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24/01/2006 Libros 

Italianos, gente bona ?


Italianos: gente bona? Ite nos insingiant in iscòla? Chi s'istòria de sa natzione italiana est istada una casta de peleas de gente chi non faghiat male a neunu. E si calchi bia b'at capitadu cosa est curpa de sos sìngulos non de s'istadu. Ma sa realidade, o a innantis o a pustis, torrat a bessire a campu. Bos consigiamus de lègere custu lìbru chi non depet mancari in sa biblioteca personale de dogni natzionalista sardu po ischire bene chie sunt sos italianos. Dae sos istragos (biddas brusiadas, tviles mortos, fèminas violadas) in s'Italia Meridionale, cuaos comente gherra a su brigantagiu, in ocasione de su Risorgimentu a s'ispeditzione italiana in Cina, acabada in furas e sàmbere ispartu de sos tziviles po cumbatere sa arrebellia de sos "Boxers". Dae sa conchista de sa Libia (e s'inferru de Nocra) fata a fortza de gas, campos de cuncetramentu e deportatzione de populatziones a sa cunduta de feras de sos italianos in Abissinia, Somalia e Eritrea cun atziones de ratzismu e annudamentu de populos. Sena ismentigare sa cunduta in sa Prima Gherra Mundiale cun su generale macellaiu Cadorna (chi sos sardos connoschent bene) e sos iscraos e s'iscravitude de s'Uebi Scebeli (bajulada e praticada dae sos colonos italianos). Si faeddat in custu libru de su lager de Soluch, de comente sos italianos impreaiant s'iprite e de sa "solutzione finale" contras a sos pardes nieddos coptos de Debrà Libanòs. Ma, in urtimera, si contat, cun datos iscientificos, de sa cunduta de s'esercitu italianu in Slovénia in sa Segunda Gherra Mundiale chi at chircau de cunviare una "limpiadura etnica" po tramudare in cue colonos italianos. Cunduta chi sos jugoslavos ant chircau de vindicare cun sas foibas. Pro non nàrrere de sas bruturas chi ant fatu in s'interis de sa gherra tzivile republichinos e partigianos. Inutile a nàrrere chi mai unu de sos generales, o ufitziales, o criminales, dd'ant mai protzessadu. Sos italianos sighint a pensare de essere gente bona, sos malos sunt sos àteros. 



mentovos 



fonte : http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=882

Angelo Del Boca racconta stragi, aggressioni, razzismo, truppe mandate al macello Italiani feroci in guerra? Come gli altri 
Cade il mito della «brava gente», ogni popolo ha i suoi orrori 

Fra le tante brutte immagini del XX secolo, una delle più crudeli è il viso stravolto di un guerrigliero vietcong nel momento in cui il capo della polizia di Saigon lo uccide con un colpo di pistola alla tempia. Quella fotografia fu più efficace di qualsiasi analisi politica e convinse milioni di americani e di europei che gli Stati Uniti stavano facendo in Vietnam una guerra sbagliata. Ma in un libro apparso qualche anno fa Giovanni Sartori ci spiegò che il nostro giudizio sarebbe stato probabilmente diverso se un più largo campo visuale avesse incluso nell’immagine i corpi straziati degli uomini e delle donne che il guerrigliero aveva ucciso poco prima con un attentato terroristico. Avremmo provato lo stesso orrore, ma avremmo meglio compreso, se non approvato, la rabbia del giustiziere. Ho ricordato la fotografia e l’analisi di Sartori mentre leggevo Italiani, brava gente? che Angelo Del Boca ha pubblicato presso Neri Pozza Editore. Del Boca è oggi, insieme a Nicola Labanca, il migliore conoscitore della storia coloniale italiana. Con la precisione dello studioso e l’insaziabile curiosità del giornalista, ha scavato negli archivi italiani e stranieri, ha visitato i Paesi che fecero parte del nostro impero coloniale, ha interrogato i testimoni, ha letto la corrispondenza e i diari di coloro che furono a vario titolo protagonisti delle nostre avventure. E si è servito della documentazione raccolta per smontare, un pezzo alla volta, le troppe leggende gloriose che hanno nascosto per parecchie generazioni alcuni brutti capitoli di storia nazionale, dai primi scandali in Somalia alla battaglia di Adua, dalle brutali repressioni in Tripolitania dopo l’inizio della guerra italo-turca alla sanguinosa riconquista della Cirenaica negli anni Venti, dall’uso dei gas in Etiopia alle feroci rappresaglie dopo l’attentato di Addis Abeba contro il generale Graziani nel febbraio del 1937. 
Ma questo libro, a differenza di quelli che lo hanno preceduto, non concerne soltanto la storia coloniale. Qui Del Boca estende il suo sguardo alle altre guerre e spedizioni militari della storia nazionale: la lotta contro il brigantaggio dopo l’Unità, l’invio di un corpo in Cina durante la rivolta dei boxer, la inumana strategia di Cadorna sul fronte dell’Isonzo durante la Grande guerra, il regime di occupazione italiano in Slovenia dal 1941 al 1943. Lo scopo del libro è implicito nel suo titolo. Del Boca vuole dimostrare che esiste nella storia nazionale un inquietante filo continuo rappresentato da crudeltà, cinismo, imperizia, brutalità, razzismo, gusto della violenza, piacere della vendetta. Non gli basta demolire il mito dell’Italia umana e bonaria. Vuole provare che il mito nasconde i villaggi distrutti della Basilicata, i campi di detenzione per i resistenti libici, l’impiccagione dei ribelli, lo spietato uso della «carne da cannone» durante la Grande guerra, il massacro dei monaci copti di Debrá Libanós, il feroce trattamento dei partigiani sloveni durante la Seconda guerra mondiale. 
È difficile cogliere Del Boca in fallo o negare che questo libro rappresenti uno straordinario bucato della coscienza nazionale. 
Eppure l’effetto, alla fine, è quello della fotografia di Saigon. Giungeremmo alle stesse conclusioni se l’autore avesse incluso nel campo visuale della sua ricerca altri capitoli del colonialismo europeo e americano dall’Ottocento al Novecento? Ci batteremmo il petto con lo stesso sentimento di colpa se avessimo di fronte agli occhi, leggendo il suo libro l’eliminazione degli aborigeni in Australia e degli indiani negli Stati Uniti, le torture dei francesi in Algeria, quelli degli olandesi a Giava, dei portoghesi in Mozambico, dei belgi nel Congo, dei tedeschi in Togo e in altre province dell’Africa Orientale? Saremmo altrettanto severi con la politica di Graziani in Cirenaica se ricordassimo le misure repressive e le carestie con cui gli inglesi si sbarazzarono degli irlandesi, i francesi degli abitanti della Costa d’Avorio, i tedeschi degli herero africani e Stalin degli ucraini? Continueremmo a condannare Cadorna con la stessa severità se ricordassimo le divisioni gettate allo sbaraglio sul fronte occidentale dai generali francesi, inglesi, tedeschi? Lo stesso Del Boca, con grande schiettezza, fornisce spunti a questo esercizio comparativo là dove ricorda un episodio della rivolta dei boxer. 
Quando si diffuse la notizia che i ribelli si erano concentrati nel villaggio di Tu-Liu, un corpo anglo-italiano, comandato dal generale Dorwald, raggiunse rapidamente la zona. Non trovò nessuno, ma secondo il resoconto di un tenente colonnello italiano, Tommaso Salsa, «gli inglesi, ligi ai loro metodi, hanno seminato la distruzione sulla città colpevole che dopo essere stata completamente abbandonata al saccheggio fu bruciata completamente e con metodi scientifici». A queste osservazioni Del Boca potrebbe rispondere che gli inglesi, a differenza degli italiani, non pretendevano di essere «brava gente». Forse. Anch’essi, tuttavia, erano convinti di essere chiamati a portare la civiltà nel mondo. 


Il libro : Angelo Del Boca, «Italiani, brava gente?», Neri Pozza Editore, pagine 318, 16





fonte: http://www.lettera22.it/showart.php?id=3661&rubrica=16

Emanuele Giordana

Mercoledi' 7 Dicembre 2005 

Francesco Crispi, 7 maggio 1885: Qual’è il nostro scopo? Affermare il nome dell’Italia e dimostrare anche ai barbari che siamo forti e potenti! I barbari non sentono se non la forza del cannone, ebbene questo cannone tornerà al momento opportuno. Un cannone che tuona a Sciara Sciat, sul fronte tenuto da Cadorna, sull’altopiano etiopico, nella bonifica etnica in Slovenia, nella Pechino dei boxer. Ma il cannone non è caricato solo a proiettili. Tira salve propagandistiche che hanno il compito di erigere un mito, quello degli “italiani brava gente”, che è anche un muro dietro cui nascondere le nefandezze che non ci fanno certo migliori di altri. Anzi. Angelo Del Boca getta luce sulla coscienza sporca di un paese che non vuole fare i conti con la propria memoria. Oltre trecento pagine e una decina di casi che sono il manifesto non soltanto di un’efferatezza che lascia sconvolti, ma anche della capacità di nasconderla sotto un’aura aulica e romantica. 
L’ultimo saggio che Angelo Del Boca, piemontese di nascita, piacentino d’adozione, dedica a un’Italia che, dalle Alpi allo sperone, descrive come l'italica stirpe si sia dedicata anima e corpo a costruire il mito di una diversità che dovrebbe renderci migliori degli altri. Meglio dei britannici nelle colonie, o meglio degli americani in Iraq, o meglio dei nostri tanti compagni d’arme durante la rivolta dei boxer in Cina.
“Italiani brava gente?”, in libreria da qualche settimana, decreta senza tante giustificazioni la fine di quel mito e, strappando il sipario, mostra, dietro la cortina fumogena lucente del buon italiano costruttore di strade ed ospedali, l’anima dell’Italia coloniale. Per nulla diversa, se non peggiore, dai suoi cugini d’oltre Manica o d’Oltralpe. 
Le pagine più forti sono forse quelle dedicate alla strage che seguì il tentativo di uccidere Graziani in Etiopia nel febbraio del ’37, o quelle in cui si descrive l’operato di Cadorna, il generale che, sordo a ogni protesta, mandava al macello i suoi soldati. Ma anche i civili non se la cavano troppo bene se si leggono le storie dei colonizzatori che la vanga la usavano, più che per scavar strade, per picchiare i contadini somali ridotti in stato di schiavitù.
Non fummo migliori ma mascherammo bene, almeno ai nostri stessi occhi, le nefandezze che son proprie di ogni guerra e di ogni campagna di conquista. Nel suo libro, Del Boca salva soltanto le recenti operazioni di peacekeeping condotte dal nostro esercito sotto mandato internazionale e la truppa senza caserma del volontariato. Lascia così, alla fine del saggio, un filo di speranza a un paese che, barricandosi dietro il mito di una diversità inventata, ha nascosto, e continua a nascondere, le pagine più buie di una storia iniziata con l’unità d’Italia.





fonte: http://www.lettera22.it/showart.php?id=3662&rubrica=6


ITALIANI BRAVA GENTE? COLLOQUIO CON DEL BOCA 17/11/05
Ragionamenti a margine del nuovo libro dello storico dell'Italia coloniale (nella foto un giovane balilla) 

Emanuele Giordana

Giovedi' 17 Novembre 2005 
Benché “Italiani brava gente?”, l’ultimo libro di Angelo Del Boca, osservi la manipolazione storica dell’identità italiana a partire dall’800, la cronaca recente continua a servirgli spunti. E l’ultimo capitolo gliel’ha offerto qualche settimana fa il presidente del Consiglio, secondo cui l’Italia della brava gente avrebbe sconsigliato la guerra in Iraq a Bush. Un’affermazione che ha lasciato stupefatto anche lo storico del colonialismo, che abbiamo raggiunto al telefono mentre è in giro per l’Italia a presentare la sua ultima fatica.
“Le dichiarazioni di Berlusconi sono perfettamente in linea con quello di cui parlo nel libro, che per altro non dimentica l’avventura irachena del governo. La verità è che c’è una sorta di linea di continuità, che va dall’Italia liberale ai nostri giorni, passando per il fascismo. Continuità nell’ostinarsi a nascondere le verità scomode sulle quali anzi viene costruito il mito del bravo italiano ”.

Il mito autoassolutorio

Proprio qui sta il tema del libro, che prende le mosse addirittura dalla visita dell’abate benedettino Jean Mabillon (autore di una memoria che, alla fine del Seicento, disegna la povertà contadina di alcune regioni italiane) o dalle pagine di Charles-Louis de Secondat, che nel Settecento taccia le repubbliche italiane di “miserabili aristocrazie in cui i nobili ambiscono a conservare il loro ozio e i loro privilegi”. Ma il libro si concentra poi sull’Italia unita che non può più accusare lo Stato pontifico o l’oscurantismo dei Borboni. E’ infatti dalla seconda metà dell’800 che prende avvio la costruzione di un mito buono per tutte le avventure. “Mi sono concentrato su una dozzina di episodi – dice lo storico – che dimostrano una capacità distruttiva illimitata. Ma l’intento del libro non è quello di mettere l’Italia al primo posto come campione di violazioni patenti in casa o nelle colonie. Il mio lavoro intende dimostrare semplicemente che gli italiani sono stati uguali agli altri, se non peggio, nel corso di una storia che, faticosamente, abbiamo ricostruito squarciando il velo su segreti e bugie. Uguali agli altri, nel bene e nel male, ma con una differenza: si è sempre cercato di dimenticare e nascondere le pagine buie della nostra storia per esaltare un’italianità della tolleranza, della diversità. Un mito che serviva a cancellare le tracce delle nostre nefandezze, sia che si trattasse dell’oppressione dei contadini poveri del meridione per finire con le bombe all’iprite della campagna etiopica. Il mito del buon italiano che costruisce scuole strade è semplicemente falso. Anche se continua a resistere nel tempo come dimostrano le dichiarazioni di Berlusconi”.

La linea di continuità da Giolitti a Berlusconi

Questo mito della diversità italiana è dunque il rimedio autoassolutorio, secondo Del Boca, che impedisce al nostro paese di fare i conti con la storia, con la memoria, con una coscienza nazionale monca. E’, dice lo storico, una passione che ha coinvolto le leadership e, da lì, sino all’ultimo protagonista della nostra storia recente. “Direi che sostanzialmente c’è un’assoluta linea di continuità tra la liberaldemocrazia, il fascismo e gli anni che hanno seguito la dittatura. Il mito resiste al di là dei governi. Certo durante un regime, diventa più facile propagandarlo perché non c’è controllo, non c’è opposizione, dibattito, non c’è stampa che possa contestare. Ma se si pensa all’avventura della Libia si comprende che la differenza non è poi molta. In questo non c’è molto di diverso tra Giolitti e Mussolini. Certo si potrebbe dire che la dittatura costruì una sorta di industrializzazione della barbarie il cui obiettivo in Africa era l’annientamento più che la conquista… Mussolini non dormiva la notte, tormentato com’era dallo spettro di Adua. Non voleva un bis. E allora il bravo italiano sganciò le bombe con i gas mortali di cui abbiamo avuto un’ammissione tardiva soltanto qualche anno fa”. Quella delle bombe all’iprite, su cui del Boca e altri storici avevano lavorato per anni, è diventata verità ufficiale solo negli anni Novanta. E ancora molti stentavano a credere che fosse potuto accadere. 

Verità e buona fede

“Quando ho presentato il libro a Milano, al momento degli interventi, un signore che aveva fatto le campagne d’Africa mi disse che non poteva essere d’accordo perché lui le cose raccontate nel libro non le aveva viste. Commetteva lo stesso errore di Montanelli con cui ebbi una polemica durata anni, anche se poi Montanelli, che era una persona intellettualmente onesta, ammise di essersi sbagliato. Il fatto è che per lui la guerra era durata di fatto quaranta giorni (poi, ferito, era stato trasferito in Italia ndr) e in Africa le bombe non le aveva davvero viste. Il fatto è che l’iprite venne sganciata solo il 21 dicembre quando lui non era più lì. Come Montanelli, molti soldati non videro quel che faceva l’aviazione che del resto tenne ben nascoste le cose. Questi italiani in buona fede, al fronte o a casa, sono rimasti vittime di un mito che nasce verso al fine dell’800 e che si dipana per tutto il secolo successivo sino ad arrivare alla strage dei nostri soldati in Iraq. Tutti se ne stupirono: ma come? Noi che andiamo ad aiutare, noi che siamo forze di pace? Com’era possibile che venissimo colpiti? L’effetto del mito è anche questo. A differenza degli italiani i britannici, per fare un esempio, si sono sempre assunti le loro responsabilità Se vanno in guerra vanno in guerra e basta. Considerano insomma la brutalità un aspetto legittimo di una campagna militare. Noi invece questa ammissione non la vogliamo mai fare e allora ci andiamo mascherando le aggressioni con i ponti e le strade. Che alimentano il mito”. 
Il libro di Del Boca passa in rassegna il suo dipanarsi dai giorni di Pechino durante la rivolta dei boxer, alle campagne in Libia e in Africa orientale, alla guerra in Slovenia, passando per le pagine buie firmate dal generale Cadorna nella Grande guerra. A salvarsi sono in pochi. E la sinistra italiana? C’è chi l’ha accusata di nascondere la verità. Nel dopoguerra ad esempio si è detto che ha cercato di occultare le prove di eccidi compiuti per vendetta o interesse personale approfittando della caduta del fascismo. “Certo ci sono state delle responsabilità individuali, come negarlo? Ma non si può far confusione e non si possono far lievitare i numeri come è stato fatto quando si parlò di 300mila morti…bilancio sceso poi a 30-40mila…Io mi rifaccio alle stime del governo democristiano che parlano di 10mila vittime. Il fatto è che la guerra non terminò il 25 aprile ma il 3 maggio. In quella settimana eravamo di fatto ancora in guerra. Lo ricordo bene perché comandavo un’unità partigiana a Piacenza. I cecchini, dopo il 25 aprile, ci sparavano dai tetti delle case e noi reagimmo. Quando capitavano occasioni di giustizia sommaria, intervenivo per evitarli”. 

Un esercito senza caserme né bandiere

Resta un quadro a tinte fosche quello disegnato da Del Boca. Come se ne esce? “Il libro non è una condanna dell’Italia senza ritorno. Mi sento ad esempio di dire che i nostri contingenti militari nelle operazioni di peacekeeping, e intendo quelle di peacekeeping reale, cioè con mandato internazionale, si sono comportati bene salvo qualche raro episodio. C’è modo dunque di uscire dall’ambiguità purché si rispettino le regole. Eppoi c’è anche una nota di speranza e riguarda quell’esercito, senza elmetto e senza fucili, che ogni giorno combatte in nome della solidarietà: forse un italiano su dieci, che fa circa 4-5 milioni di persone. Si battono senza caserma e senza bandiera per fare del bene. Ed è a questo esercito del volontariato, che non ha paura di fare i conti con la memoria, che è dedicato il mio libro. Se ci sono italiani che meritano di essere definiti “brava gente”, nell’accezione vera, non assolutoria e non mitizzata, questi sono proprio gli splendidi e umili operai del volontariato. Ed è con queste parole che si conclude il mio lavoro”.

Questo articolo è uscito oggi su il manifesto

A segus