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07/06/2004 Eletziones regionales/ candidaos e politica limbistica

Valorizzare la cultura dei sardi a cominciare dalla lingua

de TORE COIS Candidato al Consiglio Regionale nel Collegio provinciale di Cagliari nella lista dei DS

Che la cultura sarda sia una risorsa importante è ormai un valore condiviso da tutti. E’ un patrimonio che per troppo tempo è stato accantonato, dimenticato e, in qualche caso, ghettizzato. Oggi si fa un gran parlare del problema dell’identità, spesso a sproposito, e spesso solo per inseguire una moda. In realtà bisogna ripartire da questo orizzonte ideale e fondare una nuova cultura identitaria che sia utile ai sardi di oggi per crescere e diventare veramente un popolo maturo e consapevole di se stesso. Per fare ciò, oltre a promuovere i diversi settori dell’attività culturale che sono la scuola, l’università, i beni culturali, lo spettacolo di qualità, le tradizioni popolari, la riqualificazione dell’edilizia storica, bisogna certamente affrontare il problema dell’identità linguistica dell’isola, senza il quale qualsiasi discorso identitario resta privo di significato. Per fare questo è necessario acquisire anche in questo campo una mentalita di governo uscendo dall’improvvisazione e dalla provvisorietà. E’ il “sistema” culturale regionale che non funziona, e non è stato fatto funzionare (tranne alcune sporadiche iniziative) in questi anni. Fuori dalla genericità delle campagne elettorali ciò che bisogna fondare è una vera e propria politica culturale regionale, e finalmente, una politica linguistica per l’attuazione delle leggi che individuano i sardi quali membri di una minoranza linguistica storica. Questi sono infatti i termini del problema e della attuale questione dell’identità della Sardegna. Su questo i tradizionali partiti e le nuove formazioni dovrebbero fare le proposte. Non è più tempo di discutere su lingua si o no, su identità si o no. Non è più tempo di dibattiti. Ci sono le leggi europee, statali e regionali da applicare interamente. A questo sono chiamate le istituzioni e chi le vuole governare. Anche su questo io ho intenzione di prendere impegni e di battermi se sarò eletto in Consiglio Regionale. Infatti, la Regione Autonoma della Sardegna ha enunciato la sua identità linguistica in una delle sue leggi forse più riuscite la n°26 del 15 ottobre 1997 “Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna”. Tale identità è biculturale e per conseguenza bilingue, e favorisce la tutela di una serie di idiomi e dialetti parlati nel territorio regionale, accanto alla naturale difesa e al riconoscimento del sardo. La legge statale 15 dicembre 1999 n°482 “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche” ha confermato tale scelta e, a dire il vero, ha ampliato la sfera di protezione e di uso ufficiale della lingua sarda accanto all’italiano, in modo particolare nell’ambito della pubblica amministrazione. . Nonostante il lungo e travagliato iter di approvazione e messa a regime della legge regionale, il monitoraggio dei piani di attività dei primi anni di operatività effettiva dello strumento normativo del 1997 ha rivelato il successo della legge 26 quale strumento di rafforzamento dell’identità. In particolare nelle istituzioni scolastiche, dove è evidente l’impatto positivo della più grande operazione di intervento culturale intrapresa dalla Regione dalla sua istituzione a oggi. Nel testo legislativo regionale, la cultura e la lingua sono denominati quali beni di fondamentale importanza per la Regione. Ciò ha il significato anche che, nell’attività amministrativa e di governo, l’apparato istituzionale e amministrativo della Regione non può sottrarsi al diritto-dovere di valorizzare la cultura, ma soprattutto la lingua sarda. Ne tantomeno può esimersi dal tenere in considerazione il “rinvigorimento” della lingua e della cultura locale quale obiettivo prioritario dell’Istruzione Regionale oggi che ci si avvia a una riforma in senso federale del settore. Spesso ci si chiede quali siano le ragioni della crisi della nostra specialità autonomistica. Si risponde pensando a un funzionalismo meccanicistico della vita politica: sono le regole sbagliate, la selezione della classe dirigente, il rapporto tra la burocrazia e l’impresa, tra l’esecutivo e l’assemblea regionale. Si invocano riforme, nuovi statuti, nuove costituzioni, quote superiori di sovranità. Tutto giusto, naturalmente, ma si scambiano gli effetti per le cause e si curano i sintomi invece di estirpare il male. In realtà chi ha responsabilità superiori di governo ha il dovere di rendersi conto che ciò che manca veramente è un legame profondo tra la Regione Istituzione e la società reale sarda. In cinquant’anni e oltre di Autonomia Speciale, si è riusciti solo in parte a creare e rafforzare un sentimento di popolo su una base identitaria, e in questo modo rafforzare e riconfermare il segnale della scelta autonomistica per la Sardegna. Alla “coesione sociale”, per dirla in termini programmatori, in Sardegna si può arrivare anche con questo percorso identitario. E questo credo sia uno degli obiettivi prioritari della mia attività di consigliere regionale. La politica linguistica non deve essere intesa però come totalizzante (e non deve essere fuorviante) perché l’identità sarda è allo stesso tempo multilingue e plurilingue. Cioè l’inglese è indispensabile per le relazioni internazionali, e l’italiano è una lingua non straniera, ma “sarda” a tutti gli effetti. E’ però evidente che l’identità si difende e si sviluppa meglio, se la lingua millenaria dei sardi esce dalla sua marginalità ed emarginazione in cui alcuni la vorrebbero tenere, propugnando lo status quo linguistico. E’ giunto il momento, dunque, per chi ha responsabilità di governo in Sardegna, o per chi aspira ad averne, di porsi pragmaticamente il problema della cultura e della lingua quali risorse primarie del nostro riscatto economico e di popolo. E di come anche la possibilità di “concorrere” nella legislazione che afferisce all’educazione possa essere utilizzata per sostenere una scuola che tuteli la lingua di minoranza Pertanto mi propongo di impegnarmi su questi punti d’accordo con gli amici di sotziulimbasarda.net: 1) Valorizzazione, nell’ambito della politica linguistica del ruolo della Regione Autonoma della Sardegna e dell’Assessorato della Pubblica Istruzione (che nel suo complesso vanta un’ottima qualificazione professionale e ha bisogno solo di indirizzi politici e personale tecnico) visto il ridimensionamento palese al quale l’ha relegato il Ministeri degli Affari Regionali. In questa ottica è fondamentale far partire lo Sportello Linguistico Regionale; 2) Il bilinguismo dovrà partire dal basso: l'istituzione presso ogni Comune, e nella Provincia, di uno sportello linguistico amministrativo e la figura del cosiddetto "linguista condotto", darà ai sardi il primo pratico e concreto esempio di cosa significa bilinguismo, oltre a dare una concreta risposta, in parte, al problema della disoccupazione intellettuale giovanile. 3) Dobbiamo far acquistare alla lingua sarda quella dignità che le è stata tolta e avviare velocemente il processo utile per farla diventare lingua co-ufficiale al pari dell’italiano. La lingua sarda dovrà pertanto essere standardizzata e pertanto, prendendo atto del fallimento della cosiddetta Lingua Sarda Unificata, occorrerà affidare ad una nuova commissione di esperti l'incarico vincolante di elaborare in tempi brevi una proposta di lingua sarda, una lingua “amministrativa” ad uso esclusivo della Regione, partendo dal presupposto che i sardi non devono essere “spogliati” della lingua dei loro padri, e che non esiste un sardo più “dotto” degli altri, ma che tutte le varianti del sardo hanno pari rispettabilità. Massima attenzione sarà dedicata alla difesa dei dialetti della variante campidanese. E’ di interesse la proposta presentata dal comitato “Abbia a unu sardu comunu” denominata “Limba de Mesania” insieme al relativo progetto di politica linguistica, il quale riesce a mettere insieme la necessità di standardizzare una variante amministrativa con l’obbligo di tutelare le varianti parlate. Tale progetto ci pare la strada più saggia da seguire. 4) Nelle scuole di ogni ordine e grado deve essere previsto l'insegnamento della lingua sarda nelle prime classi, e nelle classi successive dovrà essere utilizzata come lingua veicolare per l’insegnamento di alcune materie. Solo in questo modo, i ragazzi che non hanno avuto la possibilità di imparare il sardo nel focolare domestico, potranno acquistare quella immediatezza di linguaggio che è normale in un uso quotidiano della lingua. Pertanto va attivato un tavolo paritetico con il Ministero competente per addivenire, nel rispetto delle autonomie scolastiche, alla curricolarizzazione delle carriere e all’istituzione di cattedre specifiche, o in alternativa, alla rimodulazione di quelle già esistenti. 5) L’Università deve perseguire con forza l’obiettivo di formare gli insegnanti di lingua e di insistere con la ricerca sulla cultura identitaria. 6) Deve essere rafforzato il legame tra attività di spettacolo e territorio. La politica dei Grandi Eventi di matrice televisiva rappresenta infatti uno spreco di risorse pubbliche che devono essere orientate verso le realtà più legate alla cultura locale, alle tradizioni, all’edilizia storica, alla lingua.

A segus