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24/07/2008 
Ecco perché Soru vincerà le regionali
[de Zuanne Frantziscu Pintore - dae http://gianfrancopintore.blogspot.com]



Il titolo è palesemente pretenzioso. Non sono nelle condizioni di colui che – racconta una barzelletta polacca ai tempi di Gomulka – rubò i risultati delle “elezioni dell’anno venturo”. Mi si perdoneranno perciò i dettagli. E le possibili invenzioni della storia che, si sa, è una gran meretrice: oggi ti promette momenti di passione, domani lo fa con un altro.


Renato Soru non è uomo di sinistra (leggetevi il bel libro di Bachisio Bandinu e Salvatore Cubeddu “Il quinto moro”) e in questo interpreta il sentimento della grande maggioranza dei sardi che di sinistra non sono. Se si fa la conta dei governi degli ultimi sessanta anni, si può vedere come la sinistra propriamente detta vi è stata solo perché una volta ce l’ha portata il Partito sardo (pagando la scelta con la riduzione al lumicino), un’altra il nuovismo di Federico Palomba (che ha pagato la carica con crisi a catena) e infine il quinto moro che dei tre soggetti è il più tignoso.


Oggi, Renato Soru è in rotta di collisione con il partito leader del centrosinistra a governo, di gran lunga egemone culturalmente. È questo fatto a rendere sicura l’altra parte, il centro destra, che la propria vittoria l’anno venturo tende alla ineluttabilità. Tutti gli schieramenti, da una parte e dall’altra, sono convinti che la partita (vinta per gli uni, persa per gli altri) si sia giocata sulle questioni economiche e sociali: l’impoverimento, la disoccupazione, lo sfilacciamento dell’industria, etc. Si esibisce ora, con scarso successo, la fotocopia delle preoccupazioni continentali per la sicurezza. 


Oltre a Soru, pochissimi pare si siano accorti che le questioni della identità sono destinate a giocare il ruolo dell’asso pigliatutto in una situazione fortemente bipolare, nella quale basta un cinque-sei per cento per vincere o perdere. Quasi due anni fa, in momenti troppo lontani dalle elezioni per suscitare il sospetto della “strumentalità elettorale”, il centro-destra si fece garante di un processo di profonda revisione della Carta fondamentale della Sardegna nel senso di un radicale “autogoverno della Nazione sarda”. Ad un anno dalle elezioni, sicuramente il progetto sarà portato all’attenzione degli elettori, i più maligni dei quali subodoreranno, però, la strumentalità elettorale. Cosa poco commendevole per elettori che di punto in bianco si sentiranno investiti di problemi di cui sfuggono i contorni che sarebbero stati, invece, nitidi a termine di un dibattito che li avesse investito durante un intero anno e più.


Fra i tanti errori e le insopportabili prepotenze nella legislazione soriana su economia, occupazione, lotta alla povertà, ambiente e del paesaggio, uno non l’ha fatto: quello di mostrarsi incerto nella difesa dell’identità e dei suoi elementi costitutivi: l’immagine esterna e interna della Sardegna, la lingua e la cultura sarda. Sulla lingua è partito assumendosi la responsabilità di varare, dopo aver consultato esperti, uno standard scritto, ed entrando in rotta di collisione con l’Università, scandalosamente ostile ad una sintesi politica di studi fatti e decisa a continuarli all’infinito, fino alla morte della lingua. 


Ha scontato l’opposizione di quella intellighèntzia di sinistra che pure lo aveva sostenuto nella campagna elettorale e nei suoi primi atti di governo. Sta continuando nella pianificazione degli investimenti sulla lingua, affinché essa sia visibile in tutta la società, distinguendo il collocamento di denari per la cultura da quelli per la lingua, una bestemmia per la intellettualità di sinistra, per la quale la lingua è un epifenomeno della cultura. Ha infine annunciato una legge di politica linguistica che potrebbe essere la più grande riforma istituzionale di questa legislatura.


Tutte cose, come si può comprendere, che urtano la parte giacobina della sinistra, non tutta la sinistra, ma quella che conta sì: quella universitaria, quella che scrive sui giornali, che pubblica libri, che fa opinione dando a intendere che “solo i linguisti possono parlare di lingua”, “solo gli archeologi possono parlare di archeologia”, “solo gli...”. È la stessa parte che si è indignata perché Soru ha varato la Limba sarda comuna, malgrado non tutta la commissione da esso insediata fosse d’accordo e arriva a scrivere che, di certo, Soru è stato subornato. La Lsc non è una priorità – dicono – così come in tutti gli anni Settanta e Ottanta mai la lingua è stata una priorità, ma qualcosa che si sarebbe potuta affrontare una volta risolti tutti i problemi economici. 


Io non so se e quanto questa linea “identitaria” abbia messo parte del Pd contro Soru e, francamente, ho troppo rispetto dei travagli altrui per volerlo davvero sapere. Immagino, però, uno scenario in cui il Pd continui a tirare la corda, che so?, proponendo un antagonista suo a Soru, lasciando la briglia sul collo della sua intellettualità sardofoba e comunque timorosa delle conseguenze di una politica “troppo” identitaria (che cosa succederebbe, se domani la Regione desse soldi all’Università in cambio di servizi in lingua sarda?). Se la corda si spezza, non mi pare di aver capito che Soru, buono buono, se ne tornerebbe all’ovile. Magari si metterebbe a capo di una lista che parlerebbe, come gli altri, di occupazione, di lavoro, di lotta alla povertà, di risanamento economico, di rilancio della produzione... Avete mai sentito un dirigente politico dire che del lavoro e dell’occupazione se ne strabatte?


Se ne occuperà come gli altri, appunto. Intanto, però, si è fatto uno know out identitario che, non essendo né di sinistra né di centro né di destra né di su né giù, Soru potrà mettere sul mercato politico, facendo appello ai sardi e alla loro capacità di contare sulle proprie gambe. Gli altri lo inseguirebbero, certo, accorgendosi, però, troppo tardi che una politica identitaria, per essere credibile e creduta, ha bisogno di un retroterra che non si sono preparati.


Ecco che vi ho detto perché Soru vincerà le prossime elezioni. Naturalmente, se dall’altra parte ci si rendesse conto che non tutti gli elettori sono costretti a ragionare con la pancia, che l’autonomia non si proclama ma la si esercita sempre e comunque, anche nei confronti di un governo e di partiti amici, che, come ha mostrato la Lega, le questioni identitarie pagano anche elettoralmente, beh, allora...


 
 
 

 

 
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