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18/10/2004 Unu contributu de importu a su traballu de "Limba de Mesania"

"Sa limba de Elianora, giuighissa de Arbarei"

de Mauro Podda 

INTRODUZIONE


Spesso sento domandare a me che sono cultore ed appassionato di lingua e cultura sarde: "A che cosa serve studiare il sardo?". Già, a che serve?
Bisogna intendersi sul significato che si vuole dare al verbo "servire".
Se si intende " a che cosa serve il sardo per lo sviluppo economico della Sardegna?", allora forse la risposta è che non serve!
Per dire la verità in un mondo economicamente globalizzato probabilmente l'unico modo per sostenere la concorrenza dei paesi del terzo mondo in rampante sviluppo, è quello di caratterizzare i prodotti sommandovi il valore aggiunto della qualità e della particolarità che li individui meglio e che li renda più attraenti ai consumatori più sofisticati del mondo occidentale. E per una regione come la Sardegna, che non ha produzioni di massa, il caratterizzare i propri prodotti e la propria immagine turistica con la qualità e con un colorito "etnico" (di un esotismo vicino e comodo) anche tramite l'uso della lingua sarda , può essere un utile volano allo sviluppo. 
La lingua può dunque essere utile anche per lo sviluppo economico, nel medio-lungo periodo. Nel breve periodo, certo, può dare posti di lavoro, forse, solo ai cultori della materia (fra i quali il sottoscritto si spera). Ma in politica economica, se si vuole andare lontano, bisogna saper guardare al di là del proprio naso! 
Vi è inoltre un altro significato che si può dare alla parola "servire".
Gli esseri umani, si sa, sono animali sociali; sono individui che hanno necessità di vivere insieme, e per vivere insieme sono necessarie delle regole e dei valori comuni e condivisi. In caso contrario la convivenza è difficoltosa. 
Tra i valori e tra le regole che li esprimono vi è la lingua.
La lingua è il modo di esprimersi particolare di ciascun gruppo umano; ne veicola, appunto, le altre regole e gli altri valori.
E' il modo più immediato, dopo la consanguineità, di classificare un altro essere umano come "uno dei nostri" o uno straniero, atto che è necessario, al nostro subconscio, per la nostra sicurezza e serenità. Senza arrivare agli eccessi drammatici che la storia (anche recentissima) ci ha consegnato del nazionalismo xenofobo e del razzismo, il senso di appartenenza ad un gruppo etnico-linguistico fa parte della nostra umanità dalla notte dei tempi.
Ebbene, la storia ha consegnato ai Sardi, oltre a tutta un insieme di tradizioni uniche che fanno di noi una nazione (appare quasi superfluo ricordare gli abiti tradizionali e l'artigianato tessile in genere coi loro colori e disegni particolari, il ballo tondo, le launeddas, il canto a tenores, i mammuthones e via elencando), anche una lingua che, sia pure nell'alveo della cultura latina, è particolarissima e decisamente differente da tutte le altre.
La lingua sarda è il modo di esprimersi che il popolo sardo ha da duemila anni e costituisce la sua principale tradizione nonché il suo principale vincolo.
Annientare la lingua sarda significa annientare politicamente il popolo sardo e i suoi vincoli di convivenza.
Bisogna quindi sgombrare il campo da equivoci: è necessario rivalutare l'uso della lingua sarda proprio per il significato profondamente civile e politico, oltre che culturale, dell'identità in un gruppo umano.
La questione è quindi soprattutto politica, nel senso più nobile del termine!
Qui non si tratta di antistoriche pretese di indipendenza politica: non sto sognando un Repubblica Sarda con tanto di proprio esercito e ambasciatori! Tanto più che i Sardi, come Europei, sono incamminati verso un processo oramai irreversibile di unificazione politica continentale.
Si tratta quindi sì di forte autonomia legislativa e amministrativa, ma soprattutto di consapevolezza del popolo sardo di essere una comunità umana con propri interessi e valori.
Si tratta insomma di avere una forte unità morale e di intenti politici.
E per fare ciò la rivalutazione della lingua etnica ha una valenza essenziale, come essenziale è che questa lingua abbia una forma ufficiale unica. E' dunque necessaria, per evitare l'estinzione della lingua sarda nel giro di un paio di generazioni, un energica politica linguistica che crei un modello di riferimento "normalizzante" per l'uso che di una lingua si fa in una società moderna quale è oggi la Sardegna: non possiamo permetterci di aspettare che nasca un novello Dante Sardo che s'inventi un volgare illustre!
Arrivati a questo punto però diventa inevitabile rispondere ad un altro tipo di obiezioni e di domande: "Quale lingua sarda?"
E' indubbio che i sardi, soprattutto oggi che sono alfabetizzati e acculturati esclusivamente con la lingua italiana, e che questa ha occupato tutti gli spazi della comunicazione, identificano la lingua sarda con la lingua del proprio paese o zona.
Noi Sardi, si sa, siamo molto campanilisti, tanto che questa caratteristica è diventata perfino oggetto di comicità (chi non ricorda il sindaco Benito Urgu che, pur di non dare l'acqua a "quelli del paese vicino", all'acqua "avrebbe dato fuoco"!); tuttavia a mio parere questa caratteristica è stata troppo sopravvalutata a detrimento del comune senso di appartenenza alla "sarda nazione".
E' interessante in proposito un recente studio sul senso di identità compiuto in Ogliastra e Barbagia , che ha evidenziato come il senso di identità paesana non sia in contraddizione col senso di appartenenza al popolo sardo, anzi che questo sia sentito generalmente in maniera più pregnante e incisiva.
Questo studio (e gli altri che verranno) può essere molto utile a chi si dovrà occupare di politica linguistica in Sardegna.
Il recupero della lingua sarda non può che partire, soprattutto al livello di trasmissione della lingua alle nuove generazioni e quindi nella scuola, dalla varietà locale, quella cioè con cui gli alunni sono più o meno a contatto in famiglia e con gli amici.
Ma a questa si dovrà aggiungere una koinè che unifichi moralmente tutti i sardi e consenta loro la reciproca comunicazione soprattutto scritta, salvaguardando il senso di giustizia e di equità profondamente innato in tutti gli esseri umani ed in particolare in gente individualista e "testa dura" come i Sardi.
Questa koinè, (che per la verità la storia ci ha già consegnato non in una grande opera letteraria, che in Sardegna è mancata, ma in quello splendido monumento giuridico, culturale e linguistico che fu ed è la "Carta de Logu " del Giudicato o Regno di Arborea), dovrà cercare di rintuzzare la suscettibilità linguistica e socio-antropologica delle varie zone della Sardegna e solo così potra essere accettata come modello unificante almeno nel mezzo scritto, (anche se non ci si può nascondere la speranza che in un futuro più o meno lontano possa unificare anche la lingua parlata), senza insinuare superiorità di nessun tipo!
E già, perché, nel campo della lingua sarda, di presunte superiorità ne sono state accampate parecchie.
Molti linguisti, a cominciare dal sommo Wagner, sono stati affascinati dalla supposta conservatività dei dialetti del Capo di Sopra e dell'area Nuorese-Barbaricina in particolare. In effetti questi dialetti hanno in buona parte conservato le caratteristiche dello strato latino dell'epoca della conquista della Sardegna (III, II, I sec. a.c.), ivi fossilizzatosi e poco intaccato dalle innovazioni linguistiche successive. E' nato quindi il mito della maggiore vicinanza al latino di questi dialetti, come se il latino fosse un monolito invariabile durante i 1200 anni di esistenza dello Stato Romano.
In verità non risulta che gli antichi Romani conoscessero il "colpo di glottide" né l'interdentale fricativa /?/ e nemmeno che pronunciassero /abba/ anziché AQUA. In effetti il sardo nuorese, caso forse unico nella Romània, può dare indicazioni e conoscenze del latino di età repubblicana, ma questa importanza scientifica, questo fascino dell'arcaicità che tanto impressiona i linguisti, si è mescolato, misconosciuto, col fascino della "purezza linguistica". 
Il sardo barbaricino sarebbe il "sardo puro", mentre le altre varianti della lingua sarda sarebbero "contaminate"!
Da qui a considerare i Barbaricini come gli unici sardi "etnicamente puri", mentre gli altri sardi sarebbero "impuri" mischiati con lo straniero, il passo è breve, e da molti questa considerazione, nemmeno troppo velatamente razzista, è, magari non del tutto non esplicitamente, espressa.
Naturalmente se i Barbaricini fossero gli unici Sardi puri, non si capisce perché parlino la splendida ed arcaica lingua dei conquistatori Romani!
Ma tant'è! Fioriscono intanto le discussioni, autorevolmente sostenute, sulla "costante resistenziale" (dei Barbaricini naturalmente), cioè dell'opposizione ad ogni tipo di assimilazione proveniente da oltre mare. Al fascino dell'arcaicità della lingua si sommano il fascino dell'arcaicità dei costumi di vita e del pastore buon (si fa per dire) selvaggio, testimone di un antico ed indomito stile di vita, volontariamente refrattario a qualsiasi omologazione. 
Non è chiaro a costoro quanto dipenda dalla difficilissima lotta quotidiana per la sopravvivenza in un ambiente ostile questa supposta mancata assimilazione ai valori universali della civiltà europea!
I miti sono assai duri a morire e provocano tutt'oggi errori clamorosi di prospettiva storica e politica, come il progetto di "Lingua Sarda Unificata" o L.S.U., basata pressochè esclusivamente sulla varietà Nuorese!
La suddetta proposta è fondamentalmente fallita proprio perché partiva da quei presupposti che sopra abbiamo accennati, che sono dei falsi storici, antropologici, sociologici!
Era votata al fallimento perché concettualmente escludeva i "Sardi non puri". Può sembrare forse un'esagerazione, ma era una proposta fondamentalmente e francamente razzista! E oltretutto minoritaria, perché non si può fare a meno di considerare che i sardofoni sono per due terzi nel sud dell'isola, mentre i "Nugoresofoni" non saranno, esagerando, più di centomila!
L'arcaicità non è un valore di per sé, ma lo può essere solo nel momento in cui serve a caratterizzare la lingua sarda rispetto alle altre lingue romanze e all'italiano, lingua dominante, in particolare.
Una proposta di lingua sarda comune non deve escludere ma unificare, essere punto di confluenza non di divisione. Deve coinvolgere tutti i Sardi di qualsiasi regione o paese dell'isola, compresi quelli che, per varie e non del tutto chiarite vicende storiche, tradizionalmente parlano varietà alloglotte come il catalano di Alghero o il corso di Sassari e della Gallura , senza prevaricazioni e nel rispetto di tutte le culture, ma all'interno di un moto unitario. Deve coinvolgere i Sardi della provincia e i Sardi miei concittadini della capitale Cagliari, notoriamente refrattari questi ultimi ad un idea ruspante e pecoreccia della sardità, senza tuttavia aver mai rinunciato ad essa.
Queste stesse ragioni sconsigliano di adottare una standardizzazione delle due grandi macro-varietà della lingua sarda: quella settentrionale (altrimenti chiamata anche Logudorese anche se sotto questo nome sono ricomprese variètà come quelle delle Baronie che non sono e non sono mai state storicamente Logudoro) e quella meridionale (altrimenti chiamata anche Campidanese anche se mai e poi mai un Ogliastrino o un Barbaricino di Belvì o di Seulo considererebbe se stesso un Campidanese! Bisogna fare attenzione alla storia, all'antropologia e alla psicologia sociale!)
Infatti questa soluzione presenta quattro ordini di problemi:
1. il primo, squisitamente politico, è che siffatta soluzione non apporterebbe quella desiderata unificazione di intenti del popolo sardo, che è l'unica vera ragione per la difesa e rivalutazione della lingua sarda, al di là del mero folklore.
2. il secondo è che risulta tecnicamente costoso: ve l'immaginate la Regione che pubblica atti amministrativi e leggi in tre lingue (italiano, Sardo meridionale , Sardo settentrionale e, perché no, anche in Sassarese, Gallurese , Algherese ecc); una babele costosa ed inutile perché i Sardi, per capirsi, continuerebbero a parlare Italiano, più comodo e unica lingua comune!
3. il terzo è che una qualsiasi standardizzazione, anche entro le due macrovarietà, comporterebbe comunque dei sacrifici di alcune comunità a scapito di altre: come spiegare ad un Terralbese che si dovrebbere scrivere /meloni/ e non /mebõi/, per quale alta ragione dovrebbe rinunciare alla sua varietà: per l'unità del fiero popolo campidanese? 
4. il quarto è che la suddivisione della lingua sarda in due macro-varietà è comoda dal punto di vista della semplicità della classificazione, ma non rende affatto giustizia a tutte quelle varietà di transizione, che oggettivamente, possono essere classificate come settentrionali per alcune caratteristiche e meriodionali per altre.
E' dunque questa una proposta debole, che non avrebbe nessuna sostanziale incisività nello sforzo di salvaguardare la lingua sarda, mentre per evitare che la stessa nel giro di due generazioni si estingua è necessario una politica linguistica decisa, e qualche sacrificio dei particolarismi.
Si è arrivati quindi alla terza proposta di standardizzazione che circola oggi: la lingua di "mesania". In effetti la proposta che illustrerò nelle pagine seguenti si inserisce nell'idea della lingua di "mesania", distinguendosene tuttavia per due caratteristiche fondamentali:
· è una lingua colta, nel senso che trae origine non dalla lingua effettivamente parlata ma da un testo giuridico medioevale (la Carta de Logu di Arborea) sia pure adattato alla situazione attuale: idonea pertanto più di altre ad un linguaggio amministrativo "ufficiale";
· non è la lingua di nessun luogo preciso ma comunque di una zona, l'antica Arborea, area di "mesania" per elezione. Scriveva infatti Antonio Sanna : "Quanto alla Carta de Logu è sicuro che in essa si riflette fedelmente il parlare dell'area arborense con caratteri antichi e nuovi che si incontrano: per intenderci, caratteri di tipo logudorese e innovazioni campidanesi, in un area intermedia, come ci dimostrano chiaramente i dialetti odierni di questa zona"; e ancora: "Deve essere chiaro comunque, che quando qui parliamo di caratteri arcaici non intendiamo sottolineare questa qualità (che in assoluto può non avere grande significato) ma esclusivamente la singolarità: quella che ci può autorizzare a parlare di una varietà arborense autentica, - conservata frammentariamente - in molti dialetti della zona anche ai nostri giorni e, con caratteri diversi ma coerenti, nell'area ogliastrina".
Ma la sua caratteristica fondamentale risiede nel fatto che è la lingua di Eleonora di Arborea, forse l'unico personaggio sardo della storia conosciuto da tutti i Sardi come simbolo di indipendenza e unità. 
Noi possediamo della Carta de Logu un manoscritto la cui datazione è incerta, probabilmente copia dell'originale, nonché alcuni incunaboli della prima stampa del 1480/85. Non possediamo cioè il manoscritto originale elaborato dalla cancelleria del Giudicato di Arborea. A rigore dunque non conosciamo quale fosse esattamente la lingua della corte giudicale oristanese, poiché le riproduzioni successive hanno sicuramente variato in parte l'espressione linguistica originale. Ma a questo punto poco importa conoscere quale fosse esattamente la vera lingua di Eleonora: ci importa conoscerne le caratteristiche essenziali e che passi il messaggio di fondo!
Questo messaggio può essere il veicolo principale dell'operazione di "marketing" di una politica linguistica che voglia far capire realmente ai sardi il valore della propria lingua e l'interesse primario nella propria comunità al suo riutilizzo in tutti i campi della comunicazione, formale ed informale, scritta e orale, letteraria o scientifica. 
Molti sardi vedono nel recupero della lingua sarda un ritorno ai tempi della povertà, dell'ignoranza, dell'emarginazione, dell'arretrata economia agropastorale: insomma, un regresso sociale. E' per questo che il tema linguistico non ha mai pagato in termini elettorali. Ma non ha mai pagato perché è stato proposto sempre male, in termini folkloristici, rozzi, incolti. La lingua sarda deve invece essere proposta in termini di modernità, cultura, libertà, progresso, senza dimenticare il mondo tradizionale, agricolo e pastorale, nel quale affondano, profonde e sincere, le radici della nostra cultura.
Questo è il reale e vero motivo della scelta effettuata, possibilmente con tutte le caratteristiche del rigore della scienza linguistica: una scelta con una forte ideologia politica che la sostenga per un modello di lingua che sia, dicendola con Dante "cardinale, aulico, curiale"!
Vediamola dunque, questa "Limba de Elianora, Giuighissa de Arbarei"!



REGOLE DELLA LINGUA SARDA DI COMPROMESSO
BASATA SULLA VARIETÁ ARBORENSE
DELLA CARTA DE LOGU


Mi sono dunque ispirato alla Carta de Logu (CDL) di Arborea e traendo le regole di quella varietà, ho realizzato una proposta per la standardizzazione della lingua sarda almeno (inizialmente) per gli usi scritti del principale ente politico isolano, cioè "su Giuigadu Autonomu de sa Sardingia" (la Regione Autonoma della Sardegna): mi pare che il risultato possa essere gradito, o quanto meno considerato accettabile, dai più. In relazione al suo insegnamente inoltre, partendo dalla varietà locale, è evidente una distanza notevolmente inferiore dalle due varietà estreme del nord e del sud rispetto alla proposta della Limba Sarda Unificada. 
Uso per la scrittura la grafia italiana, perché tutti la comprendono e la possono utilizzare facilmente, e ciò semplifica di molto l'apprendimento della lingua soprattutto da parte degli adulti.
Caratteristiche fondamentali:
· E' la lingua della Carta de Logu di Arborea, ovvero di un documento giuridico di grande importanza nella storia del diritto europeo e di grande influenza nella storia e nella società sarde poiché è un codice di norme che è rimasto in vigore nell'isola per più di quattro secoli, (sostituito solo nel 1827 dal Codice Feliciano), splendido esempio della cultura e della civiltà giuridica medioevale sarda.
· E' la lingua dell'Arborea, anzi di Eleonora d'Arborea, cioè di uno stato e di un personaggio che hanno rappresentato nella storia (e forse soprattutto nel mito) dei sardi il momento di maggior evidenza del desiderio di una propria individualità politica e identitaria.
· E' una lingua di compromesso, mista, linguisticamente, geograficamente e antropologicamente. Linguisticamente è un tipo che accomuna in mirabile equilibrio sincronico le caratteristiche conservative dei dialetti del nord con quelle innovative del sud. Geograficamente è la lingua, in parte tutt'oggi, della fascia centrale (più propriamente centro-occidentale dell'isola), a metà strada tra nord e sud. Antropologicamente perché la stessa regione, più di altre è uno storico punto di incontro tra la civiltà agricola della pianura meridionale e la civiltà pastorale degli altipiani e delle montagne del nord. (Oristano, erede storica di Forum Traiani, centri mercantili di incontro tra le due Sardegne). 
· E' una lingua socialmente e politicamente neutra. Non è esattamente la lingua di nessun paese o zona, perché trae sì le sue radici da una determinata zona linguistica, ma nasce da un documento scritto medioevale, e dunque, nelle sue caratteristiche complessive, è una lingua modello, non parlata esattamente da nessuna parte, e dunque non sottoposta a quelle spinte campanilistiche, che sono una caratteristica del nostro popolo (talvolta anche un limite: "chentu concas, chentu berritas" - "pocos, locos y mal unidos"), piccola patria di piccolissime patrie. 
Insomma, io propongo una lingua che, come scriveva De Santis parafrasando Dante, 
"è dappertutto è non è in alcuna parte"!
· Le caratteristiche linguistiche sono quelle tratte dall'edizione della Carta de Logu di F.C. Casula , che riprende l'edizione di Mameli de' Mannelli del 1805 che a sua volta sembra risalire alla prima edizione a stampa del 1480/85. Ho tenuto conto anche dell'edizione critica e comparata di alcuni capitoli da parte di Blasco Ferrer tratti sia dall'unico manoscritto pervenuto sia dall'incunabolo del 1480/85. A questa lingua sono state fatte solo due importanti modificazioni: 1) L'articolo detreminativo plurale, 2) l'esito fonetico di L+I latine.
Si parte dal presupposto che la lingua sarda sia sostanzialmente unitaria: infatti ha molta variabilità nei caratteri superficiali fonetici, ma sostanziale uniformità (con le eccezioni che affronterò) in campo lessicale e nei profondi caratteri morfo-sintattici.
Si tratta quindi in primo luogo di ridurre la grande variabilità delle manifestazioni fonetiche (e delle loro rappresentazioni grafiche), che è ciò che il locutore percepisce immediatamente, ma anche di operare delle scelte in campo morfologico, anche se qui la variabilità potrebbe essere maggiormente tollerata, soprattutto nelle manifestazioni artistico-letterarie.
I criteri con i quali sono state effettuate le scelte sono diversi, ma, in primo luogo:
· Un determinato fenomeno linguistico deve essere presente ed anzi prevalente nella Carta de Logu.
Sussidiariamente, ed in ordine decrescente di importanza, scelgo:
· Il fenomeno linguistico più frequente in documenti coevi di area arborense;
· Il fenomeno linguistico territorialmente più esteso (prevalenza diatopica);
· Il fenomeno linguistico storicamente più diffuso (prevalenza diacronica);
· Il fenomeno linguistico più prossimo alla radice etimologica.
REGOLE FONETICO-GRAFICHE FONDAMENTALI


1. Vocali finali e/i: ho scelto la vocale alta "i", caratteristica innovativa, come usa perlopiù la CDL (per la verità nella CDL gli esiti sono oscillanti con prevalenza però della variante da me scelta) in modo che le parole che nelle varianti settentrionali terminano in "e" (E etimologica latina) come "cane" o "andare" escano in "i": "cani" - "andari", come nelle varianti meridionali;
2. Per semplicità le parole che nel Capo di Sopra terminano in "o" le faccio terminare in "u" altra caratteristica innovativa meridionale: anche nella CDL è sempre così ("domu" e non "domo"); per i Sardi del sud inoltre sarebbere piuttosto difficile comprendere quali siano le (poche per la verità) parole che terminano in "o" nel logudorese, non essendoci altre ragioni se non quelle puramente etimologiche; sia la presente caratteristica che quella precedente non sono del tutto sconosciuti al nord soprattutto nel parlare veloce a testimonianza di un'originale oscillazione del fenomeno, stabilizzatosi poi in senso innovativo solo in area meridionale ;
3. Il plurale delle parole maschili lo faccio terminare in "os" ("fogos" e non "fogus") caratteristica conservativa settentrionale: nella CDL terminano sempre così; la regola risulta molto semplice da apprendere: singolare in "u" plurale in "os";
4. Adopero "abba" e non "àcua", come forse si usava in tutta la Sardegna nei tempi passati e come usa sempre la CDL e attualmente caratteristica tipica e conservativa del settentrione ma anche di larghe zone del meridione: dunque QU e GU latine, ma anche delle parole campidanesi che innovano per influenza alloglotta, si trasforma in > /p/ o /b/;
5. Per le stesse ragioni adopero: 
· "chelu" e non "celu", caratteristica conservativa del settentrione; mantengo cioè le velari occlusive latine, sonorizzando /k/ in posizione intervocalica: anche il campidanese antico conservava le velari.
· "giogu" e non "zogu", alla meridionale anche se questo suono era in passato anche del settentrione , che ha innovato solo in età moderna; in posizione iniziale intervocalica ma solo davanti a vocale [e]la affricata palatale /d?/ si dilegua >Ø.
· "isprigu" e non "sprigu", alla settentrionale : cioè si inserisce la prostesi vocalica /i/ davanti a /s/ quando questa è seguita da un'altra consonante.
6. Oltre a K anche le altre occlusive sorde latine P e T nonché la labiodentale spirante sorda F si sonorizzano e spirantizzano in posizione intervocalica: pertanto all'interno della parola avremmo b /ß/, d /d/, g /?/, v, ma all'inizio di parola si scriverà la sorda, pronunciata sonora in posizione intervocalica.
7. Adopero la prostesi vocalica davanti a "r" (/a/ se la prima vocale è /a/, /e/ se la prima vocale è /i/ o /e/, /o/ se la prima vocale è /o/), sebbene nella CDL non ci sia (se non in un unico esempio): è adoperata però oggi nelle varietà meridionali e in tutta la Sardegna centrale ed in Barbagia, dunque si può pensare che così fosse ai tempi di Eleonora e non fosse trascritta per una tradizione latineggiante. E' largamente presente peraltro in altri documenti medioevali di area arborense come il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado .
8. Per le stesse ragioni adopero la "tz" /ts/ al posto della "t" /t/ o "th" /?/ nelle parole come "pratza" (e non prata o pratha) da T+J etimologica; la CDL scrive queste parole con la "zz" /ts/ e con la "ç" /t?/. Il suono della "c" /t?/ è d'uso nel Sulcis e a Desulo e e può essere che in passato fosse adoperato in altri luoghi, ma oggi in tutta l'Arborea si usa "tz" /ts/, alla campidanese.
9. Esito L+J: accanto al Logudorese "muzere" /mudzere/ e al campidanese "mulleri" ci sono in Sardegna altre varietà. Per esempio in Ogliastra dicono "mulgeri": L+J> /ld?/. Ho scelto pertanto questa variante perché è una tappa fonetica intermedia da cui sembrano discendere gli altri esiti. La CDL usa "mugeri", forma intermedia tra /ld?/ e /d?/ ma anch'essa utilizzata in pochi paesi dell'area centrale e che pertanto non avrebbe accontentato quasi nessuno. Inoltre la soluzione mi sembra coerente con gli esiti R+J e N+J, che danno nella CDL regolarmente /rd?/ e /nd?/.
10. Adopero le forme intere del participio passato ("andadu" e non "andau") e dell'infinito (" andari" e non "andai"), e in genere la forma intera delle parole come "pro" e non "po", "ogru" e non "ogu", alla settentrionale. Ma le occlusive etimologiche B, D, G, e la labiodentale V sonore latine si dileguano in posizione intervocalica. All'interno della parola pertanto i predetti fonemi si dileguano definitivamente mentre all'inizio di parola si dileguano in posizione intervocalica ma si continuerà a scriverli affinchè le parole vengano sempre scritte alla medesima maniera: si scriverà "sa domu" e si pronuncerà /sa ?mu/.
11. Generalizzo il betacismo da U etimologica (/w/) come in quasi tutte la varianti del sardo eccetto alcuni dialetti centro-orientali.
Come si può osservare le peculiarità fonetiche caratterizzanti la lingua sarda rispetto alle altre lingue romanze (soprattutto il mantenimento delle occlusive velari, il nesso QU/GU> /b/ - /p/, le prostesi vocaliche davanti a R, l'elevazione della vocale finale E in /i/ ) sono conservate, confermando al sardo quelle sue qualità che lo rendono decisamente "esotico" in particolare nei confronti dell'italiano.



REGOLE MORFOLOGICHE FONDAMENTALI

1. L'articolo determinativo plurale: sebbene la CDL adoperi solo la forma Settentrionale, io ho scelto, per il grande impatto psicologico nella lingua dell'uso dell'articolo, di non tralasciare la forma campidanese e ispirandomi ad un'ipotesi di Giulio Paulis , adopero "is" se l'articolo è preceduto da una parola che termina con consonante o ad inizio di frase, e "sos/sas" quando è preceduto da una parola che termina per vocale. Scrive Paulis: "Al plurale la forma IPSOS dovette avere ben presto, nel tardo latino, due diverse varianti, a seconda delle diverse situazioni fonotattiche: quando il pronome era seguito e preceduto da consonante (…VIDENT IPSOS CABALLOS) oppure era preceduto da consonante e seguito da vocale (…VIDENT IPSOS ASINOS) si conservavano tutte e due le sillabe. Invece, quando il nome era preceduto da vocale e seguito da vocale o da consonante si conservava solo la seconda sillaba (VIDEO SOS ASINOS - VIDEO SOS CABALLOS)." Si ipotizza quindi che inizialmente fossero presenti in tutta la Sardegna le due forme, quella meridionale (magari integra: issos-issas), e quella settentrionale (e ciò è effettivamente attestato nelle fonte medioevali di area meridionale). Facendo un passo indietro nel tempo io tento di ripristinare questa antica situazione salvando nell'uso le due forme e operando una decisa riconciliazione delle due versioni apparentemente inconciliabili.
2. Adopero "ddu" e "ddoi" come la CDL (dove sono scritti "illu" e "illoy"), alla meridionale anziché "lu" alla settentrionale: conservo cioè la L lunga latina dei pronomi ILLUM/A/OS/AS e dell'avverbio ILLOC con la regolare trasformazione in suono cacuminale (al posto di ddoi si possono naturalmente adoperare anche gli altri avverbi: "nchi" e "bi").
3. Preferisco la forma settentrionale del congiuntivo imperfetto ("esserit" e no "fessit") come fa la CDL anche perché è una forma arcaica unica in tutto il panorama romanzo ed è quindi fortemente caratterizzante la lingua sarda. Inoltre la forma prescelta non era sconosciuta alle varianti meridionali nel medioevo ; scrive M.L.Wagner infatti: "Nel camp., che in antico possedeva pure il congiuntivo dell'imperfetto (-arit, irit), questa forma è del tutto scomparsa ed è stata sostituita dal congiuntivo del piuccheperfetto, in imitazione dell'uso catalano e forse in parte italiano". Il congiuntivo imperfetto infine non è un tempo verbale molto usato nel linguaggio giuridico-amministrativo e scientifico. Nell'uso letterario invece può ben essere tollerata anche la forma meridionale.
4. Scelgo la forma meridionale del condizionale (presente e passato) con l'ausiliare HABEO/HABEBAM anziché quella con l'ausiliare DEBEO/DEBEBAM, esclusiva del settentrione, perché mi sembra più semplice e coerente con le forme del futuro; inoltre le forme con l'ausiliare àeri (avere) sono diffuse anche nel nord in concorrenza con dèperi (dovere) .
5. Preferisco la forma settentrionale e conservativa del pronome possessivo di 1^ persona (meu/a/os/as), nel medioevo diffusa, almeno per il genere maschile anche al meridione, e la forma meridionale dei pronomi di 2^ e 3^ persona (tuu/a/os/as - suu/a/os/as).
6. Per i pronomi personali tonici di 1^ e 2^ persona plurale scelgo quelli meridionali (nos - bos, con eventuale vocale paragogica finale "u"), che mi sembrano più coerenti col sistema latino, mentre per la serie atona nelle stesse persone reintroduco quelli settentrionali tonici, con valore dunque invertito ma nel rispetto dell'etimologia latina (NOBIS> nois - VOBIS> bois), i quali mi sembrano anche all'origine delle attuali versioni meridionali "si" (NOBIS>nois>noisi>nosi>osi>si ?).
7. Scelgo la forma completa, con "nt" finale, della terza persona plurale dei verbi, come in tutto il sud e in tutta l'area arborense. Anche la CDL privilegia questa forma.



REGOLE LESSICALI FONDAMENTALI

Io non credo che la questione del lessico sia fondamentale in progetto di modello linguistico.
Credo anzi che sia necessaria la massima libertà, nell'uso scritto, di tutti i vocaboli sinonimi e, nell'uso orale, di tutte le varianti fonetiche di un medesimo vocabolo.
In tal senso è encomiabile il lavoro di Mario Puddu che, nel suo Ditzionariu , elenca tutti i vocaboli conosciuti e buona parte delle variabili fonetico-grafiche degli stessi vocaboli (un elenco completo delle suddette variabili è per la verita piuttosto difficile poiché il lettore comune di un dizionario non conosce certo l'alfabeto fonetico internazionale talvolta indispensabile a rendere certe particolarità fonetiche).
E tuttavia nel momento in cui si sceglierà un modello per standardizzare la lingua, due punti fermi devono essere stabiliti per l'uso scritto e per coloro che vorranno compilare dei buoni dizionari:
· La riduzione di tutte le variabili fonetiche ad una sola espressione fonetico-grafica: insomma si potrà pronunciare come ci pare ma si dovrà scrivere sempre alla stessa maniera la stessa parola. Un buon dizionario potrà riportare tutte (o quasi) le varianti (diatopiche, diacroniche, diastratiche) per facilitare la ricerca, ma non dovrà in nessun modo considerarle sinonimi e dovrà rimandare per la definizione alla variante standard (es.: rana / arrãa ? arrana; luxi / lugi / lughe ? lughi).
· Salvaguardia del lessico autoctono: libertà dunque nell'uso scritto e orale di tutti i sinonimi, ma un buon dizionario dovrà consigliare, in nessun modo imporre, l'uso del vocabolo autoctono rispetto a quello alloctono, considerando quest'ultimo come regionalismo o forestierismo (es.: si consiglierà l'uso di "aghina", vocabolo autoctono, contro ua/uba, vocabolo alloglotto piuttosto diffuso nel nord fino alla valle del Tirso). Ma questo principio non potrà essere assoluto: allorquando il vocabolo alloctono sia diventato dominante, allora dovrà essere consigliato quest'ultimo e considerare il vocabolo autoctono un regionalismo (es.: "fentana" è un vocabolo di origine spagnola che ha quasi completamente soppiantato l'autoctono "fenestra" (e varianti), "sindria" è anch'esso un vocabolo di origine iberica che ha sostituito quasi completamente la bellissima espressione autoctona "(meloni) forastigu"). Laddove infine due vocaboli sinonimi autoctoni siano diffusi nel territorio regionale, si consiglierà quello più diffuso, ma se tale diffusione fosse equamente distribuita per esempio tra il nord e il sud della Sardegna (non sono molti tali vocaboli per la verità, stante la sostanziale uniformità etimologica del lessico della lingua sarda) allora la libertà di utilizzo dei due sinonimi dovrà essere assoluta.


CONCLUSIONI
ALCUNE IDEE DI POLITICA LINGUISTICA PER LA SARDEGNA

Il modello che ho descritto nelle precedenti pagine è, come già detto, una proposta per l'emissione anche in lingua sarda degli atti amministrativi e legislativi della Regione Sarda.
Ma non nascondo che il predetto modello ha l'ambizione di diventare il modo unico di scrivere la lingua sarda in tutte le sue manifestazioni, anche letterarie. Ha perfino l'ambizione, ma qui saranno necessari parecchi lustri e generazioni, di essere il principale modo di esprimersi in sardo oralmemente, almeno nei registri formali ed e elevati.
E' un modello a tutto campo, applicabile a tutte le esigenze.
Ma una politica linguistica in Sardegna si trova di fronte a problematiche assai complesse, che suggeriscono di adeguarsi a tre regole auree: gradualità, prudenza e tolleranza.
In Sardegna attualmente buona parte della popolazione, soprattutto fra le giovani generazioni ma non solo, è italofona, e solo passivamente sardofona.
Inoltre i sardofoni si esprimono con varietà diatopiche alquanto differenziate, almeno foneticamente, e non esiste un modello unico di riferimento, quale vuole essere invece proprio quello da me proposto.
Infine una parte dei sardi parla tradizionalmente lingue alloglotte, cioè non sarde: corso a Sassari, in Anglona e in Gallura, catalano ad Alghero, ligure nelle isole sulcitane.
Per tali motivi l'introduzione della lingua sarda standard, quale che sia, deve avvenire gradualmente, cioè inizialmente solo, come ho detto, nell'uso della Regione Sarda, e lasciando libertà alle amministrazioni locali di usare la propria varietà. In realtà la proposizione da parte dell'ente regionale di un modello linguistico sovraordinato finirà fatalmente per attrarre col tempo l'uso amministrativo degli altri enti pubblici, anche perché rendere graficamente alcune particolarità fonetiche locali (pensiamo al colpo di glottide barbaricino, alle vocali nasali del campidano, alle laterali sibilanti del Logudoro) è piuttosto difficoltoso e renderebbe complicata la lettura agli stessi locutori che si troverebbero a dover interpretare simboli grafici pressochè sconosciuti.
Inoltre è necessaria prudenza nell'affiancamento del sardo con la lingua italiana: fintanto che la Sardegna rimarrà una regione italiana (e non ci sono elementi tali per poter affermare che sardi vogliano cambiare questa situazione), l'italiano rimarrà lingua ufficiale e dominante in tutti i mezzi di comunicazione di massa, e una politica linguistica per la Sardegna dovrà tener conto di questo fatto, senza rinunciare per ciò ad essere vigorosa e rigorosa nella tutela e diffusione del sardo ma senza velleitarie tendenze monolinguiste.
Infine sarà necessaria particolare tolleranza, ascoltando le ragioni di tutti: degli italofoni, come di coloro che sono orgogliosi della propria varietà di sardo o della propria varietà alloglotta, in modo che nessuno senta messa in pericolo la propria cultura e la propria identità linguistica.
Tutto ciò è assolutamente necessario per evitarie deleterie, e ahimè a tal punto, definitive e letali crisi di rigetto della lingua sarda.
In tale discorso s'inserisce anche la politica linguistica scolastica: essa dunque dovrà avere queste necessarie caratteristiche:
· gradualità nell'introduzione della lingua sarda nel curriculum scolastico, in modo che corpo insegnante, discenti e famiglie abbiano il tempo di abituarsi ed adattarsi alle nuove possibilità culturali offerte dal bilinguismo didattico con la lingua sarda;
· rispetto delle varianti locali della lingua sarda ed anzi utilizzo delle stesse, uniche forme con le quali si ha familiarità, per il primo approccio orale con i discenti, sia piccoli che grandi, sfruttandone ed incoraggiandone il paragone reciproco, e graduale introduzione nell'uso scritto della varietà standard; creare dunque coscienza e conoscenza della variabilità diatopica e diamesica (orale = varianti locali / scritto = variante standard) della lingua sarda;
· rispetto delle varietà alloglotte e loro inserimento nel curriculum scolastico accanto ed anzi prima del graduale inserimento della lingua sarda standard.
Io credo che in tal modo una classe politica avveduta possa, con un po' di necessario buon senso ed intelligenza, regalare ai Sardi il loro riscatto culturale, sociale e politico tramite il salvataggio del loro principale patrimonio culturale: sa limba sarda!

A segus