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Diretore: -       Coord.Editoriale: Micheli Ladu
CHISTIONES

25/07/2008 
Ora di fare chiarezza
[de Robertu Bolognesi]


Sono giorni decisivi per la nostra lingua. Lo sappiamo noi e lo sanno quelli che ormai non si possono definire più avversari, ma nemici.
Ecco da dove proviene tutto questo loro attivismo.
Renato Soru in maggio ha promesso una legge nuova sulla lingua, una legge ispirata a quella molto avanzata del Friuli. L’ha promessa entro la fine dell’estate e siamo a fine luglio...


Gli esponenti di punta della borghesia compradora e reazionaria sanno bene che, quando il sardo diventerà lingua ufficiale della Sardegna, loro perderenno la loro rendita di posizione e saranno costretti a competere in un “mercato della cultura” molto più libero. Saranno costretti a confrontarsi con altre visioni del mondo e, soprattutto, della Sardegna. E queste altre visioni—il medium è il messaggio!—sono espresse in un codice che loro in parte disprezzano, ma soprattutto non padroneggiano a dovere.


Chiaramente hanno terrore di una concorrenza che se ne frega delle regole che questa oligarchia parassitaria si è data per riprodursi in eterno. Hanno terrore di chi si non accontenta degli avanzi di una cultura in piena decadenza come quella italiana.
Il loro ruolo di mediatori tra centro e periferia saranno costretti a conquistarselo e difenderselo ogni giorno, giorno per giorno. E, ammesso che ci riescano, lavorare stanca...


Fermo restando che questi nemici spesso scrivono semplicemente “para fastidiar” e ripetono spudoratamente sempre le stesse notizie false e tendenziose, incuranti di qualsiasi precisazione o smentita, è importante adesso ridefinirci quelli che sono i nostri obiettivi.
Quale’è il nostro obiettivo ultimo? 
Fare del sardo una lingua normale, cioè una lingua in cui si possa fare qualunque cosa: scrivere un manuale di fonologia (già fatto: una cosa ancora modesta, ma esiste già!) o fare una dichiarazione d’amore. Anzi, il nostro obiettivo ultimo è proprio quello di tornare a parlare d’amore in sardo! 


Romantico? Assolutamente no! La trasmissione intergenerazionale del sardo si è interrotta proprio perché il sardo ha praticamente cessato di essere la lingua delle giovani coppie. Come conseguenza i bambini non imparano più il sardo come L1.
Il nostro obiettivo è allora quello di crescere dei bambini sardi immediatamente bilingui, cosa possibile solo se il sardo tornerà ad essere la lingua della famiglia.


In questa strategia che ruolo ha l’ufficialità del sardo? Un ruolo importante , ma non esclusivo.
È chiaro che l’ufficialità del sardo lancerebbe un messaggio fortissimo a chi ancora esita. 
E poi se il sardo non sarà la lingua ufficiale della Sardegna, esso resterebbe in una posizione subalterna rispetto all’italiano. La situazione attuale di diglossia non verrebbe superata e il sardo non arriverebbe ad essere una lingua normale, con quella “pari dignità” rispetto all’italiano riconosciuta dalla legge, ma non dalla borghesia reazionaria.
È chiaro anche che l’ufficialità del sardo non sarebbe sufficiente. Resta però un passaggio obbligato, senza il quale l’obiettivo della normalità non potrà essere raggiunto.


Faccio un esempio concreto: Soru ha diverse volte parlato dell’introduzione di un premio nei concorsi pubblici per i parlanti del sardo. Perché sarebbe giusto questo premio?
A pari condizioni, un candidato bilingue sardo-italiano è più qualificato di un candidato monolingue in italiano. Sa di più—e non solo più lingue, ovviamente—perché non si dovrebbe preferirlo a uno che sa di meno?
L’ufficialità del sardo porterebbe automaticamente alla scelta del candidato bilingue e quindi più qualificato. Questa è la normalità di cui abbiamo bisogno.
I reazionari non sarebbero tali se non fossero anche antidemocratici. E infatti lo sono.
I dati della ricerca sociolinguistica coordinata dalla Professoressa Oppo dicono che soltanto il 32,0% degli intervistati non è per niente favorevole all’uso della lingua locale negli uffici pubblici. I reazionari si pongono contro il volere della grande maggioranza dei sardi.
Ovviamente, l’ufficialità del sardo non si limita al suo uso negli uffici pubblici. Come stanno le cose rispetto alla scuola?
Il 57,3% degli intervistati si dichiara del tutto favorevole all’utilizzo, accanto all’italiano, del sardo nella scuola. Il 27,4% si dichiara parzialmente favorevole.


Sono cifre impressionanti, ma altrettanto impressionante è il fatto che esista ancora della gente che ha la sfrontatezza di opporsi alla volontà di una parte così grande della popolazione sarda. E in effetti, questi dati ci dicono che il governo regionale è in gravissimo ritardo rispetto all’attuazione di un aspetto fondamentale della democrazia linguistica in Sardegna.
Come dovrebbe entrare il sardo nella scuola? In parte come lingua veicolare per le materie che si prestano al suo utilizzo immediato (storia e geografia della Sardegna, ecc.) e in parte come materia curricolare, usando anche l’insegnamento del sardo per far prendere coscienza ai discenti delle differenze strutturali tra sardo e italiano (insegnamento contrastivo). Ovviamente questo dovrebbe essere fatto anche durante l’insegnamento dell’italiano, per arrivare a superare l’attuale commistione di codici che rileviamo nell’Italiano Regionale di Sardegna.


Si tenga presente che una percentuale enorme degli intervistati nella ricerca sociolinguistica (81,9%) dichiara di essere molto d’accordo sul fatto che il bambino impari l’italiano, una lingua straniera e la lingua locale. Cosa vuol dire? Che i sardi sono molto meno stupidi di come li vedono i reazionari e percepiscono bene che il bilinguismo sardo-italiano è una porta verso il plurilinguismo. 
Cosa si sta aspettando ancora a mettere in pratica queste indicazioni così chiare? I sardi vogliono parlare in italiano, in sardo e in inglese, come minimo. Alla faccia di chi considera i sostenitori del sardo culturalmente retrogradi!
Quale sardo dovrebbe entrare nella scuola? Il dialetto locale, fermo restando che è possibile, oltre che necessario, introdurre una grafia unitaria del sardo. Di questo si parlerà più avanti.
E ci sono altri aspetti dell’ufficialità che potrà trattare qualcun altro. 

Adesso passiamo alle poche obiezioni serie sollevate dai nemici del sardo.
Che fare con le altre minoranze linguistiche della Sardegna? Riconoscere anche a loro lo stesso status del sardo?.
Innanzitutto va chiarito che sarebbero queste minoranze stesse a doversi impegnare in modo serio per farsi riconoscere dallo stato come tali. Gli Algheresi ci sono già riusciti, adesso tocca agli altri.
Il problema è comunque molto semplice: quanti sono gli Algheresi che parlano catalano? Quanti sono i parlanti del tabarkino? E quelli del sassarese-gallurese (in effetti, un unico sistema sardo-corso: si veda Bolognesi & Heeringa 2005)?
Si dovrebbe introdurre anche le loro lingue come lingue ufficiali? Certamente, ma limitatamente ai loro rispettivi territori. È chiaro che la Regione, che continua e continuerà ad usare l’italiano come lingua ufficiale, non è tenuta ad adottare anche le lingue di queste minoranze come lingue ufficiali. Del resto, nessuno in Sardegna pretende che la Repubblica italiana dichiari il sardo lingua ufficiale su tutto il suo territorio.


E nessuno dei nuovissimi difensori delle minoranze in Sardegna ha nemmeno mai protestato presso lo Stato italiano per ottenere questo riconoscimento per il sardo. Ma la coerenza non è il loro forte.
Allora il sassarese-gallurese sia ufficiale a Sassari e dintorni e in Gallura, il tabarchino a Carloforte e Calasetta e il catalano ad Alghero! E il problema è risolto.


La questione della divisione del sardo in “logudorese” e “campidanese” è talmente pretestuosa che rimando semplicemente al lavoro di Michel Contini del 1987 e alla mia ultima ricerca sul rapporto tra LSC e varietà del sardo. Il sardo è un unico macro-sistema fondamentalmente unitario e non suddivisibile in due varietà.
Loro scrivono “para fastidiar” e non ha senso continuare a rispondere.
Ma anche dalle mie misurazioni risulta che esiste una certa distanza tra LSC e dialetti meridionali. Questa distanza non è neppure lontanamente paragonabile alla distanza che esiste, per esempio, tra Sassarese e il dialetto propriamente sardo più vicino (Sassari-Villanova Monteleone: 37,5% vs. LSC-Teulada: 18,5%).


In effetti la distanza fonetica tra la LSC e il dialetto meridionale più vicino (Teulada) è leggermente inferiore alla distanza media che esiste tra dialetti sardi (circa il 20%), mentre la distanza maggiore tra la LSC e un dialetto sardo è del 23,4% (San Giovanni Suergiu).
Si può eliminare del tutto questa distanza? Si, per l’ennesima volta si, a patto di abbandonare le convenzioni ortografiche pseudo-fonetiche dell’italiano. Queste convenzioni ortografiche sono comunque intrinsicamente inadatte alla ricchissima fonologia della maggior parte dei dialetti sardi (si veda Bolognesi 1999).


A Siliqua gli insegnanti si sono dimostrati pefettamente in grado di leggere nella loro varietà di sardo dei testi scritti in LSC.
Tutto il discorso della LSC divora-varietà locali viene allora a cadere, visto che a livello del parlato—per la stragrande maggioranza dei sardi l’unico livello praticato—tutto rimarrebbe come prima.

Quali sono allora gli ostacoli rimasti per l’ottenimento dell’ufficialità del sardo? Soltanto gli ostacoli politici posti da una lobby di reazionari, ferocemente decisa a tornare alla dialettizzazione del sardo.
Come rispondergli? Mobilitandosi e facendo sentire la propria voce.
E per primi devono mobilitarsi quelli che oggi già lavorano con e per il sardo, visto che con la decurtazione dei fondi a disposizione della legge 482, se non verrà approvata la nuova legge sulla limba, dall’anno prossimo si ritroveranno di nuovo a spasso.
Anche per loro vale: aiutati che Dio ti aiuta!

 
 
 

 

 
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