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CHISTIONES

21/07/2008 
Per chi scrive Cristina Lavinio?
[de Roberto Bolognesi]


Sono di nuovo in questa grigia, noiosa, piovosa, ma civilissima Olanda. In gran parte con sollievo, ma anche con la testa ancora piena della bellezza della nostra terra e di tutte le questioni dibattute in quei giorni caldissimi di luglio.
Oggi ho avuto il tempo di leggere anche l’ultimo intervento su “L’altra voce” della Professoressa Cristina Lavinio e, visto che sono ancora in ferie, mi prendo il tempo di commentarlo.


Dopo un’introduzione in cui racconta di essere stata d’accordo con il presidente Soru già dagli anni ’70—quando Soru aveva ancora i pantaloni corti!—la Professoressa continua dicendo che non è per niente d’accordo con Soru! 


Purtroppo, questo non è un gioco di parole. Infatti la Lavinio continua definendo la LSC, voluta da Soru, come il frutto di “ricerca ossessiva di una forma standard (o koiné), di una varietà unificante le diversità (per alcuni intollerabili) tra le varie parlate sarde. A costo di costruirla a tavolino. E come? vedendo la salvezza in una ortografia unificata -come se all'improvviso l'ortografia potesse far superare le differenze tra un “aicci” e un “gai”...- e costruendo una sorta di esperanto: prima una LSU (Limba Sarda Unificada), adesso una LSC, dopo essere passati per una limba de mesanìa... È chiaro, da tutto questo affannarsi, che la variazione linguistica e il plurilinguismo non piacciono proprio ai molti più o meno improvvisati limbisti nostrani. E dire che la legge 26 del 1997 riconosce questa varietà di parlate, sarde e non (compreso catalano e tabarchino), coesistenti nel territorio isolano, considerandole una ricchezza.”


A parte la sua incoerenza, che in fondo non mi riguarda, sono ancora una volta costretto a constatare—sperando di non essere volgare e offensivo—che anche lei, linguista esperta di italiano, ma evidentemente non di sardo, critica una LSC che non esiste.
Evidentemente è completamente inutile ripetersi e invitare gli interlocutori a rileggersi la delibera che instituisce la LSC e a leggersi—almeno ogni tanto—quello che diciamo noi, partigiani della limba. 


È chiaro che la Professoressa non scrive per noi che, forse, a giudicare dal tono che usa, non ne siamo degni. Ad essere sincero, ho la forte impressione che quell’intervento su “L’altra voce” sia una specie di comunicazione interna. Magari con l’intenzione di placare un po’ il nervosismo che chiaramente serpeggia dalle parti di Piazza d’Armi, ma non solo.
Allora scrivo questo commento solo per quelli che sono interessati a capire quello che pensa un partigiano della limba, ma sempre cercando di essere garbato e possibilmente affabile.

Evidentemente la Lavinio non ha letto la delibera sulla LSC.
Infatti apparentemente ancora non sa che non si tratta di superare le differenze tra “gai” e “aici”, visto che entrambe le forme sono accettate. La LSC, infatti, lascia il lessico libero: diverse entrate lessicali—non dovute cioè semplicemente a diverse pronunce—sono entrambe lecite.


Naturalmente, adesso la Professoressa Lavinio, se mai dovesse degnarsi di leggere queste parole, potrebbe accusarmi di di averla insultata personalmente visto che ventilo l’ipotesi che lei scriva della LSC senza neppure aver letto la delibera che la istituisce.
Lascio allora a lei la scelta tra le seguenti ipotesi: (i) la Lavinio non ha letto la delibera; (ii) la Lavino ha letto la delibera, ma ha dimenticato quello che c’è scritto; (iii) la Lavinio ha letto la delibera, ricorda perfettamente quello che c’è scritto, ma a lei non interessa assolutamente niente di quello che dice la delibera: in questo caso scriverebbe solo “para fastidiar”.
Faccia lei, insomma...


Stessa storia per la “LSC-esperanto”. Nuovamente, bisogna concludere che la Professoressa non abbia letto la relazione della mia ricerca sul rapporto tra LSC e dialetti tradizionali, in cui mostro che la LSC si distacca dal sardo di Abbasanta per meno del 10%.
Naturalmente, adesso la Professoressa Lavinio, se mai dovesse degnarsi di leggere queste parole, potrebbe accusarmi di di averla insultata personalmente visto che ventilo l’ipotesi che lei scriva che la LSC è “una sorta di esperanto” senza neppure aver letto relazione della mia ricerca.


Lascio allora a lei la scelta tra le seguenti ipotesi: (i) la Lavinio non ha letto la mia relazione; (ii) la Lavino ha letto la relazione, ma ha dimenticato quello che c’è scritto; (iii) la Lavinio ha letto la relazione, ricorda perfettamente quello che c’è scritto, ma pensa che io abbia manipolato i dati: in questo caso non si capisce perché non sia andata un pomeriggio ad Abbasanta a fare le sue proprie rilevazioni, per poi spedirle a John Nerbonne, capo del dipartimento di Linguistica Computazionale dell’Università di Groninga, e verificare; (iv) la Lavinio ha letto la relazione, ricorda perfettamente quello che c’è scritto, non pensa che io abbia manipolato i dati, ma non le interessa assolutamente niente di quello che dice la relazione: in questo caso scriverebbe solo “para fastidiar”.
Faccia lei, insomma...


Del “piccolo-grande buisiness della lingua sarda” preferisco parlare quando saranno diventate chiare le modalità in cui le università italiane di Sardegna hanno utilizzato il denaro pubblico a loro assegnato, denaro destinato, appunto, alla lingua sarda.
Quanto agli esperti di fonologia del sardo, perché appunto di fonologia del sardo bisogna essere esperti per affrontare i problemi di unificazione della grafia della lingua sarda, basta digitare “phonology” e “ campidanian sardinian” su Google e vedere quello che salta fuori.
Digitando “Cristina Lavinio” salta fuori un’impressionante serie di titoli di ricerche sull’... italiano.





 
 
 

 

 
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