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30/11/2004 Parres lìbberos - Babbumannu de sa patria?

Emilio Lussu: “ Colui che tradì ”

de Fabritziu Dettori

La “fusione perfetta” col Piemonte, avvenuta nel 1848, fece decadere la secolare autonomia sarda concessa dalla Spagna. Nello stesso anno, dopo ben 128 anni di occupazione piemontese, il Conte Carlo Baudi di Vesme, asseriva, nelle sue “Considerazioni politiche ed economiche sulla Sardegna”: “La Sardegna non è spagnola ma non è italiana. E’ e fu da secoli pretta sarda”. Una vera nazione insomma. Una Terra accettata dai Savoia mal volentieri, per ordine del trattato di Londra del 1718, sulla quale applicarono, per imporsi, la politica del terrore. Il sacrificio estremo dei martiri antipiemontesi ne è ancora oggi testimone. Ci volle un secolo esatto, il 1948, per riconquistare l’autonomia, quella in corso, la quale, peggiore della precedente, è solo virtuale e non conferisce alla Sardegna alcun potere politico. Parafrasando la massima di Emilio Lussu (ma prima di lui C.Bellieni), la nuova autonomia si levava già “fallita”, esattamente come lui sprezzantemente definiva “nazione fallita” la Sardegna. La classe dirigente e l’intellighenzia sarde si avviticchiarono a detta concezione tanto da ripudiare la loro Terra, vissuta “diversa” negativamente, per integrarla, in tutto e per tutto, all’Italia. Dettame autocolonialista che si rivelò fatale artefice del disastro autonomistico e che determinò nel Popolo Sardo la paralisi della presa di coscienza di essere nazione. Ma, sopprimendo le peculiari virtù della Sardegna, annullavano altresì lo strumento politico per esigere e acquisire l’esercizio di un “diverso” peso istituzionale, che desse alla “diversa” Regione sarda il diritto di essere l’autorità sovrana sul proprio territorio. Sud - Tirolo e Sicilia, che minacciavano seriamente di separarsi dall’Italia, fecero della loro diversificazione un’arma per ottenere una vera autonomia. 

I presupposti di Lussu invece anticipavano quella che sarebbe stata un’autonomia bluff: “Avremo grandi ore da rivivere assieme, da sardi e da italiani”; “Noi concepiamo quest’autonomia nel grande quadro della vita italiana”. Queste elaborazioni provocarono uno sconvolgimento politico tra i sardisti – nazionalisti, che erano più dei ¾ della militanza del P.s.d’az., che confidavano in lui per la conquista dell’indipendenza della Sardegna. L’errore fu di avergli affidato il mandato di leader, per rappresentare ideali ai quali non credeva. Nel 1948 lasciò il suo partito per fondare il P.s.d’az socialista, il quale al primo punto stabiliva: “Fedeltà e lealtà alla comunità nazionale italiana, alla Costituzione e a questo Stato repubblicano, che è nostro”. Un anno dopo questa organizzazione confluì nel P.s.i.. Nel 1951, il P.s.d’az. ricorderà E. Lussu come “traditore”. Da sardista italianista, mantenne sempre palese la sua feroce politica anti indipendentista e antinazionalista, coerente al proprio vincolo patriottico con l’Italia: “Noi affermiamo, dunque, di voler vivere nella comunità nazionale italiana e di voler essere sempre, con la nazione italiana, nelle ore di gioia e di dolore”. Per tali caratteristiche, l’eredità politica lussiana, è, a tutt’oggi, patrimonio comune a molti partiti e movimenti (la stessa Sardigna natzione considera Lussu “padre della patria sarda”!). E, spalleggiati dalle citate testimonianze, tali organizzazioni si sono, come fece il loro “maestro”, omologate al sistema politico italiano, trascinando la Sardegna alla dipendenza cronica, sedotta da uno “Statuto Speciale” che l’ha condannata a subire il colonialismo e l’autocolonialismo. 



Fabritziu Dettori

A segus