“Storia
delle religioni in Sardegna”
Cribbio, molto interessante! Ma non è questa la
cosa più sorprendente.
Cosa ne dite di “Storia della filosofia morale in
Sardegna”?
Ma forse la cosa più sfrontata è “Lingua catalana”.
No, “Ecologia vegetale della Sardegna” è peggio!
Macché! “Ecologia e zootecnica della Sardegna” è
ancora peggio!
Oppure, “Flora medicinale regionale”?
Ma cosa sono queste bizzarrie e cosa c’entrano l’una
con l’altra?
Sono alcuni dei corsi di “lingua e cultura della
Sardegna” organizzati dall’università di Sassari con i
quattrini della legge regionale 26/97: soldi attribuiti alle
università di Sardegna come “Sostegno a progetti di lingua e
cultura nell’Università”.
Al banchetto hanno partecipato perfino le facoltà di
Farmacia, Agraria, Scienze ed Economia. Insomma, manca soltanto un
corso di “Matematica della Sardegna”.
“Facile come togliere una caramella di bocca a un
bambino” si saranno detti: bastava aggiungere “della Sardegna”
al titolo di un corso già esistente e i soldi arrivavano da soli.
Ai Sassaresi, si sa, piacciono le beffe: alla faccia della
“filosofia morale”!
Non c’è da meravigliarsi, allora, che a Sassari siano
riusciti in questi anni di “sperimentazione” a utilizzare il 98%
dei soldi passati loro dalla Regione. Guardate la tabella presa dal
sito http://www.regione.sardegna.it/j/v/66?s=1&v=9&c=27&c1=&id=10454
Le materie trattate in questi corsi sono suddivise nel
modo seguente:
M. LINGUISTICHE: 4 (Glottologia e linguistica della
Sardegna, Filologia e linguistica romanza, Linguistica sarda, Lingua
catalana!)
M. NON LINGUISTICHE: 13/14 (a seconda dell’anno)
M. VEICOLARI: 0
Nemmeno un corso di limba e nemmeno uno in sardo. E il
corso di lingua catalana cosa c’entra?
Sarà perché anche il catalano di Alghero è tutelato
dalla legge 26?
In questo caso la beffa è semplicemente doppia: a una
minoranza interna di 15.000 persone circa viene riconosciuto un
corso di lingua, mentre alla maggioranza dei sardi niente!
E tra questi corsi di cultura sarda ci hanno infilato
anche cose come “Storia delle religioni in Sardegna”: la cosa più
interessante di questo corso deve stata essere “Induismo in
Sardegna”.
Probabilmente staranno ancora ridendo...
Questa cose sono emerse adesso, perché l’Assessore
Mongiu le ha rese note all’ultima riunione dell’Osservatorio
Regionale per la cultura e la lingua sarda. Bisogna davvero esserle
grati per aver avuto il coraggio di denunciare senza mezzi termini
questa vergogna e per aver deciso, assieme al Presidente Soru, di
pubbicare questi dati su Internet.
Alcune settimane fa, una Professoressa dell’università
di Cagliari, ha scritto del “piccolo-grande buisiness della lingua
sarda”. Lei alludeva ai quattro soldi che guadagnano gli operatori
della lingua sarda, ma cosa ne pensa della “frebba mandigadolza” che
ha assalito i docenti di “qualunque-cosa-purché-ci-prendiamo-quei-soldi”
all’Università di Sassari?
Si sono presi 3.494.000 di Euro per fare
quello che già dovevano fare per guadagnarsi lo stipendio dello
stato. Si sono pagati due volte per lo stesso lavoro e, oltretutto,
un lavoro che con la lingua e la cultura della Sardegna non
c’entrava quasi niente.
E questo “buisiness” non è piccolo, cribbio!
Cosa è successo all’università di Sassari? Nulla di
diverso da quello che hanno sempre fatto: si sono fatti pagare per
boicottare la lingua sarda: “resistenza passiva”, questa volta.
La loro funzione, in quanto organo dello stato italiano,
è sempre stata questa. Quindi anche da un punto di vista morale,
loro sono a posto: hanno lavorato, e in maniera creativa, per
difendere l’ “unità nazionale dell’Italia”.
Me li vedo mentre aggiungono “della Sardegna” al
titolo di un corso e cantano “Il Piave mormorò ...”
Eroi come i fanti della Brigata Sassari!
Questa deve essere la stessa motivazione che ha portato
la Professoressa
in questione a indignarsi per i pochi soldi che guadagnano gli
operatori della lingua (“loro lavorano per il sardo e quindi
contro l’unità della nazione”), ma non per i molti soldi che si
sono messi in tasca i suoi avidi colleghi di Sassari.
“Due pesi e due misure”?
Certo, ma “il fine giustifica i mezzi”, no?
Ma cosa possiamo dire noi, partendo dal punto di vista
della “filosofia morale della Sardegna“?
“Balla, arratza de balentía! Nd’ant furau is puddas a
unu chi est pobiru e debili.”
“Forte con i deboli e debole con i forti” ha detto
Leonardo Sciascia, riferendosi allo stato italiano.
E l’università di Cagliari cosa ne ha fatto di quei
quattrini?
Guardate la tabella seguente:
Di tutta la cifra assegnata loro, hanno speso meno del
40%. Tutto il testo è stato bloccato, blindato.
Bisogna ammettere che a Cagliari, almeno, non hanno
esibito la stessa creatività/cinismo che a Sassari. Sembrano meno
avidi dei loro colleghi sassaresi.
Insomma, a Cagliari corsi di “Astronomia della
Sardegna” non ne hanno proposto.
Ma quello che alla fine salta fuori anche questa volta è
che nemmeno a Cagliari i
soldi che
la Regione
ha assegnato all’università per farvi entrare la lingua e la
cultura sarda sono stati utilizzati correttamente.
Quei milioni se li sono tenuti stretti: in Tatari su
dinari si l’an mandigadu, in Casteddu ”non an mandigadu e non an
lassadu mandigare”, che su cane de s’ortulanu.
Cosa dobbiamo pensare allora di quei docenti di Cagliari
che immancabilmente intonano lamenti e accuse da atitadoras contro
la presunta ostilità altrui (della Regione e dei partigiani della
limba), ma non fanno nulla, assolutamente nulla, per le minoranze
linguistiche interne della Sardegna?
Perché non hanno organizzato dei corsi di ”campidanese”,
”logudorese”, tabarchino, sassarese, gallurese e, per quanto mi
riguarda, perfino arburesu, berchiddessu e guasilesu?
Quell’altra Professoressa, anche lei linguista a
Cagliari, che alla sua non più tenera età si è scoperta Jeanne
D’Arc delle minoranze, a cosa avrà pensato quando si trattava di
spendere in modo costruttivo tutto quel mare di soldi? Tra
l’altro: perché non ha mai protestato presso l’università di
Sassari per la mancanza del corso di lingua sarda, a fianco di
quello di catalano?
E a Cagliari perché non hanno mai istituito almeno un
corso di “Sociolinguistica della Sardegna”, magari con una
collaborazione tra la facoltà di Scienze Politiche e quella di
Lettere?
Avrebbero potuto utilizzare una parte di quei soldi per
fare della ricerca mirata allo sviluppo del materiale didattico
necessario.
Tra l’altro: c’è della gente che critica
la LSC
perché questa è stata introdotta prima che si conoscessero i
risultati della ricerca sociolinguistica.
Bene! Le università della Sardegna, che avevano a
disposizione tutti i mezzi per condurre una ricerca sociolinguistica
ancora più ampia di quella commissionata dalla Regione, e avevano
ottenuto gran parte di questi mezzi già ben prima del 2006, hanno
pensato bene di utilizzare quei quattrini per corsi di
“Storia della filosofia morale in Sardegna”, oppure di
fare quello che garantisce comunque di evitare qualsiasi errore:
nulla!
E avrebbero potuto istituire un corso sulla LSC in
confronto alle varietà tradizionali del sardo, oltretutto, visto
che diversi docenti si sono espressi contro di essa: perché non
l’hanno fatto e preferiscono spettegolare tramite articoletti
leggeri e perfidi?
Insomma, modi di spendere quei soldi in modo produttivo ce
n’erano tanti, ma l’università di Cagliari non l’ha fatto.
E immoi tenint fintzas sa facci de sola de acusai a is
atrus.
E cosa hanno fatto le università italiane di Sardegna con
i soldi ricevuti dallo stato italiano attraverso la legge 482? Hanno
speso poco e niente: hanno bloccato anche questi fondi.
Guardate la tabella che riguarda le università di
Cagliari e Sassari:
Hanno utilizzato soltanto un quarto dei fondi e soltanto
per la formazione dei funzionari.
Per la formazione degli insegnanti, né a Cagliari né a
Sassari hanno speso un solo quattrino.
Sorprende in questo caso la mancanza di creatività dei
Sassaresi: forse farsi beffa dello stato è più pericoloso che
farsi beffa della Regione.
Per sapere i veri motivi di queste stranezze, ci vorrebbe
qualche “gola profonda” che ci raccontasse come effettivamente
si sono svolti i fatti.
Ma è comunque strano che proprio per quello che è forse
l’intervento più importante per il futuro del sardo—la
formazione degli insegnanti—non abbiano trovato il modo di
spendere neanche un quattrino.
Per capire bisogna ricordarsi che l’università è
un’organo dello stato centralista italiano e l’ideologia
dell’università è quella generale dello stato: loro direbbero
“Risorgimentale”.
“Una lingua, una nazione, uno stato”: l’Italia è
nata da questo slogan, implementato dalle baionette dell’esercito
piemontese.
Ammettere l’esistenza di altre lingue mina perciò alla
base la ragion d’essere dello stato italiano.
Preparare gli insegnanti all’insegnamento di una lingua
minoritaria diventa allora politicamente e psicologicamente (in
termini di: “io penso alla mia carriera!”) troppo rischioso.
Ma anche questa non è, né può essere tutta la verità.
Ci sono anche dei motivi, se possibile, ancora meno
nobili: nelle università italiane di Sardegna non si insegna la
lingua sarda!
In Sardegna non esiste un docente di lingua sarda!
Né un docente di sintassi del sardo!
Né uno di fonologia del sardo!
E neppure uno di morfología del sardo!
Tutti gli studi sulla grammatica del sardo e i suoi
costituenti sono stati effettuati all’estero (con alcune eccezioni
minori in università italiane non sarde), ma questi studi esistenti
non entrano a far parte dei corsi delle università sarde.
In Sardegna, “linguistica sarda” significa
praticamente solo “Wagner (1941)”, cioè storia delle parole
latine in Sardegna, scritta all’interno di un quadro teorico che
era già vecchio quando Wagner lo ha utilizzato.
E una lingua non consiste solo di parole, ma soprattutto
della sua grammatica.
Ecco allora quella che è forse la ragione principale
dell’assenza di quei corsi di formazione per insegnanti: manca la
gente che possa preparare gli insegnanti al loro compito.
Fermatevi un attimo a pensare: chi conosce il sardo, in
genere, conosce la storia delle parole sarde?
NO! Conosce le parole e la grammatica del sardo.
Chi dovrà insegnare la lingua sarda nelle scuole, dovrà
essere preparato sul lessico e sulla grammatica (sintassi,
morfologia e fonologia) del sardo.
Conoscere la storia delle parole è probabilmente
divertente, ma non serve per l’apprendimento della lingua.
E qui arriviamo al dunque: la fondamentale impreparazione
dei docenti di “linguistica sarda”.
Si tratta di filologi, non di linguisti, e non sono
abituati a trattare la lingua come qualcosa di vivo, un organismo in
continua trasformazione che vive grazie al fatto che qualcuno la
parla.
I filologi sono quegli studiosi che si occupano di testi
scritti, possibilmente molto vecchi, non della lingua vera, quella
parlata.
Il divorzio fra filologia e linguistica è avvenuto già
un secolo fa, quando De Saussure ha gettato le basi della
linguistica moderna.
È errato e fuorviante, quindi, chiamare “linguistica
sarda” quella che è filologia.
In Sardegna poi insegnare la filologia tedesca dell’800,
permettere soprattutto di vivere di rendita: niente faticose
ricerche o altre pubblicazioni: a che servirebbero? Wagner ha già
detto tutto!
“Raramente lo sviluppo delle conoscenze scientifiche su
una lingua è legato in maniera così stretta alla figura di uno
studioso come è accaduto per il sardo con Max Leopold Wagner.”
Per fare un’affermazione come questa (che potete trovare
nel sito seguente: http://www.gotosardinia.com/Storia%20della%20lingua%20Sarda.htm)
uno è costretto a negare sistematicamente il tantissimo lavoro sul
sardo, effettuato negli ultimi decenni, che non ha niente a che fare
con il lavoro di Wagner. Quest’ultimo è molto voluminoso in verità,
ma di limitata importanza scientifica. È infatti soltanto utile ai
filologi, ma non ai linguisti. E naturalmente, questo vuol dire
anche, semplicemente, che tutti quelli che hanno seguito il filologo
tedesco hanno lavorato molto meno di lui: insomma, Wagner è grande
solo nei confronti di chi si è limitato a seguirlo.
Ma neanche questo è un motivo sufficiente a spiegare la
mancanza di corsi di lingua sarda.
Siamo seri. Se il sardo non viene usato come lingua
veicolare nei corsi di “lingua e cultura” qualche motivo anche
più prosaico ci sarà: i docenti in questione non sono in grado di
parlare fluentemente il sardo. Non lo conoscono a sufficienza.
E questo spiega anche molte delle resistenze da parte
degli accademici rispetto alla ufficializzazione del sardo.
Come al solito la situazione è tragica, ma non è seria:
ve lo immaginate un docente di inglese, o anche di linguistica
dell’inglese, che non fosse fluente in quella lingua?
Che credibilità potrebbe avere un docente di sardo che
svolgesse il suo corso in italiano?
Alle università sarde occorrono allora dei docenti di
sardo e di linguistica del sardo che siano preparati e debitamente
addestrati (cioè con un dottorato di ricerca sul sardo) e non
semplicemente cooptati, sia pure mediante “concorso”, e
naturalmente che parlino il sardo fluentemente.
Penso che nelle università sarde non tutti siano contenti
di questa, diciamo così, figuraccia. Chi può, allora, si dia da
fare per migliorare questa situazione.
La Regione
dovrà
però da ora in poi stare molto più attenta nel distribuire milioni
di euro a istituzioni che finora hanno dimostrato così poco
interesse per il destino della lingua e della cultura della
Sardegna.
Chi non scramentant immoi, candu?
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