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10/10/2005 Seberos de Imprenta - La Nuova Sardegna 04/10/05

La lingua sarda ha un valore politico. Ma non esageriamo

di Antonello Mattone


04-10-05, pag. 15, La Nuova Sardegna - Fatto del Giorno



La lingua sarda ha un valore politico Ma non esageriamo



Antonello Mattone

Nel 1316 il podestà di Sassari, il genovese Cavallino de Honestis, faceva tradurre il codice latino degli statuti della città in volgare sardo. L’obiettivo era quello di rendere accessibile ad ogni cittadino sassarese e non («que se intendat da ogna persona») un testo che esprimeva l’elemento più importante della società del tempo, il diritto. Le «librus dessos capitulos in vulgure» (il codice pergamenaceo in Logudorese, oggi conservato nell’archivio storico del Comune) poteva essere agevolmente consultato «in sa corte dessu cumone», cioé nella curia del Palazzo di città. Seicentoottantanove anni dopo, intervenendo nell’aprile scorso alla cerimonia conclusiva del Premio Ozieri, il presidente Soru, constatando che la lingua sarda è la lingua del parlare quotidiano, ha auspicato l’uso del sardo nelle leggi e nelle ordinanze della Regione Autonoma della Sardegna. A tal fine era stata costituita una commissione di «saggi» per stabilire quale variante del sardo dovesse essere utilizzata come lingua ufficiale in alcuni atti dell’amministrazione regionale. Se il podestà trecentesco usava la traduzione in volgare per estendere la fruizione degli statuti, oggi la versione in sardo di leggi e ordinanze regionali avrebbe l’effetto opposto, giacché non tutti i sardi o i residenti nell’isola comprendono sa limba. È evidente che la traduzione delle leggi in sardo ha un valore - diciamo così - «propagandistico», teso a esaltare i valori dell’identità storica e culturale della Sardegna. Forse gli studenti di giurisprudenza di tutte le università italiane non studiano nei corsi di storia di diritto che la «Carta de Logu» d’Arborea è uno dei più importanti statuti del Trecento? È chiaro che se si giungesse all’idea della traduzione, le leggi in limba dovrebbero essere sempre, dico sempre, accompagnate dalla loro versione italiana, riferimento indispensabile per il contenzioso civile e amministrativo. In caso contrario gli effetti sarebbero devastanti. Già immagino un giovane praticante legale che chiede al collega: «Come si dire in sardo joint venture?». La commissione ha opportunamente respinto l’ipotesi di utilizzare la cosidetta lingua sarda unificata (cioè il sardo costruito a tavolino con tante «kappa» che sembra una lingua semitica) e ha deciso di puntare su una delle tante varianti esistenti considerata «sa limba sarda comune». Tramontato anche il «sardu de mesanìa», cioé il sardo parlato nell’alto Oristanese (Abbasanta, Ghilarza), dove convivono termini campidanesi e logudoresi, la Commissione ora dovrà scegliere tra i due idiomi più storicamente importanti e più adoperati dagli abitanti dell’isola. A favore del Campidanese spingono alcuni fattori: nel Cagliaritano vive circa la metà degli abitanti della Sardegna; il Campidanese è stato adoperato come lingua delle istituzioni già dalle cosidette carte volgari cagliaritane (secoli XI-XIII) e dalla normativa viceregia del secondo Settecento. Un elemento contrario è l’identificazione tra lingua ufficiale, capoluogo e governo regionale. Anche a favore del Logudorese depone l’uso assai antico - come emerge dai «condaghes» (cartulari monastici e laici) e dagli atti dell’XI-XIII secolo - di questa variante del sardo come lingua scritta. In Logudorese sono redatti poi i più importanti statuti trecenteschi (quelli di Sassari e di Castelsardo, la Carta de Logu). Il logudorese, dal Quattrocento in poi, è stato considerato, l’«unica» lingua letteraria, il «volgare illustre» della Sardegna. Vedremo nei prossimi mesi come la commissione e il governo regionale riusciranno a sciogliere il nodo. Una nota a margine. Posso testimoniare (per esperienza diretta) che il livello di conoscenza delle lingue straniere e, in particolare, dell’inglese è tra gli studenti universitari, ma anche tra i laureati, estremamente basso. A ciò si deve aggiungere una conoscenza precaria della stessa lingua italiana nei suoi aspetti sintatici e grammaticali. Sono d’accordo per valorizzare «identitariamente» il sardo ma, per cortesia, non esageriamo. 

A segus