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14/09/2005 Sèberos de sa Retza - www.sardegnaelibertà.it 

Sas dimissiones mias

de Pàulu Maninchedda


Le mie dimissioni

Paolo Maninchedda


[09/09/2005] 
I capigruppo della maggioranza hanno rilasciato dichiarazioni alla stampa chiedendo le mie dimissioni da presidente della Prima Commissione. Quando accadono queste cose bisogna in primo luogo chiedersi se, dove e come si può aver sbagliato.

In un anno la commissione da me presieduta ha licenziato cinque provvedimenti di legge: Consiglio delle autonomie; riordino Esaf; nomina commissari enti locali; Comunità montane; trasferimento beni demaniali. Alcuni di questi provvedimenti attendevano una definizione da anni. Le leggi hanno retto al confronto con l’aula. I rapporti con l’opposizione sono stati improntati a correttezza e rispetto nella distinzione dei ruoli. Non si registra un mio atto né un mio voto contro la Giunta regionale. 

Ho lavorato sodo in uno spirito libero e leale con la coalizione.

Qual è allora la ragione della censura che mi viene comminata? L’aver utilizzato la libertà di parola in aula per tentare di correggere, con la parola e non con voti segreti e qualche altra cialtroneria, le posizioni - anche della maggioranza - che ritenevo erronee. Mi viene contestato un reato di opinione, un’eccentricità culturale rispetto alla disciplina di coalizione.

In politica può succedere anche questo e bisogna saperlo accettare senza smaniare. Io rimango nella maggioranza, non intendo organizzare reazioni, continuerò a difendere le mie idee. Giacché lo scontro è sulle grandi idee. Lo scontro verte su un’idea di società, di equilibrio di poteri, di garanzie, ma anche su un modo di intendere i rapporti umani, di volerli, da parte mia, liberi, non governati dalla paura, dal timore della ritorsione, dalla subordinazione suggerita dalla malattia atavica del conformismo e dell’opportunismo.

Io rimango in maggioranza e rimango libero.

La richiesta dei capigruppo va accolta perché si è al servizio di una legislatura che non deve fallire. Ma deve essere chiaro che essa parte da una censura politica e non da contenuti tecnici di equilibri consiliari.

Giacché lo scontro è sulle grandi idee occorre però subordinare le dimissioni all’emersione del problema delle garanzie parlamentari.

È dall’inizio della legislatura che ripeto che il nuovo sistema elettorale ha reso il ruolo del Consiglio regionale un ruolo ibrido, più di ratifica che di elaborazione, con un trasferimento verso l’esecutivo e verso i poteri e le persone ad esso collegati, anche della funzione istruttoria delle leggi. Conta più un consulente o un amico autorevole del presidente o di un assessore di quanto non conti un consigliere regionale.

Anche alcune idee di riforma riflettono questa impostazione. Ritenere che si debba andare verso un sistema con il Presidente della Regione concepito come il sindaco della Sardegna, significa depotenziare il Consiglio regionale da organo legislativo a organo amministrativo. Sarebbe la fine dell’autonomia. Nei prossimi mesi parlerò a lungo dell’inefficienza dei sistemi centralizzati, per il momento basti così.

Le prerogative di un parlamento in genere vengono difese da chi lo presiede. I presidenti della Camera e del Senato sono una sorta di contrappeso al presidente del Consiglio dei ministri, proprio per impedire forzature e subordinazioni del Parlamento all’esecutivo.

Nel mio caso è accaduta una cosa gravissima. Il presidente del Consiglio, che ha un potere illimitato nel governo dell’Assemblea, perché contro le sue decisioni non si ha un luogo terzo a cui appellarsi, ha voluto zelantemente partecipare alla caccia, rimuovendomi dalla I commissione e mandandomi nella seconda. Non tedio nessuno con questioni formali. Il contenuto è politico: il presidente ha usato poteri extra ordinem per partecipare ad uno scontro politico, anzi per essere lui a conseguire l’esito desiderato. Pensate a che cosa significa tutto questo in prossimità dell’approvazione del nuovo regolamento, che dà più poteri al presidente del Consiglio, riduce lo spazio di iniziativa del singolo consigliere, perché punta a migliorare l’efficienza dell’Aula. Le leggi non possono prevedere tutto. Il regolamento va cambiato, ma necessita di un’interpretazione alta, credibile, senza macchie. Se invece si ha a che fare con persone che dimostrano di subordinare il proprio ruolo alle logiche dello scontro politico, assecondando le derive autoritarie che fanno capolino nel sistema della Sardegna, allora occorre chiedersi che cosa accadrà con la vigenza del nuovo regolamento, interpretabile secondo logiche di fazione, in corrispondente vigenza del sistema elettorale che stiamo sperimentando.

Per questo motivo subordino le dimissioni all’annullamento formale del provvedimento con cui Spissu ha voluto spostarmi dalla I alla II commissione; occorre veder chiaro nei moventi di questa decisione e discutere del senso dell’iniziativa, del suo significato, discuterne nella direzione dell’aumento delle garanzie e non per processare nessuno. Io odio l’odio e il risentimento e in un linciaggio preferisco esser vittima che carnefice. Ma i ruoli debbono essere chiari, per le responsabilità e per la storia.



A segus