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30/10/2004 Rassigna de s'Imprenta - L'Unione Sarda de su 29/10

"C'è letteratura alta e il gioco di trame innocue"

de Dino Manca

http://www.unionesarda.it/
Per molto tempo la concezione della letteratura italiana, come letteratura nazionale, sembrava non potesse includere la Sardegna. I nostri autori avevano, nella società delle "patrie lettere", un diritto di cittadinanza limitato. Comprendere e accettare che la letteratura italiana fosse un insieme di letterature regionali che andavano indagate e studiate ha quindi costituito un traguardo storico. Grazie agli apporti delle nuove scienze oggi non si parla più di storia della letteratura, quanto piuttosto di storia della comunicazione letteraria; ossia di storia della produzione, della circolazione e della fruizione dei testi in contesti storicamente, culturalmente e linguisticamente determinati. Applicando il modello alla nostra isola diremo che studiare il sistema letterario sardo significa innanzitutto fare i conti con una produzione storicamente marcata dal policentrismo e dal plurilinguismo. Ma non solo. Non è irrilevante sottolineare quanto l'oralità sia stata per secoli il serbatoio di forme e contenuti nell'elaborazione dei testi poi destinati ad una circolazione scritta. Muovendo da questa prospettiva si può comprendere come il sistema letterario sardo sia un sistema integrato sardo-italiano, a statuto speciale. Mi chiedo, quanti in Sardegna hanno recepito una tale svolta epistemologica? Eppure qualche studioso queste cose le va scrivendo da anni. Quale idea di Sardegna e di letteratura sta invece passando nei giornali? Si tiene conto di questa ricchezza di voci? Eppure questa è una terra che vanta decine di premi di poesia. Eppure molti autori in lingua sarda si trovano (all'insaputa dei sardi) già citati nella Poesia in dialetto dei Meridiani Mondadori o nella Letteratura e dialetto della UTET. È sconcertante constatare che siamo proprio noi a negare, a tanti poeti, quel diritto di cittadinanza che da tempo l'Europa ci riconosce con la Carta europea delle lingue e dei saperi. Ma non basta. C'è addirittura qualcuno che inizia incautamente a mettere sullo stesso piano l'operazione commerciale della nuova letteratura d'intrattenimento con l'operazione culturale, la capacità rappresentativa e soprattutto il livello di autenticità, di consapevolezza filosofica e antropologica di autori come Deledda, Dessì, Cambosu, Satta, Lobina, Zedda, Puddu, Mannuzzu, Atzeni, Predu Mura, Mura Ena. Grandi autori che hanno contribuito a edificare la civiltà di quest'isola. Un'isola che ha fornito loro i segni distintivi di un'identità culturale e umana e che è stata il grande contenitore etico ed estetico dal quale hanno attinto sentimenti profondi e saperi sulla vita. Un'isola che nell'atto stesso della creazione artistica è ritornata ad essere centro e non più periferia, luogo mitico e archetipo del sentimento lirico, scenario primordiale e ragione fondante della loro riconosciuta universalità oltre che immagine di una terra e di un popolo consegnati all'Italia e al mondo. Come si fa a confondere l'universo di senso, filosofico, etico e simbolico e la densità comunicativa contenuta in opere come Canne al vento, Michele Boschino, Il giorno del giudizio, Sas poesias d'una bida o Recuida con molta di questa nuova narrativa? Sarebbe come equiparare il cinema di Fellini, di Buñuel o di Mereu, con una fiction tipo Distretto di polizia. Tutti devono esistere, sia ben chiaro. Ma una cosa è il cinema d'autore, un'altra la tivvù d'intrattenimento. Un conto è una letteratura che attraverso il linguaggio poetico e il piacere estetico del racconto sa trasferire autenticità, vissuto, emozioni, spessore ontologico, orizzonti etici, orientamenti di senso sull'uomo e sulla vita e, nel contempo, sa costruire consapevolezza, senso dell'appartenenza e dell'identità. Un altro conto è l'abile gioco affabulatorio di una letteratura che si esplica secondo configurazioni di trame, architetture d'intreccio e artifici narrativi mutuati dal repertorio filmico di prima serata. Un bel gioco, certo. Ma oltre il piacere cerebrale e fine a se stesso nulla accade. Non si accendono passioni, non si formano coscienze. Ciò che distingue la letteratura autentica da quella inautentica sta, per dirla con Lecca, innanzitutto nel soggetto che guarda e intenziona l'oggetto. Alcuni intellettuali nostrani hanno creduto che autodefinirsi cittadini del mondo, secondo una sorta di identità ipertrofica e astratto universalismo, avrebbe risolto il problema del rapporto con le proprie radici. Come se il mondo fosse davvero riducibile ad un unicum omogeneo e indistinto, o come se il soggetto fosse un fondamento identico a sé cui riportare tutto l'universo-mondo. Ma l'atto di rottura, che spesso non guarisce e non rimuove, è rimasto sostanzialmente irrisolto perché irrisolvibile rimane comunque il problema di una identità che voglia essere altro da sé pur nella lucida denuncia dei limiti della propria comunità d'appartenenza. Il cercare "virtute" e "conoscenza" recidendo irreversibilmente tutto ciò che riporta al vissuto e all'identità antropologica del soggetto, non risolve il problema del rapporto con le proprie radici e svuota di senso la giusta e legittima aspirazione di crescita nella libertà e nella consapevolezza. Un complesso di inferiorità sentito e sofferto da alcuni sardi, che non permette quella ?riappropriazione umana' tanto agognata. Una riappropriazione che costruisce grandi uomini prima che grandi scrittori. Dino Manca

29/10/2004

A segus