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20/03/2006 Polìtica

Traballos precàrios


> Vi invio il testo, in allegato, dell'intervento di antonella Fois
> (segretaria dei lavoratori atipici e precari della CGIL di Sassari) al
> convegno dei DS sui giovani e il lavoro precario, tenutosi a Sassari, 
> nella
> sala Angioy, il 15 marzo u.s.
> un saluto alba Iniziativa del partito dei DS del 15 marzo 2006-03-16


NESSUN LAVORO SENZA DIRITTI E TUTELE

Atipici-precari

GIOVANI E LAVORO

GIOVANI AL LAVORO

La precarizzazione del lavoro è divenuta, insieme a disoccupazione e lavoro nero, vera emergenza, e continuerà ad esserlo ancora per molto tempo, se non si interverrà adeguatamente. Il rischio è di annullare quelle garanzie e tutele faticosamente conquistate dai lavoratori in decenni di dure lotte. E come nel passato, sono i giovani e le donne che maggiormente vivono condizioni critiche di lavoro e senza garanzie.

Ma in Italia il lavoro flessibile è arrivato a seguito dell’adozione, nel 1997, della “Strategia Europea per l’Occupazione”. In quegli anni la disoccupazione in Europa era molto alta, mentre i mercati statunitensi, da sempre flessibili, navigavano in acque più tranquille. Da questo confronto scaturì la decisione dell’UE di ridurre la disoccupazione anche con la deregolamentazione del mercato del lavoro. Fu trascurato un aspetto: negli Stati Uniti i lavoratori non godono della stessa rete di protezione sociale della gran parte dei paesi europei, e neppure degli stessi diritti, la previdenza è privata, e i sindacati deboli, perchè l’alta mobilità rende questi lavoratori più ricattabili e perciò meno propensi ad aderire a forme organizzate di tutela collettiva. Comunque, la risposta in Italia alla Strategia Europea per l’Occupazione fu la l.196 del 1997, il pacchetto Treu, con il quale furono introdotti strumenti come i tirocini di orientamento e formazione, le borse lavoro, ma soprattutto il lavoro interinale, che ebbe l’impatto più forte, perchè indeboliva il principio della centralità del lavoro ed il suo riconoscimento come valore sociale.

Questo non impedì all’allora commissario europeo per l’occupazione e gli affari sociali di definire la normativa italiana sul lavoro interinale la più garantista in Europa. La cosa certa, però, è che il Paese, se mai vi fu una reale esigenza di flessibilità, con le 5-6 forme introdotte dalla riforma Treu ne aveva più che a sufficienza. Il problema, caso mai, era di porre un freno agli abusi, perchè contratti atipici come le collaborazioni coordinate e continuative, o le associazioni in partecipazione, che esistevano già da prima della riforma Treu, sull’onda della flessibilità furono utilizzati dalle imprese per mascherare rapporti di lavoro di fatto subordinati ma retribuiti a prezzi di saldi, e tutto questo a spese del lavoratore. Qualche datore di lavoro più spregiudicato è arrivato a licenziare i propri dipendenti per poi riassumerli con contratto di collaborazione, per svolgere le stesse identiche mansioni. Il ricorso massiccio alle collaborazioni, seppure fondato su altri motivi, c’è stato anche da parte delle amministrazioni pubbliche, in particolare per compensare le carenze di organico imposte dal patto di stabilità. Purtroppo l’ultima finanziaria, ha tagliato drasticamente le risorse disponibili per le collaborazioni, lasciando a casa migliaia di lavoratori che con il loro precariato hanno garantito per tutti questi anni i servizi essenziali degli enti locali e di molte altre amministrazioni pubbliche.

Il lavoro flessibile non è un trampolino di lancio verso un lavoro stabile, ce lo dicono le indagini effettuate a diversi livelli e da diversi organismi. Il governo Berlusconi però non ama le indagini, e ha attuato una riforma del mercato del lavoro che è un regalo per le imprese, o quantomeno voleva esserlo, dato che l’80% delle nuove forme di lavoro flessibile è rimasto inutilizzate. Il governo con la legge 30 aveva promesso ai lavoratori precari lotta agli abusi: il risultato è l’istituzionalizzazione della precarietà ed il pesante attacco sferrato prima con il patto per l’Italia e poi con la stessa legge delega di riforma del mercato del lavoro, al sistema di diritti e tutele del lavoratore, alla funzione di rappresentanza del sindacato e alla unitarietà sindacale.

Il formidabile attacco all’art.18, sull’obbligo di reintegrazione nel caso di licenziamento ingiustificato, respinto con forza da oltre tre milioni di lavoratori scesi in piazza al Circo Massimo nel marzo del 2002, è stato reiterato nella forma più subdola, precarizzando il lavoro con contratti atipici che possono essere avviati ma, soprattutto, interrotti dal datore di lavoro in qualunque momento e senza alcuna giustificazione.

Il governo di centro-destra con la legge 30 e il decreto attuativo 276 è riuscito a realizzare un’ eccezionale alchimia: non ha risolto nè i problemi delle imprese nè tantomeno i problemi dei collaboratori, che sono diventati, eccetto quelli ai quali è stato chiesto di aprire la partita IVA, collaboratori a progetto. In conclusione, la situazione è peggiorata, perchè tra l’altro vi è stato un notevole incremento del precariato: nel 2004 il 70% dei nuovi occupati sono lavoratori flessibili. Ciò ha fatto dire al governo, con molta enfasi, che l’occupazione è aumentata. Ma se si attivano 100 contratti di lavoro che scadono dopo tre mesi, il tasso di disoccupazione, lo capirebbe anche un bambino, non si sposta neppure di una virgola. Oggi la flessibilità, è bene ribadirlo, non è una libera scelta del lavoratore, e neppure uno strumento per creare occupazione, è solo risparmio, riduzione del costo del lavoro, per risolvere così i problemi di competitività delle imprese, o più semplicemente per guadagnare di più, a discapito dei lavoratori e di tutta la collettività. Perchè alla fine è su questa che ricadrà l’onere di sostenere i costi sociali di una situazione disastrosa sotto tutti i profili. Ma il pericolo vero è che, se non si interviene, il lavoro dipendente rischia di scomparire con l’avanzare del lavoro flessibile, e con esso rischia di saltare tutto il sistema previdenziale pubblico, perchè il fondo delle pensioni da lavoro dipendente non potrà essere alimentato dalle contribuzioni. Il problema pertanto non è solo quello di garantire una pensione ai lavoratori precari, ma di garantire l’erogazione delle pensioni agli attuali pensionati, che rischiano davvero di trovarsi dall’oggi al domani senza pensione.

Siamo in una situazione che è non più tollerabile. Si deve intervenire sul mercato del lavoro con misure chiare e incisive, anzitutto cancellando la legge 30, che ha ribaltato la dignità e la centralità del lavoro mercificandolo. La nuova normativa dovrà rinviare alla contrattazione collettiva la regolamentazione dei contratti non standard. E’ possibile una ricomposizione del mondo del lavoro, ma solo a patto di estendere i diritti e le tutele e di eliminare gli abusi. Perciò è indispensabile che le forme contrattuali atipiche, che debbono essere poche e debbono essere quelle riconosciute e condivise dalle parti sociali, siano regolamentate in tutti i contratti collettivi. In particolare, nel pubblico impiego, il contratto nazionale deve definire forme di accesso trasparenti ai rapporti di collaborazione e, nei concorsi, affermare il principio che anche ai collaboratori deve essere riconosciuto lo stesso punteggio dei lavoratori a tempo determinato, calcolato sulla base del servizio prestato. Inoltre nel prossimo bando, la legge regionale n.36 del 1998, finalizzata a favorire il ricorso a forme di lavoro stabile e garantito, dovrà estendere i benefici anche a quelle imprese che trasformeranno tutti i contratti atipici, e non solo alcuni, in rapporti a tempo indeterminato, in sintonia con quanto affermato nella recente legge regionale di riforma dei centri per l’impiego, che all’art.3 lett. i prevede la lotta alla “precarizzazione dei rapporti di lavoro promuovendo tutte le misure atte a favorire il ricorso a forme di lavoro stabile e garantito”.
Quanto alle retribuzioni, le forme contrattuali atipiche hanno costi diversi. Il lavoro interinale costa il 30 per cento in più di quello a tempo indeterminato, quello a tempo determinato ha lo stesso costo, mentre le collaborazioni a progetto, le partite Iva, le associazioni in partecipazione, costano meno. Queste differenze devono essere colmate. Il lavoro flessibile non può e non deve costare meno del lavoro stabile, e la flessibilità deve essere una modalità di esecuzione del lavoro, e non una mortificazione professionale ed economica che peraltro pregiudica anche il futuro previdenziale di milioni di lavoratori. Alle attuali condizioni, un collaboratore che va in pernsione con 40 anni di contributi, rischia di percepire, se la percepirà, una pensione pari all’assegno sociale, se non pure inferiore. Per questo bisogna intervenire prevedendo per i lavoratori atipici i contributi figurativi per i periodi di non lavoro, e vi deve essere la possibilità di un reale ricongiungimento di tutti i contributi previdenziali versati, superando i limiti del decreto sulle totalizzazioni voluto da Maroni che non risolve il problema previdenziale dei collaboratori, e appare emanato più che altro a fini elettorali.

Fra le altre cose, è fondamentale garantire ai lavoratori e alle lavoratrici il pieno diritto ad ammalarsi e a non perdere il reddito in caso di malattia, alla astensione obbligatoria in caso di maternità, e al mantenimento del compenso in caso di gravidanza a rischio. Non ci si può lamentare del calo demografico, se non si pongono in essere azioni che favoriscano un’inversione di tendenza. Alle collaboratrici madri deve essere riconosciuto almeno l’80% dell’ultima retribuzione, o della retribuzione più alta percepita nell’arco di 24 mesi. 

Anche i lavoratori atipici devono godere di un sostegno al reddito nei periodi di disoccupazione, e devono poter accedere al credito per comprare la casa, o per acquistare strumenti di lavoro. Per sostenere tali oneri, si può creare un fondo nazionale di garanzia utilizzando una quota dell’aliquota contributiva INPS, e con la partecipazione delle Fondazioni bancarie.

Cancellare la legge 30 non basta, anche perchè una nuova normativa richiede tempo. Nella fase transitoria occorrono sinergie tra le organizzazioni sindacali, le forze politiche e le Istituzioni, per trasformare una condizione di lavoro caratterizzata da rapporti individuali, in una dimensione collettiva, in cui venga stabilita la tipicità e inderogabilità dei diritti e delle tutele, e la stabilità del posto di lavoro come modello da perseguire. Pertanto, è indispensabile concludere con le imprese, ma in particolare con le Istituzioni locali, che peraltro hanno possibilità di influire anche sulle imprese, accordi sindacali che prevedano per i lavoratori parasubordinati il godimento dei diritti e delle tutele fondamentali. 

Fra gli altri, è essenziale riconoscere e garantire a questi lavoratori, attraverso la formazione professionale pubblica ed i Fondi interprofessionali, il diritto alla formazione continua e alla riqualificazione.

Tutte le proposte avanzate in questa e in altre sedi, in vista del rinnovo del Parlamento, richiedono un’assunzione di responsabilità da parte delle forze politiche perchè questi temi siano posti al centro del confronto e del dibattito politico, in modo da arrivare anche in tempi relativamente brevi al superamento delle problematiche del lavoro atipico, e restituire così dignità a questi lavoratori e alla stessa società in cui viviamo. 

Il popolo degli invisibili, così sono stati spesso chiamati i lavoratori atipici, attende tutto questo dal nuovo governo, un governo che dovrà essere diverso da quello che abbiamo oggi, che ha dimostrato totale incapacità di dare risposte ai problemi reali del Paese, a partire da quelli del lavoro e, in particolare, del lavoro precario. Questo attende, quel popolo, per ricominciare a fare progetti di vita e i figli almeno a trenta, e non a quarant’anni, per sperare in un futuro migliore, per vivere una età matura con dignità e serenità, per poter diventare finalmente lavoratori e pensionati, e, soprattutto, cittadini di serie A. E sono esattamente le stesse cose che dal nuovo governo, aspettano, vogliono, chiedono con forza, le mogli, i mariti, i padri, le madri, i fratelli, le sorelle, i figli, di quel popolo invisibile.

A segus