I festeggiamenti per «Sa die de sa Sardigna» sono la spinta per diffondere la storia del Popolo Sardo. Lo scopo è di risardizzare i sardi, affinché prendano coscienza di appartenere ad una vera e propria Nazione, la quale nel corso della sua storia ha avuto tantissimi patrioti che hanno lottato fino alla morte per la sua indipendenza. Per rimanere attinenti alla gloriosa, seppur effimera, giornata del 28 aprile 1794, di cui i legislatori sardi si sono ispirati nel 1993 per celebrare una giornata storica per il Popolo Sardo, presentiamo la storia dimenticata, ma anche rimossa, di Francesco Cilocco. Un Patriota per eccellenza che a tutt’oggi simboleggia la resistenza contro l’oppressione e che forse pagò più degli altri Patrioti coevi la sua fedeltà alla Patria Sarda. Francesco Cilocco nacque a Cagliari il 20 dicembre 1769, di professione era notaio e fu un militante antipiemontese, antifeudale e repubblicano con « Capacità non comuni di organizzazione politico e militare» (Federico Francioni: «Per una storia segreta della Sardegna fra Settecento e Ottocento» ). Il suo carisma, dovuto alla formidabile intelligenza e alle doti di oratore, lo portò fisiologicamente ad essere il condottiero della lotta di liberazione nazionale che divampava ovunque in quegl’anni in Sardegna. Era un uomo che il potere savoiardo non poteva comprare perché la sua fede patriottica era cristallina. Animatore dei moti antipiemontesi del 1794, giornata memorabile in cui tutti gli italiani di allora furono arrestati ed espulsi dalla Sardegna, infuocava gli animi di un popolo oppresso dalla tirannia. Il nostro eroe natzionale assunse un ruolo sempre più importante in questo periodo rivoluzionario. Nel dicembre del 1795 è, infatti, capitano, insieme a Giuachino Mundula, un altro eroe, di un esercito popolare di 13000 persone, provenienti da numerosi paesi del Logudoro, che assediò, il giorno 27, Sassari per arrestare i feudatari. Grazie anche all’insurrezione degli zappatori sassaresi contro «li cani magnadori», le porte delle mura furono aperte due giorni dopo. Cilocco fu accolto trionfante nella «Postha Noba», ma i nemici riuscirono a scappare nottetempo, forse attraverso i tanti cunicoli sotterranei che portavano fuori della città.
La rivoluzione non si compì e gli anni che seguirono furono segnati da una feroce repressione contro i patrioti, comandata dai famigerati Placido Benedetto di Savoia, conte di Moriana e da suo fratello, il vice re di Sardegna Carlo Felice, entrambi fratelli del re di Sardegna Carlo Emanuele IV. Con una taglia sulla testa di 1000 scudi, il nostro Cilocco era ricercatissimo e braccato ovunque. Nel giugno del 1802, quindi, tenta il tutto per tutto per costituire la repubblica indipendente di Sardegna, ed ottenere la tanto agognata libertà. Insieme al Patriota Francesco Sanna Corda e a tanti altri sbarcati dalla Corsica, armi in pugno, occuparono le torri di guardia di Vignola e Longosardo. Ma, traditi dal bandito gallurese Mamia, il quale si sarebbe dovuto unire a loro con la sua banda, si concluse tragicamente il disegno politico di quei patrioti. Il giorno 19 il fratello Sanna Corda fu il primo a cadere crivellato dal piombo savoiardo, dopo essersi «battuto come un leone» andando incontro al nemico. Cilocco fu catturato il 25 luglio. Per coloro che non morivano sul campo di battaglia, era riservata la tortura e la condanna a morte. Dopo essere stato lasciato per giorni legato ad un albero, senz’acqua né cibo, fu portato a dorso di un asino nella città di Tempio per essere schernito e fustigato. E sarà così per tutti quei paesi che dovette attraversare per essere condotto a Sassari per il processo. In questa città, (nella quale persiste la massima «La fini di keko», la fine di Francesco, Francesco Cilocco, che richiama alla drammaticità dell’evento ed utilizzata per indicare un fatto tragico subito da qualcuno), entrò a dorso di un asino il 9 agosto 1802. Tra la derisione e il dileggio della gente che si apriva a corridoio al suo passaggio e con il boia che affondava la frusta su di lui, iniziava il vero martirio di questo eroe. Il tribunale, il medesimo che mandò al patibolo altri Patrioti, gli inflisse la condanna a morte, previa tortura della corda, delle tenaglie infuocate e la fustigazione. L’annientamento della persona e ciò che personificava Francesco Cilocco fu fissato per il 30 agosto dello stesso anno in «Carra manna», l’attuale Piazza Tola. La tortura della «corda», chiamata anche «pendolo» o «urlo», consisteva nel legare i polsi dietro la schiena del prigioniero, il quale sempre per i polsi veniva issato con una corda passante su una carrucola e, tenuto penzoloni, si lasciava precipitare ad un palmo dal pavimento, quando il giudice l’ordinava. Lo strappone poteva spezzare le ossa e, talora, far scoppiare il ventre. Le « Pinze infuocate » erano usate, invece, per strappare capezzoli, unghie e brandelli di carne. Queste erano le condanne per Francesco Cilocco, ma non solo questo: la fustigazione avvenne «a doppia suola intessuta di piombo». Questo supplizio gli fu inferto con così zelo che dalle spalle e dalla schiena gli aguzzini riuscivano a strappargli la pelle a «lische sanguinanti». Sollevato sul patibolo semi vivo, fu impiccato e, da morto, decapitato. Il suo corpo fu bruciato e le ceneri sparse al vento. Ma la malvagità savoiarda, non sazia, sancì, in tributo alla causa antisarda, che la testa del Patriota sardo fosse rinchiusa dentro una gabbia di ferro ed esposta, a scopo intimidatorio, all’ingresso di «Postha Noba », mentre nelle altre « Porte » della città i lembi della sua carne completavano l’orrore. Il macabro monito rimase esposto per giorni e giorni. Francesco Cilocco durante la tortura non emise un grido di dolore e con stoica dignità « impiegò quel poco di vita che gli restava per morire con animo forte ». Francesco Cilocco aveva 33 anni. Questo grande Patriota ci ha lasciato una grande eredità spirituale. Il suo sacrificio, a 200 anni dal martirio deve essere riconosciuto come atto di profonda fedeltà verso la Sardegna e il Popolo Sardo che Lui agognava libero e sovrano.