18/05/2006 Parres lìberos
Sa Sardigna tzìvica
de Mateu Ionta
Il motore dell’identità non è solo il Nuraghe.
La recente pubblicazione della Limba Sarda Comuna ha messo
momentaneamente fine un limbo pluri-annuale fatto di litigi e rancori repressi
tra le mura domestiche di una minoranza di ottimi linguisti
accademici e non che non sempre sono riusciti a
coordinare i propri sforzi tesi alla realizzazione di uno
standard comune.
In realtà, per la prima volta dopo tanti
anni e stavolta con una azione dall’alto verso il basso,
la lingua può entrare nuovamente in un discorso culturale
ma anche “nazionale”. Chi studia i media infatti, anche con
una semplice analisi di alcuni articoli non
può non notare il distacco con cui chi ha in mano
l’informazione tratta l’argomento “limba” rispetto
a quando è l’argomento “archeologia e identità”
o “DNA e identità” a essere trattato.
Per anni, dopo l’approvazione della legge 482/99, la
Limba ha ricevuto il trattamento dovuto a un ospite
mandato da parenti lontani, di un altro continente,
e non ha ricevuto tanti omaggi neanche
nella proposta politica dei movimenti più indipendentisti
che si esprimono in italiano forse perché il pubblico che
desiderano raggiungere esprime gran parte della propria
identità in italiano.
Le cose possono cambiare e spesso
sono le classi dirigenti assieme all’intellighenzia locale
a farlo dato che le altre persone, ovvero la maggioranza, sono tese
a spendere la propria vita per risolvere i bisogni primari
oppure, sono cresciute con una identità frutto di 150 anni di politica
monolingue che reso il sardo una lingua per lo più intima e
non utilizzata per la comunicazione formale.
Se queste classi dirigenti vogliono cambiare in tutto o in parte
la situazione debbono trovare i denari per farlo.
Non si può non notare il dislivello tra lo sforzo
economicamente motivato di diffondere
nell’isola una buona conoscenza della lingua inglese
per dare ai sardi più opportunità di lavoro e scambi
culturali o lo sforzo teso a irrobustire il nostro
patrimonio museale che è visto come volano per
i problemi endemici dell’economia isolana ma anche
una opportunità di riscrivere la storia isolana vista
come una storia di cattiva comunicazione e di rapporti
troppo lesivi della periferia.
Se tale identità nazionale, grazie anche a una ricostruzione
della propria identità e importanza storica, si svilupperà
sarebbe meglio fosse civica, basata sul rapporto tra cittadino e stato(sardo?)
e non tra membri di un gruppo etnico spacciato per
omogeneo.
Il modello non sarà gruppo di sangue o di
“vero sangue” dei “veri sardi”ma sarà un bel rapporto a
tre tra cittadino-terra-istituzioni.
Finora il rapporto era a due, improntato a una solida monogamia
cittadino-terra da quando tutti noi, capaci di intendere
abbiamo immaginato la Sardegna non come un complesso
di cittadini e istituzioni ma come una persona, spesso
come una donna illibata, una donna ideale, pura da
difendere contro gli intrusi e i ladroni, una identità gemella
per la quale saremmo forse stati disposti a sacrificare la nostra vita.
Nessuno lo dice in Sardegna o nel continente ma questo sentire,
nei paesi anglosassoni si chiama comunque nazionalismo.
Non è una parolaccia come da noi dove anche gli indipendentisti
più convinti si definiscono “non nazionalisti” quando scrivono sui media.
Nazionalismo da noi è, nella storia recente, stato sinonimo di
idea politica di nazione e identità etnica a scapito di altre nazioni
e identità.
Bisogna lottare contro questo utilizzo semantico
limitante. Un buon modo per fare ciò sarebbe
impostare una forma di autonomia che definisca
la Sardegna come nazione civica in grado di aprire
l’isola a cervelli e cuori di altre nazioni proprio
come un paese normale(non l’Italia)dove la
naturalizzazione avviene per tempo di residenza
e accettazione del patto sociale e non per percentuali
di sangue.
Ci apriremo agli altri e forse un giorno potremmo
avere una cittadinanza da offrire.
Ricevere una cittadinanza, è un costrutto che
funziona come un biglietto di banca.
RRappresenta che tu hai accettato e porti
con te un sistema di valori che altri(la nazione)
hanno accettato.
Un costrutto, ma funziona così per tutte le nazioni
i cui componenti immaginano minore distanza tra il confine e il centro
piuttosto che tra zone confinanti appartenenti
ad altre nazioni.
Ora, bisogna vedere se noi ci sentiamo più dentro
i confini di una idea condivisa di italianità o se
i sardi ritengano vi siano abbastanza tratti culturali e
Fattori socio-economici peculiari che ci facciano
decidere di essere più autonomi o anche indipendenti.
Ma l’accettazione di un sistema di valori definiti
come sardi non implicherebbe o non dovrebbe
implicare la chiusura dei confini e della possibilità
di stratificare ulteriormente la nostra cultura.
Noi non cancelleremmo il passato
che come il futuro può essere rappresentato
a strati cumenti is cibuddas o come una insalata mista
(e magari non necessariamente un pout purry).
Bisogna stare attenti a non farci convincere che il passato
dei sardi sia fatto invece da parti molto più importanti all’interno
della Storia.
I media hanno ospitato spesso azioni tese
a dipingere la storia sarda come giocata popoli identificati come
“i sardi”, “gli originali”, “i nativi” che un giorno
avrebbero impresso il terrore sui mari oppure “i costruttori di torri” .
Nei media, e forse ormai anche nell’immaginario comune,
queste popolazioni sono ritratti come gli unici veri
motori e detentori della identità sarda.
Questo anche
è nazionalismo così come il continuo richiamarsi
a un’età dell’oro arborense, l’unica in cui “il popolo”
sarebbe stato libero di autogovernarsi. Eleonora però,
intesa come simbolo delle istituzioni, come mamma della
patria può essere considerata icona civica e non etnica.
In tutto ciò, Sa limba, affianco all’italiano potrebbe tornare a
giocare una parte non necessariamente minore nella
costruzione perenne di una identità sarda e i risultati
potrebbero essere sorprendenti.
Tuttavia, proprio la
potenziale carica autonomistica rappresentata da
una lingua viva distinta dall’idioma di una nazione
italiana plurilingue solo a parole ma nei fatti oscenamente
monolingue come la Francia, potrebbe ridurre gli
interventi dall’alto a favore della lingua a semplice
operazione di conservazione culturale.
Quel che è certo è che ora ci si
aspetta la nascita di una letteratura in Limba Comuna.
Lo stato nazionale italiano è esistito come “nazione”
Senza stato prima nella letteratura e poi con la politica
È divenuto stato-nazione.
Una identità di nazione sarda sembra esistere. Esiste
anche se non apertamente dichiarato nei media, esiste nell’offerta culturale, esiste nel
sentirci diversi se lo diciamo noi e non se ce lo dicono
gli altri.
Chissà che la lingua sarda, possa, in tempi non necessariamente brevi
contribuire a una definizione più marcata di tratti distintivi sardi. Se ciò non
fosse avremmo comunque acquistato maggiore capacità organizzativa nel
NON perdere un patrimonio millenario.
Matteo Ionta
A
segus
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