La recente decisione del presidente Soru in merito all’adozione del sardo negli atti ufficiali della Regione segna una svolta epocale nelle politiche linguistiche della Sardegna.
Per la prima volta, l’istituzione autonomistica utilizza la nostra lingua di identità storica e in questo modo sottolinea la sua diversità e specialità. Non si rifiuta l’italiano che continua ad avere esclusivo valore legale. Non si emarginano le varianti locali che restano nell’uso scritto e parlato e che gli uffici riconoscono in entrata. Non si compiono errori grossolani né linguistici, né politici. Il plauso per l’operato del presidente e dell’assessore è totale e indiscutibile.
Si è trattato di un lungo percorso che non è stato né facile né sereno. Gli operatori sembrano in maggioranza, se non soddisfatti, possibilisti e positivamente motivati. Pur tuttavia credo che non si tratti di un semplice punto di arrivo, ma di uno snodo politico che prelude a una prossima ripartenza. Il problema della lingua è stato troppo a lungo sottovalutato da una buona parte delle forze politiche di maggioranza e di opposizione.
Una questione così importante che concerne la qualità della nostra autonomia e l’essenza della nostra identità di popolo è stata confusa con il folclore, con l’antropologia a basso costo e con il passatismo di maniera. In realtà, la valorizzazione della lingua sarda come elemento comunicativo e simbolico dovrebbe essere uno dei punti qualificanti sui quali confrontarsi in vista dell’approvazione del nuovo Statuto.
Le minoranze storiche come la nostra arricchiscono il panorama culturale italiano e sono salvaguardate e tutelate dall’Europa. Sardi, friulani, ladini, baschi, catalani, galiziani e corsi possono interpretare il loro ruolo di nazionalità minori in senso progressivo e con una vicinanza di fondo con gli interessi dei ceti più deboli della società. Quelli che di solito mantengono intatto l’uso della lingua.
Il nemico comune delle lingue di minoranza e del povertariato-precariato diffuso è il rullo compressore dell’omologazione e della globalizzazione culturale ed economica. L’apertura in prospettiva europea di questo problema è il dato positivo dell’approvazione delle norme che istituiscono sa Limba sarda comuna e di ciò bisogna dare atto al presidente Soru.
Ai partiti, al Consiglio Regionale, alle comunità locali e provinciali sta ora di interpretare questa scelta nel migliore dei modi per valorizzarne insieme gli aspetti di rafforzamento nazionalitario e di coesione regionale.