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CHISTIONES

14/07/2008 
Sono bello e impossibile
[de Roberto Bolognesi]


Una mia vicina di Iglesias, donna schietta e “linguda”, una volta ha detto al figlio diciottenne di parenti acquisiti: “O Giuliu, ma la ca ses legiu!”
E Giulio, che non era da meno di lei: “Seu legiu, ma seu simpaticu!” Io, invece, sono “bello e impossibile”! Che sono bello lo dimostra il fatto che mia mamma, che ha 90 anni ed è di Villanova Monteleone, mi dice ancora: “Oi ite bellu fiore chi ses, fizu meu”.

Che sono impossibile lo dimostra il fatto che quel raffinatissimo gentleman di Giorgio Melis ha scritto su “L’altravoce” che io sono aggressivo e volgare. Se lo dice lui che se ne intende, sarà senz’altro vero.
Da un po’ di tempo Melis si è erto a difensore dei deboli accademici di Sardegna: e mi rimprovera di aver attaccato i suoi protetti. Novello San Giorgio, si è lanciato coraggiosamente contro il drago della LSC: la bestiaccia mangiadialetti che minaccia la democrazia linguistica della Sardegna. Senza risparmiare aggettivi denuncia poi in questa sua tenzone quel Bolognesi che avrebbe malmenato indifese donzelle e uomini illustri, ma miti come un agnello e colpevoli solo di non amare la bestiaccia e, addirittura, avrebbe plagiato Renato Soru, convincendolo a sostenere la LSC!

E mia mamma ha detto: “Chie, cussu macu de fizu meu at fatu cambiare idea a cussu conca de pedra?”

Perché mia mamma mi trova sì bellissimo, ma pensa anche che io sia il più scellerato dei suoi sette figli. Secondo mia mamma, quindi, sono proprio bello e impossibile. A confermare questa immagine di me è intervenuta anche la Professoressa Oppo.

Su invito del Santo Guerriero è saltata in groppa al suo cavallo bianco e in poche parole mi ha accusato di averla coperta di insulti personali: un’altra donzella bistrattata dal rude Bolognesi! A onor del vero, le cose si sono svolte in modo più articolato di come le presenta la Professoressa.

È stata infatti lei a scrivermi chiedendomi di farmi sapere cosa pensassi della ricerca sociolinguistica da lei coordinata. Io ho esitato un po’ e poi le ho inviato i miei commenti. Purtroppo sono in Sardegna e non ho qui i miei files.
Sarebbe bene che li pubblicasse questi insulti, perché non vorrei che qualcuno pensasse che io abbia fatto con lei quello che, alcune settimane fa, il Prof. Lupinu ha fatto con Michele Pinna sul sito di Paolo Maninchedda.

E aggiungo che se il livello dei professori è quello, mi accontento volentieri del mio Ph.D., conseguito in quella che in quegli anni era—secondo Der Spiegel—la seconda miglior facoltà di lettere d’Europa, e del mio posto di ricercatore nella stessa.

Allora: io, nella mia “recensione” da lei richiesta ho accusato la Professoressa di scarsa autoriflessività e di aderire ad un femminismo e progressismo scalcagnati, oltre che di aver commentato i dati in base a questa ottica fortemente ideologizzata. Se questi sono insulti personali, allora gli insulti personali di cui parla la Professoressa sono questi.

Quello che poi la Professoressa Oppo trascura di dire è che, dopo la sua replica, io ho accettato una parte delle sue critiche nei miei confronti e ho rinunciato a pubblicare la mia “recensione”.

In effetti, fa molto caldo in questi giorni di Luglio…

Ma colgo allora l’occasione per dire ancora una volta che io dissento dalla lettura dei dati della ricerca fatta dalla Professoressa, almeno per quanto riguarda il rapporto che lei vede tra abbandono del sardo e liberazione femminile. Il fenomeno si è verificato contemporaneamente tanto in realtà in cui l’arrivo della società dei consumi (e anche della libertà di consumare il sesso al di fuori del matrimonio) è coinciso con l’abbandono della lingua sarda, quanto in realtà in cui l’italiano era da decenni in posizione assolutamente dominante (le realtà urbane).
Tralasciando il fatto che il fenomeno ha avuto luogo contemporaneamente il tutto il mondo occidentale e quindi non ha nessun collegamento con la lingua sarda. Non occorre essere sociologi per vederlo.

E poi, la liberazione è consistita fondamentalmente nel fare senza più nasconderlo quello che prima si faceva evitando di parlarne. Il sesso è diventato oggetto di conversazione in pubblico e non è più stigmatizzato, ma quanto questo abbia significato effettivamente liberazione è discutibile. Vero è che, chi non lo faceva prima della “liberazione” non lo ha fatto molto neanche dopo.

E forse il problema sta tutto qui.

Cosa dimostra allora tutto questo lungo discorso sul Bolognesi bello, ma impossibile?

Che ancora una volta in queste polemiche sulla LSC il discorso torna a girare sempre su questioni personali e/o formali. Non credo interessi a nessuno stabilire se io sono bello o antipatico.
Non vedo perché uno sia obbligato a essere dolce e garbato, anche quando sotto il mantello della cortesia si spargono veleni che ammorbano la cultura sarda.
La cosa che conta allora è: quello che ho detto io sul rapporto tra la LSC e i dialetti tradizionali è giusto o sbagliato? Su questo dovrei essere giudicato e non sulla mia simpatia.

E si dovrebbe parlare di quel 66,65% di sardi che vuole che il sardo venga usato nella pubblica amministrazione e del fatto che la LSC, “naturale” per oltre il 90%, corrisponde quasi interamente a quanto indicato dagli intervistati.

Ma di questo i linguisti avversari della LSC non parlano mai. Anzi non parlano praticamente mai di linguistica. Sembrerebbe che abbiano delegato a San Giorgio Melis il compito di farlo.

A questo punto mi viene il dubbio che sia proprio lui il più preparato fra questi avversari della lingua unitaria. Va aggiunto però che colpisce l’incoerenza del nostro Santo Guerriero: da una parte si spella le mani nell’elogiare l’operato di Renato Soru per tutto quello che non riguarda la lingua, mentre dall’altro è ferocissimo nell’attaccare proprio la creatura più importante e innovativa del presidente.
I fautori dello status quo sanno benissimo che il futuro della Sardegna sarà deciso dalla questione della lingua: la classe dirigente sarda saprà rinnovarsi solo se imparerà a guardare alla Sardegna con occhi sardi.

E questo rinnovamento è la cosa che Santu Giorgi teme di più: sarebbe la fine del monopolio culturale della borghesia compradora, anche di quella che crede di essere di sinistra.

Con amici così, Soru non ha proprio bisogno di nemici. Questi sarebbero felicissimi di versare litri di lacrime digitali al suo funerale politico, se questo servisse a fermare l’unificazione linguistica dei sardi.
Io non sarò bello come dice mia mamma e nemmeno simpatico, ma non sono neppure così disperatamente calloni!

Roberto Bolognesi



 
 
 

 

 
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