"Non neghiamo più a nessuno il diritto di apprendere il sardo"
di Elisabeth Ledda
Carissimi amici di Sotziu limba sarda,
ho partecipato con piacere all’incontro organizzato dall’associazione archeologica Iloi tenutosi ieri sera a Sedilo. É stato un momento di scambio e confronto molto intenso, partecipato e sentito soprattutto da parte della popolazione locale, sensibile nei confronti delle problematiche inerenti l’utilizzo della lingua sarda, e mi ha personalmente aiutata ad interrogarmi con maggiore coscienza sul mio modo di vivere ed affrontare il rapporto con la propria identità.
Difficile poter definire appieno il mio sentirmi sarda, soprattutto se per doverlo fare mi vedo costretta ad utilizzare come veicolo la lingua italiana, non per scelta ma purtroppo per un obbligo a cui devo inevitabilmente sottostare. Faticoso volersi riappropriare di una cultura e di un’identità a cui non sono stata completamente educata, pur nella consapevolezza di quanto sia stimolante ed arricchente poter partecipare a convegni e dibattiti, animata dal desiderio di imparare e confrontarmi. La sensazione con la quale spesso mi trovo a combattere è quella di sentirmi una spettatrice, una straniera, seppure in una terra mia, che vive la sua incapacità di parlare la lingua locale come un segno di diversità, una grave mancanza non semplicemente colmabile, un segno chiaro di come si stia lentamente cancellando la memoria di ciò che si è stati.
E mentre ci troviamo riuniti ancora una volta per decidere sulle sorti di un’ipotetica unificazione linguistica e per accanirci contro una legge 26 che parla ma non è capace di agire concretamente, mi domando a chi mai possa stare a cuore la situazioni di molti giovani a me simili, che non hanno mai avuto la fortuna di apprendere la lingua sarda e sono costretti a viverla sulla base della sola competenza passiva.
Quale legge o decreto sarà idoneo a tutelare il diritto di noi sardi ad imparare e quindi trasmettere la propria identità linguistica?
Molto più semplice rassegnarsi con serenità ed iscriversi magari ad un corso di inglese, che potrà sicuramente impreziosire il nostro curriculum ed aprirci le grandi porte di un’Europa che ci vuole apparentemente simili, e che pure ci conforta con la sua affettuosa cura delle minoranze. Preoccupante inoltre prendere atto del fatto che gran parte di noi giovani, futuri genitori, non sarà in grado di comunicare ai propri figli ciò che a loro per primi è stato negato. Una lingua madre, natale, messa da parte principalmente per causa delle istituzioni, che intendevano renderci il più possibile italiani e quindi uguali agli altri, accantonando le diversità per evitare forme di discriminazione che abbiamo applicato principalmente su noi stessi.
Non credo nelle potenzialità di leggi che possano salvare con interventi miracolosi le sorti della lingua sarda. E non credo neanche nei falsi profeti, detentori della tradizione che indicano la giusta via con i propri metodi, ritenuti validi in assoluto. Credo invece nella spontaneità e nella forza di chi non ha consapevolezza della tradizione, automaticamente annullata in modi di agire e di esprimersi che non hanno mai dovuto essere recuperati perché non si sono spenti in nessun caso, sono sopravissuti al chiasso e alle nuove mode.
Ho fede in chi ama profondamente la sua lingua, in chi la utilizza con orgoglio in ogni contesto e combatte per difenderla da attacchi esterni. E ripongo le mie speranze soprattutto nei ragazzi, parlanti e non, che si stanno accostando con passione al tema del sardo pur tra tante difficoltà, e che desiderano agire concretamente, con interventi pratici e mirati, per favorire la salvaguardia della nostra importante identità.
Forse non sarò io in prima persona ad acquisire una competenza orale e scritta della mia parlata locale, ma è doveroso impegnarsi affinché questa opportunità non venga più negata, e diventi reale per le generazioni future, con battaglie ed azioni da compiersi adesso, nell’immediato presente. Il mio contributo potrà sembrare magari minore rispetto a quello che potranno dare i parlanti attivi, ma resta comunque un contributo, con tutto l’entusiasmo e l’onestà che lo sostengono e lo animano.
Perché anche chi si ritiene inadatto a sostenere questo progetto possa comprendere quanto sia indispensabile il ruolo di ciascuno, nessuno escluso.