Il 12 giugno 2005 si terrà il referendum regionale per l'abrogazione della
legge regionale n°8/2001 che consente l'importazione in Sardegna di scorie
tossiche qualificandole come materie prime. La legge regionale n°8, infatti,
consente l'introduzione di "(.) rifiuti di origine extra-regionale da
utilizzare esclusivamente quali materie prime nei processi produttivi degli
impianti industriali ubicati in Sardegna e già operanti alla data
dell'approvazione delle legge regionale, non finalizzata al trattamento ed
allo smaltimento dei rifiuti". In questo modo normative Europee che impongono
una documentazione sull'origine, il trasporto, lo stoccaggio e lo smaltimento
dei rifiuti tossici vengono aggirate. Tra questi rifiuti tossici vanno
compresi i fumi d'acciaieria.
Cosa sono i fumi di acciaieria
Sono le polveri metalliche altamente inquinanti e velenose che vengono
raccolte filtrando i fumi dei forni elettrici che producono acciaio dai
rottami ferrosi. L'acciaio viene ormai prodotto fondendo rottami ferrosi
importati dai paesi dell'Est europeo o dagli stati dell'ex Unione Sovietica.
Finiscono nel forno rottami d'ogni tipo che contengano ferro (tubature
industriali, container, serbatoi di raffinerie e industrie obsolete, centrali
nucleari dismesse, impianti petrolchimici,etc.). Ma quante sostanze velenose
ed altamente inquinanti vengono fuse o vaporizzate assieme ai rottami?
Cosa contengono i fumi di acciaieria e cosa determinano
I fumi di acciaieria sono un distillato di sostanze chimiche e metalli pesanti
(Zinco, Piombo, Cadmio Mercurio, Nichel, Vanadio, Arsenico, Berillio, Rame e
Cobalto) alcuni dei quali capaci di indurre lo sviluppo di tumori. Ad esempio
il Cadmio e i suoi composti, per i quali, nell' area del Sulcis, si registra
il record Europeo di rilascio nelle acque, è conosciuto come causa di tumori
polmonari, prostatici e vescicali. Possono inoltre causare neuropatie
degenerative e anche malattie cardio-vascolari e polmonari che trovano
importanti cause inducenti nelle emissioni inquinanti atmosferiche.
Cosa possono contenere o cosa possono aver contenuto
Da un rapporto del Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri (NOE) il 6
ottobre 1999 si rileva:
"Le considerevoli quantità di materiali radioattivi accumulate nelle strutture
industriali tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 ed il
concomitante dissesto delle organizzazione governative dei Paesi dell'est
europeo, nonché i rilevanti incidenti nucleari verificatesi all'estero, sono
fattori che hanno favorito la nascita e lo sviluppo di traffici illeciti di
materiale contaminato da sorgenti radioattive.
In particolare l'importazione di ingenti quantitativi di rottami metallici e
materiale ferroso che entrano nel nostro territorio, destinati per buona parte
alle fonderie del nord, diventa oggetto di attenzione da parte delle
organizzazioni criminali nazionali ed internazionali, al pari dei traffici
abusivi di armi e stupefacenti."
Anche i nostri servizi di sicurezza conoscono bene il problema. Nel numero 19
(gennaio-aprile 2001) della Rivista del Servizio di informazioni e sicurezza
democratica SISDE "Per Aspera ad Veritatem - Rivista di intelligence e di
cultura professionale" si afferma:
"Sono stati accertati 173 casi di traffico illecito di materiale nucleare dal
1992 al 1998. Su due milioni e 260 mila tonnellate di rottami ferrosi che
passano attraverso i valichi doganali, sono stati rispediti al mittente, in
quanto risultate contaminate, 15.000 tonnellate. Sono stati accertati e
denunciati 66 responsabili di laboratorio, accertati 113 reati penali ed
eseguiti 17 sequestri, tra il 1997 e il 1999, per un valore pari a 2.200
milioni. (. )".
Rischi passati e presenti
Il 13 gennaio 2004 all'Acciaieria AFV Beltrame di Vicenza è accaduto di
fondere una sorgente radioattiva, finita per cause ancora non chiarite, tra i
rottami in ingresso allo stabilimento. L'emergenza è scattata quando le
emissioni dei forni sono transitate attraverso il portale di controllo della
radioattività posto all'uscita dallo stabilimento. La sorgente radioattiva non
è stata rilevata all'ingresso perché presumibilmente schermata o sigillata, ma
solo dopo, quando a seguito della fusione, si è liberata nei fumi del forno
fissandosi alle polveri con valori molto alti di Cesio 137 riscontrati pari a
25000 bequerel/kg. Incidenti simili posso essere accaduti in altre acciaierie
senza che ne sia conseguito un comportamento virtuoso di denuncia .
In questa situazione la Sardegna si trova in una condizione di estrema
vulnerabilità per l'assenza di un portale radiometrico nello stabilimento per
lo smaltimento dei fumi di acciaieria fino alla primavera del 2004 e per
l'inesistenza di una Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente
funzionante.
Perché perseverare nell'errore?
Nel Mondo si producono ogni anno per 3.430.000 tonnellate di fumi di
acciaierie di cui 226.000 solo in Italia. Nello stato italiano lo smaltimento
in discarica speciale costa ormai quasi 1000 euro per ogni tonnellata di fumi
d'acciaieria. Per questo la stragrande maggioranza dei fumi di produzione
occidentale è inviata nel terzo mondo e nell'estremo oriente per il recupero
dello zinco e lo smaltimento dei rifiuti nocivi, disinteressandosi i
committenti del loro destino finale. L'Assessorato della Difesa dell'Ambiente,
di concerto con quelli alla Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione,
Spettacolo e Sport, dopo la Valutazione di Impatto Ambientale ha concesso
recentemente l'innalzamento delle quote di fumi di acciaieria da smaltirsi in
Sardegna da 120.000 a 300.000 tonnellate, ignorando le gravi conseguenze (tra
le prescrizioni richieste si insiste sulle emissioni in atmosfera, ma si
dimentica la bonifica analitica delle condizioni del suolo e delle acque, sia
pregresse che future).
Perché trasformare la Sardegna in una pattumiera?
In Sardegna non esistono industrie che producano acciaio, però sono presenti
industrie che smaltiscono fumi d'acciaierie per ricavarne zinco. Se ne può
recuperare fino al 10/15%, mentre le altre sostanze tossiche che rimangono
dopo il trattamento vengono emesse e disperse, parte in atmosfera e parte
accumulate nel suolo e nelle acque. Dal punto di vista quantitativo questa
prospettiva è tutt'altro che rosea per l'ambiente sardo. Infatti il 75-80%
delle scorie residue rappresentano un quantitativo di 250.000 tonnellate/annue
di scorie residue che in dieci anni risultano 2.500.000 tonnellate. Quantità e
volumi enormi, soprattutto se tali scorie venissero vetrificate per la messa
in sicurezza, cosa che, comunque, ancora non viene fatta. Nel caso, dove
andrebbero a finire queste quantità e volumi di scorie?
Necessità di una politica seria di bonifica
E' evidente che l'individuazione dei siti ad alto rischio ambientale,
presuppone un programma di salvaguardia della salute dei lavoratori e delle
popolazioni presenti in tali aree. E' altresì necessario l'avviamento di un
programma di bonifica che veda, proprio nei lavoratori presenti in tali aree
ed in relazione alla loro alta specializzazione, i soggetti attivi sui quali
contare per la stessa opera di bonifica. Esistono normative Europee e statali
che prevedono finanziamenti indirizzati in questo senso. Chiediamo, alle
organizzazioni sindacali ed in particolare alle strutture di base, una
mobilitazione per concertare, assieme alle istituzioni, un programma che
trasformi le imprese industriali sarde in fonti sane di opportunità di
benessere, sia per chi ci lavora che per le popolazioni dei territori
interessati.