© LimbaSarda 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

28/06/2005 Sèberos de sa Retza - Giassu ufitziale regionale

Soru "natzionalista" beru o imaginìficu? 

<...Quindi, mentre ricordiamo e riportiamo al cuore la memoria di Emilio Lussu, magari vale la pena di darci anche un obiettivo per il futuro, per un futuro che vogliamo costruire in questa Regione. 
Questa Regione che vuole superare il lutto, che è stato richiamato, di una Nazione senza Stato. 
Oggi siamo consapevoli che mentre prima Nazione e Stato non potevano esser separati, oggi si può essere Nazione, dobbiamo cercare di esserlo fino in fondo anche senza uno Stato, perché stiamo andando verso un modo di vita sociale che non necessariamente unisce Nazione e Stato. 
Lo Stato sta diventando l’Europa, sempre più sarà l'Europa, e all'interno di un'Europa-Stato noi possiamo essere una Nazione forte, consapevole, riconoscibile e parte importante di questa Europa. 
E quindi basta col lutto. Siamo sereni, tranquilli, consapevoli, forti, non abbiamo più vergogna della nostra identità e anche del richiamo a essere popolo e Nazione. Però viviamolo col coraggio, viviamolo col coraggio e con l'eroismo a cui prima mi sono riferito e con quel senso di rivolta necessaria per difendere la nostra identità che è parte della coscienza, che è forza dello spirito ma che sarà anche la fonte del lavoro per il prossimo futuro. 
Grazie...».


Armungia ricorda Emilio Lussu Armungia, sabato 19 marzo 2005, palestra scuole elementari«Ringrazio naturalmente il sindaco e tutti gli organizzatori di questa bella manifestazione per avermi invitato e per avermi dato anche l'occasione di dire qualche parola. Sono venuto naturalmente molto volentieri stamattina qui ad Armungia per onorare la memoria di Emilio Lussu, per ricordarlo, e per portare ancora una volta il senso e la gratitudine della Regione sarda, verso quest'uomo, e di tutti i sardi. 
E' stato utile per me venire e sentire anche le belle relazioni che si sono succedute stamattina, dalla prima di Nereide Rudas fino a quella che abbiamo appena sentito. 
E magari provo a iniziare con le suggestioni di Nereide Rudas e quelle del viaggio, del viaggio che anch'io ho compiuto partendo da Cagliari stamattina, un viaggio breve, e lunghissimo, che parte dal centro della città, attraversa questa periferia sempre più vasta, questa città vasta di Cagliari e subito.. e subito si addentra nella campagna e la città diventa paese, diventa paese piccolissimo, e diventa paesaggio spopolato, e diventa paesaggio intonso, montagne, valli, alberi senza che si incontri per chilometri la presenza dell'uomo. 
E arriviamo subito al centro della Sardegna, in pochi minuti, al centro della Sardegna, della Sardegna di oggi, simile sicuramente a quella del passato; della Sardegna di oggi, e delle difficoltà ancora della Sardegna di oggi, delle zone interne, della mancanza di lavoro, del lavoro debole, del lavoro precario, del lavoro difficile, del lavoro mal pagato, dell'agricoltura che è senza prospettive o con prospettive che non s'intravedono. E siamo con un viaggio breve subito al centro della questione, della Sardegna di oggi, di 900 mila sardi che ancora vivono in questi piccoli paesi e devono continuare a vivere in questi piccoli paesi e vorrebbero viverci meglio, continuarci a vivere e vivere meglio. 

E venendo qui siamo anche subito al centro della questione della Regione e dell'autonomia regionale, così attuale in questi giorni. Appena l'altro ieri, il Governo ha impugnato, presso la Corte Costituzionale, per la seconda volta in pochi mesi, una legge recentemente promulgata e votata dal nostro Consiglio regionale. Di questa autonomia regionale che affrontiamo in questo avvio di legislatura che vorremmo tutti una legislatura di riforme, di riforma dello Statuto e di riaffermazione dell'autonomia regionale. 
E venendo qui pensavo anche alla casualità di venirci, a questa condizione contingente, temporanea, di venirci da Presidente della Regione; da Presidente della Regione che quindi deve rappresentare i bisogni di tutti i sardi, i bisogni di tutti voi, di tutti voi che abitate in questi paesi, che abitate e che siete portatori di difficoltà, di interessi, di bisogni, di desideri, di aspirazioni. 
E da Presidente dei sardi vorrei e devo rappresentare questi bisogni, questi interessi, accoglierli, farli propri, viverli e testimoniarli e portarli dentro di me, come è stato ricordato stamattina, durante tutti i giorni, durante ogni minuto del mio lavoro. 
E come Presidente dei sardi devo, dovrei, devo tentare, cercare di onorare, difendere, salvaguardare questa autonomia regionale che è costata tanto, che è costata così tanta fatica, che è costata finanche sangue; è costata vite umane, è costata quasi la decimazione di una generazione. 
E' stata difesa sufficientemente quest'autonomia? Ce l'abbiamo ancora? E' ancora vera, forte quest'autonomia che abbiamo dentro le stanze di viale Trento? 
No, non è più forte come è stata, e non è più forte forse come è stata immaginata e come si sarebbe voluta e come è necessaria oggi, come sarebbe necessaria oggi. E quindi su questo occorre lavorare, su questo si cerca di lavorare e su questo si cerca di riflettere e di riavviare una stagione di riaffermazione dell'autonomia, e dell'autonomia quale strumento della politica regionale per rispondere a quei bisogni di cui parlavamo prima. 

Ho conosciuto Emilio Lussu alle medie, in seconda media, credo; in prima media ci avevano dato da leggere, passando dalle elementari, un romanzo di un autore inglese, "Il cucciolo". Raccontava la storia di un ragazzino che vive in una foresta, da qualche parte degli Stati Uniti e cresce vedendo crescere il suo cerbiatto: una storia che ci riguardava poco, la storia di un bambino. 
L'anno successivo all'improvviso una storia che ci riguardava tantissimo, "Un anno sull'altipiano". E' la storia di uomini al fronte, è la storia degli adulti e degli adulti in un momento così drammatico, difficile, una storia nostra. E in quel periodo in cui si formano le coscienze, in seconda media, mi è rimasto questo ricordo di "Un anno sull'altipiano" e di Emilio Lussu come di un romanzo pacifista e di un grande pacifista. Non come di un signore che suona le fanfare e si mette a fare la guerra, e che mostra i muscoli, e che mostra mitragliatrici, ma di un signore che conosce l'orrore della guerra, che conosce la bruttura, il dramma, tutto il male possibile della guerra, e che lo racconta come, come una cosa detestabile. Ed è stato ricordato stamattina quell'Emilio Lussu che quasi picchia un suo soldato perché non ha fatto cadere giù nel burrone il generale che mandava al macello la gente. 
E allora quest'aspetto di Emilio Lussu, quest'aspetto importante della pace è stato ricordato anche stamattina nel bell'intervento di poc'anzi, però vale la pena ancora una volta di sottolinearlo. Emilio Lussu è un uomo, dal mio punto di vista, che non ha cercato la guerra, che ha vissuto eroicamente la sua vita, in tutte le circostanze che la vita gli ha offerto; l'ha vissuta eroicamente ad Armungia, l'ha vissuta eroicamente quando gli è toccato sul fronte, di viverla sul fronte, l'ha vissuta eroicamente successivamente, è stato ricordato addirittura difendendo Roma, l'ha vissuta eroicamente nella politica. L'ha vissuta eroicamente nel fronte, non per un malinteso senso dellìeroismo, non per una medaglia, non per un simbolo, non per una carriera, non in odio a qualcuno. L'ha difeso perché era il suo modo, era il modo di fare il suo dovere, l'ha difeso per difendere i suoi compagni, per difendere i suoi amici, l'ha difeso perché si vive dignitosamente, si fa il proprio dovere in ogni occasione della nostra vita. 
E l'ha difeso insieme ai suoi amici, ai suoi amici, ai suoi compagni di paese, ai suoi paesani, ai suoi soldati, a quei soldati ai quali dobbiamo poi il debito di riconoscenza che questo paese ha sentito verso la nostra regione e dobbiamo quindi in buona parte anche il nostro riconoscimento e la nostra autonomia regionale. 
A quei soldati che per il 95%, è stato ricordato, erano figli di contadini e pastori, e non erano la Brigata Sassari, erano Francesco, Antonio, Franciscu, Giuseppe, Salvatore, Sroboi; è di loro che la Sardegna ha memoria e ha riconoscenza, di questi uno per uno, uno per uno, loro singolarmente, non un segno, non un fregio, non una medaglia, non una fanfara, non i generali di oggi. Io provo gratitudine per loro, per questi che hanno sofferto, per questi che hanno faticato, questi che hanno vissuto lì, ai tanti Sroboi, Srabadori, Srabadoriccu, che sono stati lì, sono morti lì, hanno faticato lì. 

E allora non facciamoci distrarre, non facciamoci distrarre e non facciamoci ingannare perché i governi qualche volta ingannano, e quando non riescono a distribuire lavoro, quando non riescono a distribuire equità, quando non riescono a distribuire istruzione, sanità, allora sono tentati di dare simboli, di restituire medaglie, di restituire fanfare, di restituire marcette. Ma noi non abbiamo bisogno di quello, abbiamo bisogno di altro. (Applausi) 
E allora oggi il Presidente della Regione onora Emilio Lussu e onora tutti i compagni di Emilio Lussu nel fronte. 
E' stato detto molto bene: forse fra tutti i sardi, almeno i sardi di questo ultimo secolo, Emilio Lussu è quello che ha incarnato meglio l'ideale così di vita piena, attiva, di partecipazione alla società. L'ha incarnato, è stato ricordato, in maniera libera, a schiena dritta, in maniera generosa, schiva, aspra ma eroica. E allora che insegnamento ne possiamo trarre noi da questo modo di vita? Posto che ognuno di noi vive il suo tempo e sono forse anche non giustissimi quei ragionamenti, su cosa farebbe Emilio Lussu oggi. Emilio Lussu oggi non sarebbe Emilio Lussu, sarebbe un'altra cosa. Quindi possiamo pensare eventualmente cosa fare noi oggi, e magari che cosa, che parte di un'altra vita potremmo prendere come insegnamento, come modello. 
E allora direi quello dell'eroismo. Tra le tante cose che sono state ricordate di Emilio Lussu oggi, quella dell’eroismo, e l'eroismo… ma non l'eroismo in guerra, l'eroismo in pace, l'eroismo non è solo al fronte; l'eroismo è anche nei nostri paesi, nelle nostre città. E' eroismo continuare a andare in campagna, e continuare a pensare che l'agricoltura possa ancora avere un futuro e pretendere un futuro dell'agricoltura o dell'allevamento in questa regione. 

E' eroismo continuare ad andare a scuola, continuare a non chiedere nulla e cercare solo in sé stessi la forza di tracciare il proprio futuro e di guadagnare il proprio futuro. Eroismo.. l'eroismo può viversi anche in politica, anche oggi, magari continuando a pensare la politica come impegno generoso, come dono, una politica che non chiede nulla, una politica che va contro i poteri organizzati, contro i poteri forti, contro tutto quello che va cambiato ma che crea ostacolo al cambiamento. Si può vivere la politica in maniera eroica, generosa, temporaneamente, e va vissuta in questa maniera e a questo tipo di politica potremo richiamarci o cercare quanto meno di richiamarci. 
E questo tipo di politica potremo pretendere da tutti quanti. E allora, magari, tra le cose ancora sentite stamattina, un richiamo all'eroismo nella vita di tutti i giorni, nella quotidianità, nella pace: e a questo forse maggiormente ci dobbiamo richiamare noi che abbiamo una responsabilità in questa regione. 
E poi il richiamo per tutti quanti alla rivolta, quella rivolta che citava Nereide Rudas, la rivolta anche quella pacifica, la rivolta di una Regione che non accetta pedissequamente dei modelli culturali proposti da altri, dei modelli culturali che sono solamente il segno della sottomissione, di una sottomissione che non è meno gravosa e meno dannosa di sottomissioni diverse, che si sono vissute in altri periodi della storia. E allora la rivolta di un popolo che riconosce il valore della propria identità, che riconosce il valore della propria cultura, della propria storia, della propria memoria, del proprio paesaggio, dei propri muretti a secco, del proprio "tutto" di una regione. 

La rivolta di un popolo che smette di essere utilizzato, oggetto, merce, che vuol essere parte attiva e elemento prezioso di questo mondo moderno e globale che si va costituendo. 
Quindi, mentre ricordiamo e riportiamo al cuore la memoria di Emilio Lussu, magari vale la pena di darci anche un obiettivo per il futuro, per un futuro che vogliamo costruire in questa Regione. 
Questa Regione che vuole superare il lutto, che è stato richiamato, di una Nazione senza Stato. 
Oggi siamo consapevoli che mentre prima Nazione e Stato non potevano esser separati, oggi si può essere Nazione, dobbiamo cercare di esserlo fino in fondo anche senza uno Stato, perché stiamo andando verso un modo di vita sociale che non necessariamente unisce Nazione e Stato. 
Lo Stato sta diventando l’Europa, sempre più sarà l'Europa, e all'interno di un'Europa-Stato noi possiamo essere una Nazione forte, consapevole, riconoscibile e parte importante di questa Europa. 
E quindi basta col lutto. Siamo sereni, tranquilli, consapevoli, forti, non abbiamo più vergogna della nostra identità e anche del richiamo a essere popolo e Nazione. Però viviamolo col coraggio, viviamolo col coraggio e con l'eroismo a cui prima mi sono riferito e con quel senso di rivolta necessaria per difendere la nostra identità che è parte della coscienza, che è forza dello spirito ma che sarà anche la fonte del lavoro per il prossimo futuro. 
Grazie».


A segus