SU GIASSU
Domo
Ite est Diariulimba
Sa gerèntzia de Diariulimba
Su Sòtziu Limba Sarda
Organigramma de su Sòtziu
LINKS
ARCHIVIU annu pro annu 
Pro retzire sa lìtera de noas
ISCRIENOS
diariulimba@sotziulimbasarda.net



Diretore: -       Coord.Editoriale: Micheli Ladu
CHISTIONES

13/08/2008 
Tragicommedia di Ferragosto. Come e perché le università sarde spendono (o buttano) i soldi destinati alla lingua sarda
[de Roberto Bolognesi]

 

 “Storia delle religioni in Sardegna”

Cribbio, molto interessante!  Ma non è questa la cosa più sorprendente.

Cosa ne dite di “Storia della filosofia morale in Sardegna”?

Ma forse la cosa più sfrontata è “Lingua catalana”.

No, “Ecologia vegetale della Sardegna” è peggio!

Macché! “Ecologia e zootecnica della Sardegna” è ancora peggio!

Oppure, “Flora medicinale regionale”?

Ma cosa sono queste bizzarrie e cosa c’entrano l’una con l’altra? Sono alcuni dei corsi di “lingua e cultura della Sardegna” organizzati dall’università di Sassari con i quattrini della legge regionale 26/97: soldi attribuiti alle università di Sardegna come “Sostegno a progetti di lingua e cultura nell’Università”.

Al banchetto hanno partecipato perfino le facoltà di Farmacia, Agraria, Scienze ed Economia. Insomma, manca soltanto un corso di “Matematica della Sardegna”. “Facile come togliere una caramella di bocca a un bambino” si saranno detti: bastava aggiungere “della Sardegna” al titolo di un corso già esistente e i soldi arrivavano da soli. Ai Sassaresi, si sa, piacciono le beffe: alla faccia della “filosofia morale”!

Non c’è da meravigliarsi, allora, che a Sassari siano riusciti in questi anni di “sperimentazione” a utilizzare il 98% dei soldi passati loro dalla Regione. Guardate la tabella presa dal sito http://www.regione.sardegna.it/j/v/66?s=1&v=9&c=27&c1=&id=10454

 

Le materie trattate in questi corsi sono suddivise nel modo seguente:

M. LINGUISTICHE: 4 (Glottologia e linguistica della Sardegna, Filologia e linguistica romanza, Linguistica sarda, Lingua catalana!)

M. NON LINGUISTICHE: 13/14 (a seconda dell’anno)

M. VEICOLARI: 0

Nemmeno un corso di limba e nemmeno uno in sardo. E il corso di lingua catalana cosa c’entra? Sarà perché anche il catalano di Alghero è tutelato dalla legge 26? In questo caso la beffa è semplicemente doppia: a una minoranza interna di 15.000 persone circa viene riconosciuto un corso di lingua, mentre alla maggioranza dei sardi niente!

E tra questi corsi di cultura sarda ci hanno infilato anche cose come “Storia delle religioni in Sardegna”: la cosa più interessante di questo corso deve stata essere “Induismo in Sardegna”.

Probabilmente staranno ancora ridendo...

Questa cose sono emerse adesso, perché l’Assessore Mongiu le ha rese note all’ultima riunione dell’Osservatorio Regionale per la cultura e la lingua sarda. Bisogna davvero esserle grati per aver avuto il coraggio di denunciare senza mezzi termini questa vergogna e per aver deciso, assieme al Presidente Soru, di pubbicare questi dati su Internet.

Alcune settimane fa, una Professoressa dell’università di Cagliari, ha scritto del “piccolo-grande buisiness della lingua sarda”. Lei alludeva ai quattro soldi che guadagnano gli operatori della lingua sarda, ma cosa ne pensa della “frebba mandigadolza” che ha assalito i docenti di  “qualunque-cosa-purché-ci-prendiamo-quei-soldi” all’Università di Sassari? Si  sono presi  3.494.000 di Euro per fare quello che già dovevano fare per guadagnarsi lo stipendio dello stato. Si sono pagati due volte per lo stesso lavoro e, oltretutto, un lavoro che con la lingua e la cultura della Sardegna non c’entrava quasi niente. E questo “buisiness” non è piccolo, cribbio!

Cosa è successo all’università di Sassari? Nulla di diverso da quello che hanno sempre fatto: si sono fatti pagare per boicottare la lingua sarda: “resistenza passiva”, questa volta. La loro funzione, in quanto organo dello stato italiano, è sempre stata questa. Quindi anche da un punto di vista morale, loro sono a posto: hanno lavorato, e in maniera creativa, per difendere l’ “unità nazionale dell’Italia”. Me li vedo mentre aggiungono “della Sardegna” al titolo di un corso e cantano “Il Piave mormorò ...” Eroi come i fanti della Brigata Sassari!

Questa deve essere la stessa motivazione che ha portato la Professoressa in questione a indignarsi per i pochi soldi che guadagnano gli operatori della lingua (“loro lavorano per il sardo e quindi contro l’unità della nazione”), ma non per i molti soldi che si sono messi in tasca i suoi avidi colleghi di Sassari.

“Due pesi e due misure”? Certo, ma “il fine giustifica i mezzi”, no? Ma cosa possiamo dire noi, partendo dal punto di vista della “filosofia morale della Sardegna“? “Balla, arratza de balentía! Nd’ant furau is puddas a unu chi est pobiru e debili.” “Forte con i deboli e debole con i forti” ha detto Leonardo Sciascia, riferendosi allo stato italiano.

E l’università di Cagliari cosa ne ha fatto di quei quattrini?

Guardate la tabella seguente:

 

 

Di tutta la cifra assegnata loro, hanno speso meno del 40%. Tutto il testo è stato bloccato, blindato.

Bisogna ammettere che a Cagliari, almeno, non hanno esibito la stessa creatività/cinismo che a Sassari. Sembrano meno avidi dei loro colleghi sassaresi. Insomma, a Cagliari corsi di “Astronomia della Sardegna” non ne hanno proposto. Ma quello che alla fine salta fuori anche questa volta è che nemmeno a Cagliari  i soldi che la Regione ha assegnato all’università per farvi entrare la lingua e la cultura sarda sono stati utilizzati correttamente.

Quei milioni se li sono tenuti stretti: in Tatari su dinari si l’an mandigadu, in Casteddu ”non an mandigadu e non an lassadu mandigare”, che su cane de s’ortulanu.

Cosa dobbiamo pensare allora di quei docenti di Cagliari che immancabilmente intonano lamenti e accuse da atitadoras contro la presunta ostilità altrui (della Regione e dei partigiani della limba), ma non fanno nulla, assolutamente nulla, per le minoranze linguistiche interne della Sardegna?

Perché non hanno organizzato dei corsi di ”campidanese”, ”logudorese”, tabarchino, sassarese, gallurese e, per quanto mi riguarda, perfino arburesu, berchiddessu e guasilesu?

Quell’altra Professoressa, anche lei linguista a Cagliari, che alla sua non più tenera età si è scoperta Jeanne D’Arc delle minoranze, a cosa avrà pensato quando si trattava di spendere in modo costruttivo tutto quel mare di soldi? Tra l’altro: perché non ha mai protestato presso l’università di Sassari per la mancanza del corso di lingua sarda, a fianco di quello di catalano?

E a Cagliari perché non hanno mai istituito almeno un corso di “Sociolinguistica della Sardegna”, magari con una collaborazione tra la facoltà di Scienze Politiche e quella di Lettere? Avrebbero potuto utilizzare una parte di quei soldi per fare della ricerca mirata allo sviluppo del materiale didattico necessario. Tra l’altro: c’è della gente che critica la LSC perché questa è stata introdotta prima che si conoscessero i risultati della ricerca sociolinguistica.

Bene! Le università della Sardegna, che avevano a disposizione tutti i mezzi per condurre una ricerca sociolinguistica ancora più ampia di quella commissionata dalla Regione, e avevano ottenuto gran parte di questi mezzi già ben prima del 2006, hanno pensato bene di utilizzare quei quattrini per corsi di  “Storia della filosofia morale in Sardegna”, oppure di fare quello che garantisce comunque di evitare qualsiasi errore: nulla!

E avrebbero potuto istituire un corso sulla LSC in confronto alle varietà tradizionali del sardo, oltretutto, visto che diversi docenti si sono espressi contro di essa: perché non l’hanno fatto e preferiscono spettegolare tramite articoletti leggeri e perfidi? Insomma, modi di spendere quei soldi in modo produttivo ce n’erano tanti, ma l’università di Cagliari non l’ha fatto.

E immoi tenint fintzas sa facci de sola de acusai a is atrus.

E cosa hanno fatto le università italiane di Sardegna con i soldi ricevuti dallo stato italiano attraverso la legge 482? Hanno speso poco e niente: hanno bloccato anche questi fondi.

Guardate la tabella che riguarda le università di Cagliari e Sassari:

 

 

 

Hanno utilizzato soltanto un quarto dei fondi e soltanto per la formazione dei funzionari.

Per la formazione degli insegnanti, né a Cagliari né a Sassari hanno speso un solo quattrino.

Sorprende in questo caso la mancanza di creatività dei Sassaresi: forse farsi beffa dello stato è più pericoloso che farsi beffa della Regione. Per sapere i veri motivi di queste stranezze, ci vorrebbe qualche “gola profonda” che ci raccontasse come effettivamente si sono svolti i fatti. Ma è comunque strano che proprio per quello che è forse l’intervento più importante per il futuro del sardo—la formazione degli insegnanti—non abbiano trovato il modo di spendere neanche un quattrino.

Per capire bisogna ricordarsi che l’università è un’organo dello stato centralista italiano e l’ideologia dell’università è quella generale dello stato: loro direbbero “Risorgimentale”. “Una lingua, una nazione, uno stato”: l’Italia è nata da questo slogan, implementato dalle baionette dell’esercito piemontese. Ammettere l’esistenza di altre lingue mina perciò alla base la ragion d’essere dello stato italiano. Preparare gli insegnanti all’insegnamento di una lingua minoritaria diventa allora politicamente e psicologicamente (in termini di: “io penso alla mia carriera!”) troppo rischioso.

Ma anche questa non è, né può essere tutta la verità.

Ci sono anche dei motivi, se possibile, ancora meno nobili: nelle università italiane di Sardegna non si insegna la lingua sarda! In Sardegna non esiste un docente di lingua sarda! Né un docente di sintassi del sardo! Né uno di fonologia del sardo! E neppure uno di morfología del sardo!

Tutti gli studi sulla grammatica del sardo e i suoi costituenti sono stati effettuati all’estero (con alcune eccezioni minori in università italiane non sarde), ma questi studi esistenti non entrano a far parte dei corsi delle università sarde. In Sardegna, “linguistica sarda” significa praticamente solo “Wagner (1941)”, cioè storia delle parole latine in Sardegna, scritta all’interno di un quadro teorico che era già vecchio quando Wagner lo ha utilizzato.

E una lingua non consiste solo di parole, ma soprattutto della sua grammatica.

Ecco allora quella che è forse la ragione principale dell’assenza di quei corsi di formazione per insegnanti: manca la gente che possa preparare gli insegnanti al loro compito. Fermatevi un attimo a pensare: chi conosce il sardo, in genere, conosce la storia delle parole sarde? NO! Conosce le parole e la grammatica del sardo. Chi dovrà insegnare la lingua sarda nelle scuole, dovrà essere preparato sul lessico e sulla grammatica (sintassi, morfologia e fonologia) del sardo. Conoscere la storia delle parole è probabilmente divertente, ma non serve per l’apprendimento della lingua.

E qui arriviamo al dunque: la fondamentale impreparazione dei docenti di “linguistica sarda”.

Si tratta di filologi, non di linguisti, e non sono abituati a trattare la lingua come qualcosa di vivo, un organismo in continua trasformazione che vive grazie al fatto che qualcuno la parla. I filologi sono quegli studiosi che si occupano di testi scritti, possibilmente molto vecchi, non della lingua vera, quella parlata. Il divorzio fra filologia e linguistica è avvenuto già un secolo fa, quando De Saussure ha gettato le basi della linguistica moderna.

È errato e fuorviante, quindi, chiamare “linguistica sarda” quella che è filologia.

In Sardegna poi insegnare la filologia tedesca dell’800, permettere soprattutto di vivere di rendita: niente faticose ricerche o altre pubblicazioni: a che servirebbero? Wagner ha già detto tutto! “Raramente lo sviluppo delle conoscenze scientifiche su una lingua è legato in maniera così stretta alla figura di uno studioso come è accaduto per il sardo con Max Leopold Wagner.”

Per fare un’affermazione come questa (che potete trovare nel sito seguente: http://www.gotosardinia.com/Storia%20della%20lingua%20Sarda.htm) uno è costretto a negare sistematicamente il tantissimo lavoro sul sardo, effettuato negli ultimi decenni, che non ha niente a che fare con il lavoro di Wagner. Quest’ultimo è molto voluminoso in verità, ma di limitata importanza scientifica. È infatti soltanto utile ai filologi, ma non ai linguisti. E naturalmente, questo vuol dire anche, semplicemente, che tutti quelli che hanno seguito il filologo tedesco hanno lavorato molto meno di lui: insomma, Wagner è grande solo nei confronti di chi si è limitato a seguirlo.

Ma neanche questo è un motivo sufficiente a spiegare la mancanza di corsi di lingua sarda.

Siamo seri. Se il sardo non viene usato come lingua veicolare nei corsi di “lingua e cultura” qualche motivo anche più prosaico ci sarà: i docenti in questione non sono in grado di parlare fluentemente il sardo. Non lo conoscono a sufficienza. E questo spiega anche molte delle resistenze da parte degli accademici rispetto alla ufficializzazione del sardo. Come al solito la situazione è tragica, ma non è seria: ve lo immaginate un docente di inglese, o anche di linguistica dell’inglese, che non fosse fluente in quella lingua? Che credibilità potrebbe avere un docente di sardo che svolgesse il suo corso in italiano?

Alle università sarde occorrono allora dei docenti di sardo e di linguistica del sardo che siano preparati e debitamente addestrati (cioè con un dottorato di ricerca sul sardo) e non semplicemente cooptati, sia pure mediante “concorso”, e naturalmente che parlino il sardo fluentemente. Penso che nelle università sarde non tutti siano contenti di questa, diciamo così, figuraccia. Chi può, allora, si dia da fare per migliorare questa situazione.

La Regione dovrà però da ora in poi stare molto più attenta nel distribuire milioni di euro a istituzioni che finora hanno dimostrato così poco interesse per il destino della lingua e della cultura della Sardegna.

Chi non scramentant immoi, candu?

 

 

 

 

 



 
 
 

 

 
diariulimba@sotziulimbasarda.net  © sotziulimbasarda 2004-2008,"e' vietato riprodurre articoli originali o estratti da questo sito senza l'assenso della direzione"