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17/01/2006 Seberos de imprenta - Il Sassarese N° 480 – 30 novembre 2005

Unu no siccu a sas armas 

de Fabritziu Dettori 


SECCO NO ALLE ARMI 



In Sardegna la questione sulle servitù militari è aperta da sempre, ma, in queste ultime settimane contro tali impianti, si è registrata una combattività che si coniuga con la rivendicazione di sovranità dell’Isola da parte degli indipendentisti. Il sopruso dello Stato italiano, il quale si è mostrato rigido nell’imporre la propria egemonia sulla Sardegna, non curante neppure del “No” unanime del Comipa (comitato paritetico per le servitù militari) all’esercitazione bellica denominata “Destined glory 2005” a Capo Teulada, ha ulteriormente rivelato l’infausta politica di colonizzazione alla quale la Sardegna è subordinata. Una situazione resa possibile dalla complicità del “potere” politico regionale il quale, non ha mai voluto essere, per un innato complesso d’inferiorità che lo ha ridotto sempre ad essere incline al padrone di partito continentale, incisiva e “rivoluzionaria”, neppure di fronte alla base americana nucleare di La Maddalena, palesemente illegale. Di fatto la Regione col suo andazzo invalida essa stessa i diritti dei sardi, com’è avvenuto con la bocciatura del referendum (si badi bene, consultivo) contro le servitù militari, indetto dal comitato “firma sa Bombas”. Deve essere chiaro, però, che la responsabilità delle servitù che hanno trasformato la Sardegna in un’area di servizi, nella quale amalgamare le nefandezze italiane ed internazionali, e in una polveriera minacciosa, non è a Washington, ma a Roma, la quale per gli esclusivi “interessi superiori dello Stato”, pone quotidianamente in serio pericolo il popolo sardo. La cronaca, a noi nota, registra, per esempio, diversi e gravi incidenti: uno avvenuto nel settembre del 1977 a 70 miglia da Cagliari, nel quale un sommergibile nucleare urtò il fondo marino; un altro capitò nel novembre 2002, all’“Oklahoma City”, che si scontrò violentemente, in un’area non precisata del Mediterraneo, con la nave gasiera norvegese “Norman Lady”, fortunatamente vuota al momento dell’impatto. Mentre è nell’ottobre 2003 che il sommergibile nucleare Hartford investì violentemente i fondali al largo di Caprera, provocando un grave impatto che ne squarciò la carena sfiorando la catastrofe. Insomma con la base nucleare, i sardi sono esposti ad un costante pericolo di genocidio. Il Sassarese, già nel 1984, denunciava la servitù di guerra di La Maddalena in un ampio servizio, sempre attuale, dal titolo “Rapporto dalla morte futura”. Sono ormai innumerevoli, invece, gli “incidenti” che avvengono a causa delle armi “intelligenti” sul territorio civile dell’Isola. Proprio alcune settimane fa, a Decimoputzu, un aereo militare è precipitato sfiorando alcuni civili intenti al lavoro nei loro campi. L’ultimo incidente o l’ultimo crimine? Questo sintetico quadro delinea una vera e propria catena che stringe prigioniera la nostra Isola ad una cultura di guerra che non gli appartiene e che è nemica delle sue esigenze. Infatti, la Sardegna, essendo al centro del Mediterraneo, ha interessi ad avere un’immagine politica di pace costruttiva con tutti i Paesi del bacino del Mediterraneo. Un ruolo, questo, che gli è stato impedito e che non potrà mai avere finché sarà una colonia. E’ fondamentale quindi che il Popolo Sardo riprenda il controllo sovrano del proprio territorio, tagliando con l’“autonomia”, che fino ad oggi è stata solo virtuale e presunta, per entrare in una moderna era politica nella quale la “Regione” sia l’autorità sovrana sul proprio territorio. L’esempio che arriva dall’isoletta delle Antille di Vieques a Puerto Rico, la quale nel 2003 è riuscita ad ottenere lo smantellamento della base militare americana, dovrebbe far vergognare i politici sardi di mestiere che a turno, ossequiosi, si avvicendano alla Regione e nei massimi vertici dello Stato. A dare una lezione di dignità a taluni personaggi sono i pescatori dell’antica area arborense che comprende Santa Giusta, Cabras, Marceddì, eccetera, i quali, in ostaggio della base di Capo Frasca, hanno da tempo coscienza che per essere produttivi e prosperosi, a tutti gli effetti, devono lottare per avere un reddito dal lavoro che il loro mare può assicurargli. Rifiutano anche solo il concetto dell’“indennizzo”, giacché questo, incapace di creare ricchezza, produce solo assistenza (elemosina remota), la quale annulla persino il decoro dell’essere umano. Dopo anni di tante battaglie le basi aumentano la loro estensione e le decisioni dello Stato s’impongono sul Popolo Sardo. A fronte di ciò, quali armi possono essere impugnate per liberarsi dalla prepotenza e dalla schiavitù psicologica che molti sardi subiscono a causa delle servitù militari?



Fabritziu Dettori




A segus