La Nuova Sardegna pagina 20
7 giugno 2006
Ecco i veri nemici della lingua sarda
Il caso Olbia: l’assessore Pilia ha chiarito ma alcuni fingono di non capire
di Paolo Pillonca
Come tuono immediatamente dopo il lampo, stavolta la risposta della Regione è arrivata chiara e puntuale. Elisabetta Pilia, assessore alla Cultura, nei giorni scorsi a Nuoro non solo ha parlato senza mezzi termini ma ha puntualizzato due verità rilevanti (“sa limba comuna” riguarda solo l’ufficialità, nessuna variante locale verrà discriminata), annunciando anche una novità attesa: i fondi della legge 482 serviranno soprattutto a formare gli insegnanti che si dovranno occupare di lingua sarda.
Viene così a chiarirsi e a ridimensionarsi quella sorta di piccolo giallo scoppiato in una scuola di Olbia — una bambina costretta al logudorese, lei e i suoi genitori galluresi di lingua materna — di cui hanno già detto molto bene su questo giornale soprattutto Nicola Tanda e Manlio Brigaglia. La risposta di Elisabetta Pilia è perfettamente in linea con l’idea di Renato Soru, uscito finalmente allo scoperto in questa delicata materia proprio con il varo della lingua ufficiale a uso degli uffici. Soru, da “competente attivo” della propria variante (qualità che il professor Giovanni Lilliu gli ha più volte riconosciuto), ha superato i tentennamenti dei teorici della lingua — temporeggiatori che ne parlano ma non la parlano — ben sapendo che ogni lingua è prima di tutto una visione del mondo, ossia un insieme di valori di riferimento. Una ricchezza che sarebbe delittuoso disperdere nel tempo, ossatura e cardine di ogni popolo che aspiri a restare tale e a non confondersi nel mare magnum delle identità perdute.
Da parte della Regione, ora, sembra tutto chiaro e non c’è alcun motivo di dubitarne, conoscendo il pensiero del governatore sulla delicatissima materia. I rischi, semmai, E non sono lievi: c’è un’ostilità dura a morire, da parte di una certa fetta di intellettualità sarda, nei confronti della lingua dei padri. Sarà paura? Forse, se è vero che la competenza attiva della lingua sarebbe in grado di sconvolgere parecchie gerarchie. Una controprova di questa paura è stata fornita recentemente in un convegno all’Ersu, presente Renato Soru, dalla direttrice del terzo circolo didattico di Quartu (mille alunni), Anna Maria Sanna. “A scuola ci sono troppi progetti sulla nostra cultura e troppo pochi sulla lingua”, ha detto la professoressa Sanna, invitando la Regione a vigilare su questo aspetto. In materia di lingua il rischio strisciante — se così lo vogliamo chiamare — sta proprio qui: nell’avversione mal dissimulata all’uso del sardo da parte di molti insegnanti della scuola dell’obbligo, sparsi un po’ dovunque in Sardegna,che fanno finta di stare al gioco ma in realtà lo scombinano in modo subdolo.
Si tratta talvolta — e sembra quasi un paradosso — di operatori della scuola con pretese letterarie che però, ahiloro, hanno una alfabetizzazione che sarebbe eufemistico definire precaria. Di quelli, per intenderci, che Tullio De Mauro definisce analfabeti di ritorno (secondo l’illustre linguista, due terzi degli italiani lo sono). Con maggiore delicatezza del suo collega, Nicola Tanda li chiama “analfabeti culturali alla ricerca di un alibi per la loro ignoranza”. Se ne potrebbero citare a iosa con nomi, cognomi e perfino soprannomi — a numen tentu, come dicevano i nostri antenati —, ma qui forse non importa citare il peccatore, basta riferirsi al peccato.
I “peccatori” sono per lo più loschi figuri che insinuano nella mente dei bambini una vecchia idea sintetizzabile in uno slogan di tre parole: sardo è brutto. È la stessa “idea” che tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta spinse centinaia di famiglie a disfarsi dei letti in ferro battuto, delle ssapanche intagliate e dei mobili artigianali per sostituirli con i tavoli in formica e altre squisitezze del genere.
Erano gli anni in cui Luigi Lai fu costretto a cercare lavoro in Svizzera perché il suo strumento diletto, le launeddas, non era più gradito nelle piazze. Gli stessi anni in cui due illustri professori dell’Università di Cagliari (l’archeologo Giovanni Lilliu e il linguista Antonio Sanna) coraggiosamente uscirono allo scoperto in difesa della loro terra, con un ordine del giorno della Facoltà di Lettere, di cui Giovanni Lilliu era preside, in materia di tutela della lingua e con la creazione di un circolo culturale per attuarne i propositi.
Oggi il novantaduenne padre nobile dell’identità di Sardegna ama ricordare ai suoi ex-allievi e a tutti i sardi di buona volontà che il tradimento della lingua somiglia molto al tradimento della madre.
Paolo Pillonca
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