|
Diretore: Micheli Ladu - Editore: Sòtziu
Limba Sarda
|
CHISTIONES
|
27/02/2009
In Strasburgo cun s'orgòlliu de èssere una minoria
[de Diego Corràine, dae sa Nuova Sardegna] |
Si
parla tanto in questi giorni della nuova legge per le elezioni al
prossimo parlamento europeo e dello sbarramento al 4 per cento. I
giornali hanno scritto che però le nuove norme non riguarderanno le
minoranze linguistiche. A quali si riferiscono? Di sicuro non alla
Sardegna. E invece se c’è minoranza linguistica storica in Italia,
questa è la Sardegna, con almeno 1.200.000 parlanti, la metà di
tutta la popolazione minoritaria dello stato italiano. La Sardegna e
i sardi siamo minoranza linguistica a tutti gli effetti. In quanto
tali, dobbiamo avere diritto a presentarci con una nostra lista alle
europee, facendo leva non sull’appartenenza ideologica ma su quella
linguistica, nazionale, sarda che ci accomuna, per rappresentare in
Europa (e quindi in Italia) in nostri interessi di popolo.
Potremmo rappresentarvi le rivendicazioni storiche che
intellettuali, politici e gente comune ipotizza da decenni, ma
preferiamo incartarci dentro gli angusti ambiti dell’insularità, che
non è nostra esclusiva e che, di per sè non rappresenta la nostra
specificità e identità che è, a differenza di altre isole, di
carattere linguistico, nazionale.
Temo che, per una tradizione fatta di piagnistei vittimistici e
richieste di soccorso verso una patria «matrigna», si preferisca far
leva sul preteso «limite» puramente geografico di essere isola,
piuttosto che sul sentimento di autostima, di orgoglio nazionale,
che suppone la affermazione positiva e dinamica di una continuità
storica, di essere popolo, nazione, «minoranza linguistica» secondo
il dettato della legge statale 482/99.
È mai possibile che, proprio oggi che la diversità linguistica e
culturale è vista come bene prezioso da potenziare, non riusciamo a
porci come protagonisti in Europa, avendo pienamente titolo di
nazione e minoranza linguistica, come fanno vantaggiosamente
irlandesi, gallesi, scozzesi, catalani, baschi, galiziani e altri. È
possibile che non riusciamo a creare una base comune che riunisca in
cinque, dieci punti gli interessi di tutti i sardi in un movimento
unico. Oltre i quali ciascuno rivendica, dentro i propri partiti,
proposte e soluzioni più specifiche?
È mai possibile che non si riesca a proporre una rappresentanza in
Europa, trasversale, nazionale sarda, finalmente pensata e decisa in
Sardegna e non dai giochi dei partiti a Roma? Ma qualcuno dirà che
la legge si riferisce alla minoranza tedesca e a quella valdostana.
E chi lo dice? E perché, se così fosse, non faccciamo la battaglia
per affermare la nostra specificità nazionale e linguistica, aperta
e solidale, tollerante e inclusiva?
Siamo una minoranza, la più grande. Abbiamo anche, fortunatamente
una lingua scritta di uso ufficiale che rappresenta l’unità della
minoranza, per la quale potremmo rivendicare in Europa la stessa
presenza e uso, almeno in alcuni ambiti, che si sono saputi
conquistare ultimamente catalani, baschi e galiziani.
Ma i partiti sardi sono impermeabili ad ogni richiamo alla
centralità della lingua sarda in un progetto di sviluppo basato
sull’identità, capace di affermare e dinamizzare le energie
territoriali ed umane che la Sardegna possiede non da ora. A meno
che l’ultimo cataclisma elettorale non abbia scosso le coscienze al
punto da ricercare in modo trasversale elementi progettuali
complessivi di unità e identità nazionale, che superino la ristretta
visione dei mercanteggiamenti con lo stato in chiave assistenziale.
Con più ambizione di Sardegna e di Europa
|
|
|