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15/11/2004 Rassigna de s'Imprenta - L'Unione Sarda de su 14.10.2004

Argiolas mazat sa lobby giallistica

L’articolo di Roberto Cossu sull’eccessivo proliferare di festival letterari fornisce finalmente l’occasione di un dibattito a più voci su letteratura e dintorni in Sardegna
La mia opinione è che il fenomeno dei festival è positivo ma i limiti individuati da Cossu sono evidenti e vanno tenuti in debita considerazione.
Intanto è utile interrogarsi sull’origine del cambio di rotta. Nessuno ha certezze assolute ma ritengo che non avere memoria sia grave e induca facilmente in errore. 
Secondo Cossu la movida avrebbe trovato impreparati gli editori (unica eccezione Il Maestrale), Todde dice più o meno la stessa cosa salvo un riconoscimento alle biblioteche che sono tante e funzionano (ma ricordiamo che da anni attendono una legge). Fois parla di una scuola di autori cresciuta nel tempo, fuori da ogni accademia locale, impegnati politicamente, rappresentativi perché “eletti” da migliaia di lettori. 
Più modestamente vorrei ricordare che la Rinascita culturale dell’Isola è frutto di un processo di modernizzazione che nell’arco di 50 anni ha prodotto uno straordinario cambiamento della realtà sarda. Questo processo, studiato con lucidità ed efficacia dal sociologo Gianfranco Bottazzi, ha fatto della Sardegna una società post-industriale e va tenuto in considerazione perché ci aiuta a capire il contesto in cui operiamo. Riconoscere che questa trasformazione è stata troppo rapida e la società sarda non l’ha compiutamente metabolizzata, che si sono prodotte discrasie, che il cambiamento è stato per lo più eterodiretto, non è senza conseguenze.
Per esempio si comprenderebbe meglio la continua oscillazione tra la riproposizione di un passato immobile e le fughe in avanti, strumentali agli interessi di questo o quel gruppo.
Nello specifico i soggetti che hanno operato nel tempo e prodotto un cambio di rotta sono molteplici: i comuni, i bibliotecari, gli insegnanti, gli editori, i librai, la Regione, le associazioni culturali e gli Istituti di ricerca, i docenti universitari e gli intellettuali più avvertiti, insomma tutti coloro che hanno investito in cultura e con spirito pionieristico hanno lavorato in situazioni difficili e spesso in silenzio producendo fatti culturali e avvicinando i giovani alla lettura. Un accenno meritano gli editori che, ingiustamente accusati di essere assistiti (ma questa accusa non nasconderà altri obiettivi?), operano da tanti anni per tradurre in pubblicazioni il patrimonio culturale della Sardegna, operando per tanto tempo in condizioni difficili e in un mercato inesistente. Dal 1986 sono riuniti in associazione (AES) e presentano nel mondo i diversi volti della Sardegna valorizzandone la storia, l’ambiente, i saperi locali. Non va dimenticato il ruolo della Regione che ha accumulato nel campo della promozione della cultura un patrimonio di esperienze e di competenze che sarebbe sbagliato disperdere.
Questo intenso lavoro, pur con tutti i suoi limiti, insieme alla circolazione di nuove idee (tutta la riflessione sull’autonomia ce la siamo dimenticata?) ha prodotto un cambio di rotta, senza riflettori e con uno scarso ed episodico riscontro nei media. 
Appare chiaro così che Il Maestrale e il gruppo di autori di cui parla Fois non hanno promosso il cambio di rotta ma ne hanno beneficiato. Il Maestrale ha sicuramente il merito di aver capito prima degli altri che anche in Sardegna si poteva scommettere sulla narrativa ma bisogna anche riconoscere che l’immagine dell’Isola nel mondo è stata promossa, da e per lungo tempo, dagli autori e dagli editori sardi a partire dai libri di archeologia, storia e tradizioni culturali.
Il fatto nuovo è che ora, come dice Todde, c’è un pubblico. Un pubblico che però non chiede un modello unico di evento culturale da riproporre in tutta la Sardegna (anche Gavoi ha dei limiti, vogliamo parlarne?) ma che è sempre più consapevole che la ricchezza sta nella diversità delle proposte, che la crescita sta nella capacità di produrre cultura e confrontarsi con il mondo. Il pericolo vero è che ancora una volta i sardi siano eterodiretti, spettatori passivi, al massimo bravi organizzatori di eventi in cui la loro cultura scompare. Non possiamo ridurci ad organizzare passerelle per scrittori e autori che vengono in Sardegna a celebrare un rito (quello dell’aperitivo letterario o della colazione con l’autore). Dobbiamo puntare allo scambio e al confronto tra produzioni culturali, solo così ci può essere un’effettiva crescita.
Occorre dire no ai modelli unici anche in letteratura. È tempo, come suggerisce Cossu, di far emergere un ritratto realistico ed onesto della letteratura sarda. Una letteratura che promuove se stessa e non si sottopone ad un vaglio critico non può fare molta strada. L’impressione è che un’eccessiva spettacolarizzazione dell’evento faccia male alla cultura. Forse occorre riscoprire il valore degli incontri senza telecamere, che si tengono in una libreria o in una biblioteca di un piccolo centro, dove si può attuare un dialogo ed uno scambio autentico tra i lettori e lo scrittore e ripensare il rapporto tra il libro e le altre arti.
Non possiamo rassegnarci alla diffusione dei libri come gadget ma riaffermare con forza la fatica e la gioia della lettura e della scoperta di un libro.
È vero, come dice Fois, che i sardi si riprendono il diritto di autodeterminarsi ma nello stesso tempo è anche vero che essi conoscono il valore della democrazia e del confronto e non sembrano disponibili a concedere deleghe in bianco a nessuno. D’altra parte ideologie di tipo leninista e giacobino (un gruppo che ha la verità in tasca e la impone al popolo) sono ormai superate e improponibili. È molto positivo che gli intellettuali s’impegnino contro le scorie nucleari e per la salvaguardia delle coste ma sarebbe bene che essi non dimenticassero il valore della loro funzione critica. A questo proposito può essere molto utile rileggere Voltaire che nel suo Del principe e delle lettere ci esortava a meditare su questo concetto: «Se compito della letteratura è rivelare all’uomo le verità del suo animo, il suo campo non può non essere che quello della libertà. La conseguenza è che la letteratura, e l’opera dell’intellettuale in genere, deve essere mantenuta separata dal potere, qualunque forma esso assuma, altrimenti significherebbe abdicare alla propria funzione di libertà». 

Mario Argiolas 

A segus