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29/04/2008 
Finas La Nuova criticat s'Universidade pro ca non s'ischit comente ispendet su dinari pro sa limba sarda

 Domìniga est essidu un'artìculu firmadu dae Paolo Pillonca chi no est lenu de seguru cun sos acadèmicos sardos: <Più di uno che conosce bene la situazione - riferendosi all’ostilità pregiudiziale di molti accademici - ha ricordato al presidente Soru due verità parallele, vestendole di altrettante metafore. Prima: nessuno può fare il miracolo di insegnare una cosa che non sa. Seconda: non si può dare alle volpi l’incarico di vegliare sugli agnelli né ai topi il compito di garantire l’integrità del formaggio. Fuori di metafora, il rischio reale è che anche le nuove risorse in materia di lingua sarda non portino ai risultati per i quali sono state messe in campo, a dispetto delle buone intenzioni del governo regionale>.


Le celebrazioni di “Sa Die de sa Sardigna” che si aprono domani solennemente a Cagliari - dapprima in Consiglio regionale e successivamente nelle piazze - e nei prossimi giorni vivranno altri eventi significativi in diversi centri di tutta l’isola sono quest’anno all’insegna della lingua sarda. Sa limba, in altre parole, è il tema principe dell’anno 2008. Come manifesto dell’evento il presidente Renato Soru e l’assessore Maria Antonietta Mongiu hanno scelto il famoso sonetto «Non sias isciau» (Non essere schiavo) di Remundu Piras, che il grande poeta orale di Villanova Monteleone inviò nel marzo del 1978, pochi mesi prima di morire, alle due riviste bilingui di allora: «Nazione Sarda» di Antonello Satta e «Sa Sardigna» di Gianfranco Pintore, che ovviamente lo pubblicarono con il rilievo che meritava e con commenti di largo favore. 

Ecco il testo del sonetto: «O Sardu, si ses sardu e si ses bonu,/ semper sa limba tua apas presente:/ non sias che isciau ubbidiente/ faeddende sa limba ‘e su padronu./ Sa nassione chi perdet su donu/ de sa limba iscumparit lentamente/ màssimu si che l’’essit dae mente/ in iscritura che in arrejonu./ Sa limba ‘e babbos e de jajos nostros/ non l’usades pius nemmancu in domo/ prite póbera e ruza la creides. /Si a s’iscola non che la jughides/ po la difunder mezus, dae como/ sezis dissardizende a fizos bostros» (O Sardo, se sei sardo e di buona volontà,/ abbi sempre presente la tua lingua:/ non essere ubbidiente come uno schiavo/ usando l’idioma del padrone./ La nazione che perde il dono/ della lingua scompare lentamente/ specie se dimentica di scriverla e di parlarla./ La lingua dei nostri padri e dei nostri nonni/ non la usate più neppure in casa/ perché la giudicate povera e rozza./ Se non la introdurrete nelle scuole/ per una sua migliore diffusione, già da ora/ state dissardizzando i vostri figli). *** «Ciascuno dei nostri villaggi è custode di particolarità fonetiche stratificate in millenni di storia che oggi costituiscono un patrimonio immateriale di enorme rilevanza identitaria.

Non c’è alcun reperto archeologico così stratificato», ha riflettuto Maria Antonietta Mongiu nella conferenza stampa di presentazione dell’evento. Detto da un’archeologa di professione, è un giudizio incontestabile: un fatto, più che un’opinione. Di qui l’importanza di tornare a parlarla e scriverla, oltre che di studiarla nelle sue molteplici articolazioni: dovunque, in casa come a scuola, secondo l’invito accorato del mitico cantore villanovese. «In questo percorso assumono un ruolo importantissimo anche i circoli degli emigrati, portatori di reperti che noi residenti in Sardegna, mai condannati all’esilio neppure per brevi periodi, abbiamo perduto», ha aggiunto la professoressa Mongiu. Lasciando momentaneamente da parte la Chiesa, che in questi ultimi anni non ha fatto nient’altro se non tacere sul delicato argomento dell’uso della lingua sarda nella liturgia, un altro nodo-snodo fondamentale riguarda la scuola. In ambito scolastico il vero punto di partenza, imprescindibile, è la formazione degli insegnanti. Dolentissimo punto che finora ha visto in prima linea l’Università: purtroppo con risultati vicini allo zero. Anche questo è un fatto, non un’opinione. 

Di qui la necessità che la Regione controlli rigorosamente la formazione degli insegnanti, viste le risorse ingenti messe a disposizione anche quest’anno. Sarebbe interessante conoscere nel dettaglio l’entità dei fondi erogati in questi anni dalla Regione a finanziare - in teoria - corsi di lingua sarda che inevitabilmente finivano per diventare tutt’altra cosa. Su questo punto si dice che il presidente Renato Soru sia giustamente infuriato e abbia deciso di seguire una linea meno morbida. Più di uno che conosce bene la situazione - riferendosi all’ostilità pregiudiziale di molti accademici - ha ricordato al presidente Soru due verità parallele, vestendole di altrettante metafore. Prima: nessuno può fare il miracolo di insegnare una cosa che non sa. Seconda: non si può dare alle volpi l’incarico di vegliare sugli agnelli né ai topi il compito di garantire l’integrità del formaggio. 

Fuori di metafora, il rischio reale è che anche le nuove risorse in materia di lingua sarda non portino ai risultati per i quali sono state messe in campo, a dispetto delle buone intenzioni del governo regionale. «La lingua si salva con l’uso, la sua tutela è garantita esclusivamente da chi la parla e la scrive»: l’ha ripetuto in tutte le occasioni, in questo ultimo trentennio, il professor Giovanni Lilliu, il principale vessillifero di questa battaglia di popolo, che una volta condensò il suo pensiero in una battuta di straordinaria efficacia: chi tradisce la lingua è come se tradisse sua madre. Nessuno nega alla professoressa Maria Antonietta Mongiu bontà di intenti e trasparenza di azione - oltre che un’ottima competenza attiva della lingua stessa - ma non sarebbe male se d’ora in avanti si allenasse a distinguere meglio l’oro dall’argento o, peggio, dall’ottone. 





  




 

 
 
 

 

 
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