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18/10/2005 Parres lìberos

Baingiu Sanna e sos sardos

de Graziano Fois


Cari di Sotziu Limba,

Sanna scrive o dice: "E' un popolo di accattoni che si esaltano per concetti quali balentia e sardità. Si masturbano davanti allo specchio e pensano di essersi fatti Sophia Loren". Quando si leggono certe frasi bisogna analizzarle, io credo che ci sia da dire, da glossare, da interpretare. Non siamo di fronte a Bossi o Calderoli.
Io penso che intanto il giudizio sia un'iperbole dovuta alla rabbia di sentirsi traditi da un popolo. Che Soru e la sua cricca siano il popolo sardo ci sarebbe da discutere, certamente però ne rappresentano una buona fetta, se prendiamo come parametro i risultati elettorali.
Analizziamo il giudizio e vediamo di proporre alcuni punti di discussione aperta di cui mi faccio proponente. Insomma un momento di riflessione, come si diceva negli anni Settanta.
1) popolo di accattoni: vero o falso? Beh, a favore della verità è che i sardi non hanno fatto che chiedere soldi ad un governo, quello italiano (e i suoi sub-agenti della Regione), soldi, senza ottenerne molti a fronte di quelli che con le tasse si versano. E allora perché invece di chiedere i soldi non si applicato lo Statuto su alcuni punti in cui dava la possibilità di prendere soldi legalmente e senza chiedere con la mno tesa? Alludo alle quote che la Regione avrebbe dovuto avere dall'Enel, al tempo dei tempi.
2) è vero, purtroppo che i sardi si esaltano alla balentìa. Che esistesse forse è vero, che sia un mito inutile e dannoso è chiaro. Posto che essere balentes oggi non vuol dire sparare a una caserma dei carabinieri (tra l'altro è troppo facile oltre che vile, più che da balentese), dov'è la balentia sarda nella cabina elettorale? Meglio tacere.
3) La frase sulla Loren la interpreto in un altro modo: i sardi hanno due modi esattamente opposti di porsi di fronte all'esterno: o cercano a tutti i costi di farsi riconoscere come bravi, buoni, civili, fighi dagli italiani (lo chiamano complesso di inferiorità) oppure si chiudono in un solipsismo da masturbazione, nel senso che non hanno più bisogno di sentirsi riconosciuti da niente e nessuno e se la cantano e se la suonano tra loro, in gruppi ristretti, in circoli, groppuscoli, giri di amici dove uno dice all'altro che è un grande studioso, artista, poeta etc. etc., e se lo dicono fra loro. Alla fine si arriva a scoprire che Fulanu è il miglior scrittore d'Italia e che Bodale è un grandissimo regista, senza che nessuno possa più criticare (in maniera costruttiva).
Allora, cari amici, prendete questi appunti come materiale su cui lavorare, certezze non ce ne sono; tantomento si senta colpito il singolo, qui si sta cercando di analizzare una mentalità sociale, non i sentimenti intimi di una persona nè i suoi comportamenti. Però sono del parere che se ci sono ferite, il chirurgo deve intervenire. Forse farà male, ma dopo il paziente starà meglio.
Se qualcuno ne vuole discutere dica la sua, ma premetto che mi piacerebbe (è un augurio) molta serenità, lasciando da parte gli impulsi rabbiosi che possono scattare leggendo certe frasi, credo (e spero) dettate da un uomo che si è sentito tradito. Ha fatto bene a parlare così? Se non altro meglio queste parole che le frasi fatte di tanti amministratori comunali (di quelli regionali non parlo, cosa c'è da discutere? Sul nulla, nulla si discute) che si riempiono la bocca con parole come "recupero dell'identità", "recupero della memoria" e altre frasi para-sardiste e poi autorizzano la distruzione di palazzi del '600 e di chiese perchè "sono vecchie". Alludo al suicidio culturale iniziato in Sardegna negli anni Cinquanta e che continua anche oggi, a ritmi più lenti, ma sempre nell'indifferenza di tutti, compresi gli amministrati di quel sindaco o di quell'altro dove si butta giù la chiesa o il palazzo.
A presto.
Graziano Fois
Casteddu-Cagliari
P.S. Non ho esposto delle posizioni di cui sono dogmaticamente certo, sono degli spunti, quindi non "massacratemi" per questi spunti, ma per le mie posizioni, ma quando avrò un quadro più chiaro, non facile in periodi così tristi.

A segus