23/07/2005 Sèberos de sa Retza - Corriere della Sera
Limbas: disassimigiu intre sardu e italianu
de Lorenzo Verderame
Lingue: le differenze tra il sardo e l'italiano
Cari Italians,
è necessario correggere l'improvvida affermazione di Marco Bressan (lettera del 19 luglio), per il quale fra l'inglese parlato da alcuni (secondo Bressan: ignoranti) e l'inglese scritto ci sarebbe la stessa distanza che passa fra il dialetto sardo e l'italiano corretto. Gli strafalcioni sono almeno due. Il primo errore: non si possono paragonare l'italiano ed il sardo. E' infatti evidente che il sardo, che i linguisti definiscono una lingua neolatina a parte, si differenzia dall'italiano: allo stesso modo che il catalano si differenzia dallo spagnolo (anzi, molto di più), o che il francese si differenzia dal portoghese. Quindi, tra sardo e italiano non passa la stessa distinzione che c'è (per esempio) fra calabrese e italiano. Mentre il sardo è una lingua separata, che comprende al suo interno vari dialetti (logudorese, campidanese, nuorese), il calabrese è un dialetto (anzi, sono vari dialetti, secondo le zone della Calabria) della grande famiglia della lingua italiana (che comprende i dialetti del nord, quelli del sud, quelli centro-appenninici, e così via). Il secondo strafalcione è quello di pensare che chi usa forme dialettali o parli con un forte accento sia un ignorante ed un troglodita. La lingua (tutte le lingue) non è mai un aggeggio morto che sta lì ad aspettare che qualcuno le prenda e ne applichi meccanicamente le regole sintattiche e morfologiche. La lingua è una cosa viva, ed è il popolo che la parla a crearla e trasformarla, in barba agli accademici della Crusca ed a tutti i "grammatici" di ogni epoca. Più in generale (lo dico a Bressan), credo che i sardi si siano stufati di essere additati quali "modelli di incomprensibilità": tutti i sardi che ho incontrato, quando parlavano in italiano, parlavano un italiano corretto e addirittura forbito (sempre che questi aggettivi abbiano un senso). Altrettanto non posso dire di molti napoletani, veneti, romani e addirittura (udite udite!) toscani, che tendono a parlare il loro dialetto, le cui assonanze a volte (ma solo a volte) sono simili a quelle dell'italiano scritto.