in tutti i viaggi. Avrà piacere di legare quella musica a quella esperienza, avrà piacere di sentire quella lingua, avrà piacere di conoscere un po’ di persone vere, avrà piacere di conoscere il vicino di
casa.
Ecco, la politica turistica di questa Regione è tutta lì, meno villaggi inventati, più Villanova Monteleone.
Meno ricchezza per pochi, più ricchezza per tutti gli abitanti di Villanova Monteleone.

Un’ultima cosa. La città, il luogo dove decidiamo di vivere assieme, non può nascere in maniera spontanea, non nasce in maniera spontanea. Firenze non è nata in maniera spontanea. È bellissima perché è stata regolata e perché aveva delle regole severe, chiare, precise. Venezia aveva delle regole, Roma aveva delle regole, le città sono nate con regole. Ed è compito della politica dare regole, affinché la città possa arricchirsi della partecipazione individuale, ma in maniera ordinata.

Per questo non ci possono essere città senza piani urbanistici, non si possono costruire città da una deroga all’altra, con una decisione estemporanea dopo l’altra. Bisogna darsi delle regole nel lungo periodo. E in una città credo sia importante valorizzare le cose forti, in
cui ci riconosciamo, le cose che caratterizzano il luogo.

Ecco perché abbiamo difeso Tuvixeddu. Non è facile difendere Tuvixeddu, per cui le politiche arrivano. Però io credo che sia sconsiderato costruire in uno dei luoghi più importanti della cultura fenicio punica del Mediterraneo. Credo che sia sconsiderato eliminare l’unica possibilità di “sperimentare” un pezzo del paesaggio antico di Cagliari, un pezzo del paesaggio che chi è arrivato qui duemila anni fa ha conosciuto, ha visto. Cagliari è grande, è grandissima, ha una bellissima area vasta e abbiamo la possibilità di fare case. E credo che
abbiamo anche la possibilità e il dovere di rispettare un aspetto così caratterizzante della nostra città. Come sapete, ragazzi, è più facile dire sì che no, e si è più graditi, anche facendo i genitori quando diciamo sì più che no. Però i grandi hanno la responsabilità di dire anche qualche no, soprattutto argomentando, ragionandoci sopra.

 
 
 

 

 
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