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31/01/2006 Tzerachias militares

Firma su referendum !


Botzau su ricursu propostu de su comitau "Firma sa bomba" contras a s'inammissibiliadade de su referendum contras a sa base militare de La Madalena. Inoghe podides légere sa senténtzia intrea. 


Il TAR ha respinto il ricorso proposto dal Comitato Firmasabomba contro l'inammissibilità del referendum La Maddalena


REPUBBLICA ITALIANA Sent. n. 27/2006
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Ric. n. 1169/2004
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER LA SARDEGNA 
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 1169/2004 proposto dal Comitato “Firma Sa Bomba”, in persona dei componenti Mariella Cao, Sebastiano Cumpostu, Giuseppe Perra e Ignazio Paolo Pisu. rappresentati e difesi dagli avvocati Mario Vanessa, Carlo Dore, Tiziana Meloni e Giovanni Dore, elettivamente domiciliato in Cagliari, via Alghero n. 35, presso lo studio Dore;
contro
l’Ufficio Regionale del Referendum, non costituito in giudizio;
la Regione Autonoma della Sardegna, non costituita in giudizio;
per l'annullamento
della deliberazione dell’Ufficio regionale del referendum del 16 luglio 2004, con la quale è stato dichiarato inammissibile il referendum consultivo sulla presenza in Sardegna delle basi militari straniere con armamento nucleare, proposto dal Comitato “Firma sa bomba”;
VISTO il ricorso con i relativi allegati;
VISTI gli atti tutti della causa;
NOMINATO relatore per la pubblica udienza del 9 novembre 2005 il consigliere Rosa Panunzio;
UDITI gli avvocati della parte ricorrente, come da separato verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

F A T T O

Nell’isola di Santo Stefano esiste una base militare americana che funge da punto d’appoggio dei sommergibili a propulsione nucleare.
Ritenendo che la presenza di tali sommergibili possa determinare gravi rischi per l’ambiente e per la salute delle popolazioni che risiedono stabilmente nella zona, si è costituito un Comitato spontaneo dal nome “Firma sa bomba”, che ha promosso una raccolta di firme per la proposizione di un referendum consultivo, ai sensi della legge regionale n. 20 del 1957, sulla presenza in Sardegna di basi militari straniere con armamento nucleare.
Conclusasi con esito positivo la raccolta delle firme, la Corte d’appello di Cagliari ha trasmesso gli atti all’Ufficio regionale per la decisione in ordine all’ammissibilità del referendum.
Con provvedimento del 16 luglio 2004, l’Ufficio regionale ha dichiarato inammissibile la richiesta di referendum. 
Contro tale determinazione propone il Comitato ricorso giurisdizionale, deducendo il seguente articolato motivo di censura: violazione dell’art. 1 lett. F della legge regionale n. 29/1957 e successive modificazioni; violazione dell’art. 3, lett. F, dello Statuto Speciale della Sardegna; violazione dell’articolo 58 del D.P.R. n. 348/1979 e dell’articolo 80 del D.P.R. n. 616/1977; violazione degli articoli 80 e 87 della costituzione; violazione all’articolo 32 e dell’articolo 117, comma 3, della costituzione; eccesso di potere per carenza di motivazione e illogicità manifesta. Le questioni oggetto del quesito referendario rientrano tra quelle di particolare interesse sia regionale che locale, secondo quanto richiesto dall’art. 1 della legge regionale n. 29/57 sopra richiamata, difatti la presenza in Sardegna di basi militari straniere limita l’esercizio di competenze alla stessa riconosciute dalla costituzione, soprattutto in materia di urbanistica e di ambiente. La stessa Corte costituzionale, in relazione al limite del potere regionale in presenza di obblighi internazionali, ha affermato che, quando lo Stato agisce per l’attuazione di un obbligo internazionale, la sua sussistenza non può semplicemente essere affermata o desunta genericamente, ma deve essere comprovata da rigorosi procedimenti ermeneutici o da seri argomenti giustificativi, tenuto conto della rilevanza delle lesioni alla sfera di attribuzione regionale che l’esistenza di un simile obbligo può comportare. Nel caso di specie è stato siglato un accordo segreto nel 1972, ma un tale accordo non può dare vita ad obblighi internazionali suscettibili di alterare la ripartizione di poteri tra Stato e Regioni stabilita con norme di rango costituzionale.
L’ufficio regionale ha precisato che le competenze in politica estera attribuite alle regioni nel nuovo testo dell’articolo 117 Cost. sono limitate alle materie di competenza delle regioni, ma ha omesso di considerare che l’articolo 117 attribuisce la competenza relativa alla “tutela della salute” alle regioni. Questo è l’interesse principale che s’intende tutelare con la proposizione del referendum consultivo in questione, trattandosi di materia di competenza legislativa concorrente.
Inoltre esiste un obbligo comunitario che impone allo Stato ed alle Regioni di tutelare l’ambiente e la salute umana. Per dichiarare inammissibile il referendum, l’ufficio avrebbe dovuto affermare e dimostrare che l’accordo segreto di cui sopra era del tutto idoneo a limitare, in conformità alla costituzione, l’esercizio di poteri sicuramente rientranti nelle competenze regionali.
L’amministrazione regionale non si è costituita in giudizio.
Alla pubblica udienza del 9 novembre 2005, presenti i difensori del Comitato ricorrente, dopo ampia discussione orale, la causa è stata assunta in decisione dal Tribunale.
D I R I T T O
Con il ricorso all’esame del collegio il Comitato promotore contesta la decisione d’inammissibilità del referendum consultivo sulla presenza in Sardegna delle basi militari straniere con armamento nucleare, nell’isola di S. Stefano (facente parte dell’arcipelago della Maddalena), da parte dell’Ufficio regionale del referendum, istituito ex art. 6 della legge regionale n. 20 del 17 maggio 1957.
Ad avviso del ricorrente l’illegittimità della determinazione impugnata si fonda sulle seguenti ragioni: 1) l’Ufficio regionale erroneamente ha affermato che il referendum non riguarda questioni “di particolare interesse sia regionale che locale” ed incide sulle materie della politica estera e della difesa nazionale, riservate alla competenza esclusiva dello Stato, con ciò dimenticando che sono costituzionalmente riconosciute alla regione le competenze in materia di urbanistica e di ambiente; 2) l’accordo segreto concluso nel 1972 dal governo italiano con quello degli Stati Uniti, in merito all’installazione della base militare di cui si tratta, doveva essere stipulato, secondo gli insegnamenti della Corte costituzionale, “in base ai principi costituzionali e principi fondamentali dell’ordinamento” e, quindi, senza alterare la ripartizione di poteri tra Stato e Regioni, stabilita con norme di rango costituzionale; comunque gli accordi segreti sono in contrasto con all’articolo 80 della costituzione, secondo cui gli “accordi politici” devono essere sottoposti, a pena di illegittimità, al preventivo controllo delle Camere; 3) l’Ufficio, nella considerazione che la nuova attribuzione alle regioni della competenza in politica estera è limitata alle materie di loro competenza, ha omesso di considerare che, in base al nuovo testo dell’articolo 117 della costituzione, fra le materie nelle quali è riconosciuta alle regioni competenza legislativa concorrente, vi è anche quella relativa alla “tutela della salute”; 4) l’assunzione di obblighi internazionali mediante accordi segreti, connessi alla concessione e all’esistenza di una base militare per navi e sommergibili a propulsione nucleare, non possono essere invocati per far venire meno obblighi comunitari, alla cui esecuzione lo Stato centrale e le regioni sono tenuti, in materia di protezione dell’ambiente e di tutela della salute; 5) l’ufficio del referendum doveva, dopo aver esaminato la natura giuridica dell’accordo segreto, dimostrare che tale accordo poteva limitare l’esercizio di poteri sicuramente rientranti nelle competenze regionali; 6) il quesito referendario è sostanzialmente diverso da quello proposto con decreto n. 161 del Presidente della Giunta regionale del 19 ottobre 1988, annullato con sentenza della Corte costituzionale n. 256 del 1989 (quest’ultima questione è stata sollevata in pubblica udienza).
I punti sopra evidenziati devono essere esaminati singolarmente partendo dalla lettura del quesito sottoposto a referendum, che è così formulato: 
“Siete contrari alla presenza in Sardegna di basi militari straniere, comunque istituite, atte ad offrire punti di approdo e di rifornimento anche a navi e sommergibili a propulsione nucleare o con armamento nucleare?”.
Il quesito rientra nella tipologia di cui alla lett. f) dell’articolo 1 della legge regionale 17 maggio 1957 n. 20 (come sostituito dall’articolo 3 della legge regionale 15 luglio 1986, n. 48), che recita: “Può essere indetto referendum popolare…per esprimere parere su questioni di particolare interesse sia regionale che locale” e, in base all’art. 6 della suddetta legge (n. 20/1957), l’Ufficio regionale del referendum deve esaminare la legittimità del quesito referendario.
Passando all’esame dei motivi, in relazione al punto indicato sub 1) ritiene il Collegio che la censura sia infondata.
Il ricorrente fa dire all’Ufficio regionale quello che in effetti non ha detto: in nessuna parte del provvedimento impugnato, difatti, si legge che il referendum non riguarda questioni di particolare interesse regionale e locale ed incide sulle materie della politica estera e della difesa nazionale, riservate alla competenza esclusiva dello Stato. In realtà è riportata correttamente solo quest’ultima parte, dove si parla comunque di “difesa militare” e non di “difesa nazionale”.
Questo comporta che l’illogicità e l’erroneità che si voleva evidenziare, in realtà, non sussiste perché l’Ufficio non ha affrontato il problema del coinvolgimento di interessi regionali o locali per escluderne, nel caso specifico, la rilevanza.
La questione, in realtà, deve essere affrontata in maniera diversa: se, di fronte a questioni concernenti i rapporti internazionali e la difesa della nazione, l’accertata esistenza di interessi regionali o locali sia recessiva, e, se lo è, fino a che punto. 
Sotto questo profilo l’Ufficio regionale spiega, in sintonia con la sentenza della Corte Costituzionale n. 256 del 1989, che l’interesse regionale, “pur avendo un’estensione più lata rispetto all’ambito delle materie di competenza regionale, non può però spingersi sino al punto di incidere nella sfera delle attribuzioni riservate allo Stato, laddove queste ultime siano volte a perseguire interessi che, nella loro essenza unitaria, riguardino l’intera collettività nazionale e che, pertanto siano indissolubilmente e indivisibilmente affidati alla cura dello Stato, in osservanza al principio costituzionale della unità e indivisibilità della Repubblica”.
Al punto sub 2) e sub 5) il ricorrente sostiene che l’Ufficio del referendum si sarebbe dovuto occupare dell’accordo segreto concluso nel 1972 dal governo italiano e da quello di Stati Uniti, in merito all’installazione della base militare di Santo Stefano, per rilevarne l’illegittimità e quindi ammettere il referendum.
Ritiene il Collegio che la tesi non possa essere condivisa perché tale indagine non rientra tra i compiti attribuiti all’Ufficio, che deve limitarsi alla verifica della legittimità del quesito, alla stregua delle norme vigenti in materia di riparto di competenze fra Stato e regione.
L’accordo che si contesta è stato assunto fra due Stati, sulla base di scelte politiche strategiche di difesa militare risalenti nel tempo (invero già oggi superate), che hanno legittimato, allora, la creazione di tale base militare e che non possono essere sottoposte al vaglio di un Ufficio regionale, in occasione della proposizione di un referendum consultivo, che, ad avviso del Collegio è uno strumento giuridico del tutto inadeguato per lo scopo che il comitato promotore intendeva perseguire.
In altre parole, lo studio “sulla natura dell’accordo segreto, sulla sua conformità alla costituzione, sulla sua idoneità a dar vita ad obblighi internazionali”, non può essere oggetto di indagine da parte dell’organo regionale, non essendo, da un lato, oggetto del quesito referendario e dall’altro, coinvolgendo questioni di rilevanza internazionale.
Con l’argomentazione di cui al punto sub 3), si introduce il discorso relativo alla “tutela della salute”. Assume il Comitato ricorrente che l’Ufficio non ha considerato che, in tale materia, la regione sarda ha una competenza legislativa concorrente e che il referendum è stato richiesto “principalmente per tutelare la salute” degli abitanti delle zone nelle quali insistono basi nucleari straniere.
Ritiene il Collegio che la questione sia mal posta.
Non vi è dubbio che la regione sarda abbia una competenza legislativa concorrente in materia di “tutela della salute”, e che questo sia un interesse primario e rilevante; pur tuttavia, nel caso in questione, al di là delle verifiche effettuate ed ancora da effettuare e delle conclusioni raggiunte dagli esperti sulla presenza e sugli effetti della radioattività sull’uomo e sull’ambiente, è decisivo osservare che, nella specifica formulazione del quesito referendario, il problema della difesa della salute non forma oggetto della consultazione. Sotto questo profilo, quindi, al di fuori delle notizie diffuse a mezzo stampa, nè i cittadini, se il quesito fosse stato ritenuto ammissibile, nè l’Ufficio regionale, in sede di verifica della sua ammissibilità, sono stati posti nelle condizioni di percepire quello che, solo in sede di giudizio e soprattutto in sede di discussione orale, è stato individuato dagli interessati come il fine reale della richiesta referendaria, la tutela della salute.
Non ritiene, pertanto, il Collegio, tenuto conto delle espressioni usate nella formulazione del quesito, e del senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse , che possa ragionevolmente essere contestato all’Ufficio regionale di non avere vagliato tale profilo.
Nel punto sopra indicato sub 4) si riprende il discorso dell’accordo segreto, mettendolo in relazione con gli obblighi dello Stato e della regione in materia di protezione dell’ambiente e della salute umana. Il discorso sotto entrambi i profili è stato già affrontato, ma se si intende sostenere che, prescindendo dalla legittimità dell’accordo, permane, comunque, l’obbligo affermato anche in sede comunitaria, dello Stato e della regione alla protezione dell’ambiente e della salute umana, il Collegio conferma che, nel caso di specie, l’osservanza di tale obbligo non sia stato oggetto del quesito referendario, nemmeno in maniera indiretta.
Si esamina, infine, il punto indicato sopra sub 6).
In punto di fatto, la Corte costituzionale si era già espressa su analogo quesito referendario, con la sentenza n. 256 del 1989, accogliendo il ricorso del Governo e annullando il decreto del Presidente della Giunta regionale, che indiceva il referendum, affermando che non spettava alla regione Sardegna indirlo; ora, il comitato, al fine di superare l’ostacolo derivante dall’esistenza di una decisione della Corte sulla stessa questione, assume esserci una differenza sostanziale fra il presente ed il precedente quesito.
Ma al Collegio, per la verità, non sembra che vi siano differenze percepibili, al di là di quelle che possano essere state le ragioni ispiratrici dell’iniziativa, laddove la frase: “basi militari straniere istituite a seguito di atti internazionali non sottoposti al prescritto controllo del Parlamento e dirette ad offrire…”, viene sostituita con la seguente: “basi militari straniere, comunque istituite, atte ad offrire…”. Le due formulazioni appaiono totalmente sovrapponibili, riguardando, la differenza, solo le modalità di istituzione delle basi, che, nella prima enunciazione, vengono limitate a quelle derivanti da atti internazionali non sottoposti al controllo parlamentare, mentre nella seconda no (la previsione è forse più ampia); ma tale differenza non modifica nella sostanza il quesito sottoposto al controllo di legittimità dell’Ufficio regionale del referendum. 
Il Collegio, conclusivamente, non può che convenire con quanto lucidamente affermato dalla Corte costituzionale, e condiviso dall’Ufficio regionale, nella sentenza sopra citata che, testualmente, recita: “In particolare, la difesa del territorio nazionale è oggetto di accordi di cooperazione e di trattati con la conseguente responsabilità dello Stato in sede internazionale. Così è oggetto di accordi internazionali tra Stati la installazione di opere difensive, di basi militari terrestri, marittime e aeronautiche. Coinvolgono anche scelte esclusivamente statali la individuazione dei mezzi di difesa, delle linee generali di conservazione, di sviluppo e di capacità difensiva delle forze armate e tutto quanto ciò che, nei piani strategici, è diretto a garantire la sicurezza interna ed esterna dello Stato”.
“La dislocazione di dispositivi militari nelle varie parti del territorio nazionale è il risultato di una strategia concordata tra Stati alleati che tiene conto di situazioni complessive di schieramenti e di nuove tecnologie che spesso esigono anche il segreto militare. Ovviamente, data la conformazione del territorio nazionale, può accadere che alcune Regioni siano, a causa delle ricordate installazioni, più sacrificate di altre: ma di ciò sussiste una adeguata giustificazione nei preminenti fini da realizzare che interessano l'intera popolazione per la tutela degli indivisibili interessi supremi della Repubblica”.
“….Ciò detto in linea generale, rileva la Corte che i primi due referendum hanno per oggetto la installazione di basi militari, il transito e l'approdo di navi estere da guerra in porti italiani per esigenze difensive. Sono il risultato di accordi politici presi in un quadro internazionale relativo all'attuazione dei piani di difesa del territorio nazionale. Trattasi di scelte effettuate dagli organi centrali dello Stato nell'esercizio del potere di indirizzo politico che ad essi compete”.
Non ritiene il Collegio di dover aggiungere altro a questa chiara motivazione fornita dalla Corte in ordine al rilievo dell’interesse alla difesa del territorio nazionale, rilievo che non viene sminuito dalle nuove e più pregnanti attribuzioni di materie assegnate alle regioni a seguito della modifica del titolo V della costituzione.
Conclusivamente, la decisione d’inammissibilità dell’Ufficio regionale, che, si ribadisce, va valutata esclusivamente in relazione alla oggettiva formulazione del quesito referendario, appare al Collegio esente dai vizi denunciati, pertanto il ricorso è respinto.
Rilevato che l’amministrazione intimata non si è costituita in giudizio, nulla deve essere disposto in ordine alle spese di giudizio.
P.Q.M.
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER LA SARDEGNA
SEZIONE SECONDA
Respinge il ricorso indicato in epigrafe.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Cagliari, nella camera di consiglio, il giorno 9 novembre 2005, dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna con l'intervento dei signori:
Lucia Tosti, Presidente;
Rosa Panunzio, Consigliere – estensore;
Silvio Ignazio Silvestri, Consigliere.


Depositata in segreteria oggi:19/01/2006
Il Segretario generale f.f.

A segus