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23/11/2005 Fainas

Pissente Sulis: disamparau, eroe o ingannile?



scommiato!
VINCENZO SULIS
vita e prigionia di un capo popolo

con Mario Faticoni regia Bruno Venturi


26, 27 novembre 1, 2, 3, 4 dicembre
ore 21 domenica ore 18
TEATRO SANT'EULALIA
vico collegio 2, Cagliari

“Scrivo La mia vita per ridere di me e ci riesco. Scrivo tredici ore al giorno, e mi passano come tredici minuti” (da una lettera di Casanova, cit. nell’introduzione di Vincenzo Sulis. Autobiografia)





Incontrai l’autobiografia di Sulis nella prima versione integrale apparsa nel ’94. L’indicazione mi veniva dalla lettura di Procurade ‘e moderare di Luciano Marroccu: c’era un capitolo finale, come un’appendice, che parlava di un personaggio ‘minore’, che nella bella, unica vicenda rivoluzionaria di Angioy, aveva avuto un ruolo apparentemente nascosto, ma alquanto determinante. Ci si riferiva in quel capitolo ad un’autobiografia. Amo le biografie, e soprattutto le autobiografie.

Trovai questo libro in una stupenda e non dimenticata biblioteca di Isili, sulle prime colline che fanno da cornice, da confine, a questa mia esistenza sarda.

La sua copertina faceva pensare ad un libro antico. Il suo fascino aumentava -in realtà era la prima versione filologica curata da Giuseppe Marci, per la CUEC (Cagliari, 1994)

E la lettura, folgorante, tutta d’un fiato, mi coinvolse completamente. Occorreva lavorarci.

I miei primi ‘sperimentatori’, furono gli allievi dell’Istituto Linguistico-Pedagogico di San Gavino. Ne venne un lavoro che mi convinse a portare avanti lo studio.

Proposta a Mario Faticoni, e sua accettazione entusiasta -la riproposizione, poi, dello stesso libro in una versione ampliata riveduta e corretta (Cagliari, 2004) confortava di coincidenze le nostre intenzioni.

Sulis ci interessava per il suo aver percorso un lungo e fondamentale tratto di storia sarda -quello che andava dalla cacciata dei Francesi, del 1792, a quella solo temporanea dei Piemontesi (1794), alla repressione dei moti angioyani, alla venuta dei Savoia (1799), alla quale fece seguito l’incarcerazione dello stesso Sulis, a confermare quel clima di terrore al quale i Reali sottomisero la Sardegna per quasi due secoli.

Colpiva, di questo racconto in prima persona, il carattere popolare, di una storia che si dipanava a partire da fatti personali, sullo sfondo di una Storia che nei suoi snodi fondamentali, finì per essere determinante non solo per la ‘Nazion Sarda', ma per quella italica in generale.

Colpiva di questo capo-popolo il suo essere attraversato da questi ‘torbidi’, senza quasi comprenderne le ragioni; vittima anch’esso di un potere che solo per ‘clemenza’ lo costrinse a marcire per quasi ventidue anni in una torre, anziché ‘sbentillarne’ la testa dopo l’esecuzione capitale, come accadde a molti poveri rivoluzionari dello stesso periodo.

Sulis fu protagonista della ‘miracolosa’ cacciata dei Francesi, del ‘disinterro’ dei Piemontesi, di quello ‘scommiato’ -pur avendone favorito il brevissimo esilio. Fu anche nelle fila dei tragici moti anti-angioyani, e favorì l’arrivo ‘al confino’ dei Savoia. E forse fu proprio per questa centralità nella storia isolana e cagliaritana, che gli stessi pensarono di ‘rimuoverlo’, soffocando ogni pur remota possibilità di insurrezione popolare sarda. Fu protagonista, ma lo fu quasi senza volerlo, senza accorgersene. Sulis venne attraversato da quest’ultimo e irripetibile ‘risorgimento’ sardo, senza, alla fine, averne colto le ragioni.

Non un vero ‘rivoluzionario’ dunque. Lui coi Savoia avrebbe voluto forse convivere, in una scalata sociale impensabile, con gran parte del popolo dietro. E Sulis forse è stato un sardo che ha creduto in un ‘risveglio’ dal ‘sonno dei secoli’ di una Nazione che avrebbe potuto fare la parte di protagonista nell’unificazione italiana. Ma infine, Sulis è stato solo un uomo che ha passato ventidue anni in carcere, e che, uscendone vivo, ha potuto darci di quella storia turbolenta, il racconto.

E’ questo suo destino di ‘capro espiatorio’ che ci ha commosso, questo suo destino d’eroe involontatio, questa sua resistenza.

Le vicende che ci raccontava ci apparivano come fatto linguistico di rara preziosità - una parola faticosamente tutta vissuta sul proprio corpo di sardo-italiano, un linguaggio nuovo, inventato: una heldenleben (vita d’eroe) reinventata ad uso degli ‘italiani’ che sarebbero stati i suoi conterranei, figurativamente ‘rinchiusi’ in una torre con attorno il mare per molti e molti più anni.

L’Autobiografia si svolgeva sotto i nostri occhi come uno straordinario romanzo italiano realmente ante litteram, e, cosa ancor più straordinaria, senza precedenti.

Per questo, l’antipatia dell’inizio nei confronti di un personaggio così apparentemente ambiguo, diveniva, ai nostri occhi, rivelatrice di una vicenda umana toccante, con tratti di grande dolcezza, di vera comicità. Sulis ci interessava perché è stato un genio della lingua, un artista che ha scontato col proprio corpo la sua vicenda umana di vittima; un uomo di teatro.



La teatralità che ci veniva era tutta basata su quella parola, e sui percorsi del nostro palco (di sei metri per sei) che quella parola ci segnava ed insegnava.

A darci la trama -nel senso della tessitura- ha poi pensato un importantissimo film dei fratelli Taviani, San Michele aveva un gallo (1973), sorprendentemente vicino alla storia vera che noi mettevamo in scena. L’ordito erano le parole autografe di Vincenzo Sulis.

Il riferimento alle vicende nucleari dell’Isola della Maddalena, sono venuti da sé: i sardi, ancora una volta, sono e restano, prigionieri della loro terra. Siamo prigionieri nella nostra terra.



Sullo sfondo di questo lavoro -in questo teatro provvisorio di Sant’Eulalia, nel cuore di Marina, con Mario esule da anni dal Teatro dell’Arco che ha dato origine a questa ‘resistenza’- restava Cagliari, ancora bella e sicuramente dimentica, descritta con tratti incisivi, non realistici, non romantici: semplicemente veri.

Avvicinandomi a questa città, scendendo dalle mie montagne, un giorno sulla 131 -strada che porta ancora il nome paradossale di Carlo Felice- la vidi, Cagliari, nelle sue rinnovate pareti di Castello: era bianca, il sole su di lei: bella. Poi nei primi chilometri delle sue zone commerciali, sono sprofondato tra i semafori e il traffico da città. Risalito, non seppi più trovarla: le pareti del cimitero segnavano la periferia, delimitavano il cielo. 

Bruno Venturi

A segus