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12/01/2005 Rassigna de s'Imprenta - Il Giornale di Sardegna 11.1.05

“Mesania, ecco tutti gli errori e i limiti: una lettera aperta al Governatore”

Dopo la proposta di una Limba Sarda Unificada avanzata da una commissione voluta qualche anno fa dalla Regione, se ne avanza un'altra denominata Limba Sarda de Mesania che dovrebbe mettere tutti d'accordo. In realtà rischia di non accontentare nessuno, né i campidanesi né i logudoresi, per non parlare degli altri abitanti dell'Isola le cui parlate non sono classificabili tra quelle sarde. Sa Limba Sarda de Mesania, una parlata linguisticamente intermedia tra campidanese e logudorese, è stata individuata in una fascia mediana della Sardegna che va grosso modo dall'Alta Ogliastra al Montiferru. Una zona non omogenea linguisticamente. Per questo i fautori de Sa Limba Sarda de Mesania hanno dovuto avanzare una proposta che, di fatto, eleva a modello di lingua ufficiale della Sardegna il dialetto di Samugheo. L'intento di questa operazione è fin troppo chiaro. Si parla di lingua sarda unificata (di mesania) da usare in ambito amministrativo, solo in "uscita", dalla Regione con il fine, però, di passare, in un secondo momento, al suo impiego in tutti gli ambiti imponendola col tempo a tutti i sardi. Se questo progetto dovesse realizzarsi, il risultato sarebbe di fare tabula rasa di tutto ciò che non è Limba Sarda de Mesania non solo sul piano linguistico ma anche su quello culturale. Una lingua, qualsiasi lingua, è il risultato di processi storici lunghi, che s'intrecciano con vicende spesso dolorose di dominazioni e soprusi. L'aspirazione a un sardo comune, anche ufficiale, è legittima e auspicabile, ma non si può realizzare con un atto d'imperio burocratico. I firmatari di questo documento presentano una proposta che nasce dalla convinzione che l'attuale situazione linguistica della Sardegna sia una risorsa e una ricchezza da salvaguardare e mettere a profitto, come è negli intenti della legge regionale 26/97. Mentre la valorizzazione di questa risorsa può essere avviata in tempi brevi, la formazione del sardo comune deve avvenire lentamente, democraticamente, e questo richiede un arco di tempo facendo leva su tre fattori fondamentali: la scuola, gli scrittori, i mezzi di comunicazione di massa. Una didattica basata sul principio pedagogico secondo cui le esperienze, a cominciare da quelle linguistiche, debbono prendere l'avvio dal vicino e conosciuto per arrivare, col tempo, allo sconosciuto e al lontano, sarebbe il mezzo migliore per avvicinare i ragazzi a tutte le varietà del patrimonio linguistico della Sardegna. Si partirebbe, quindi, dall'insegnamento della parlata locale per giungere alla conoscenza e alla padronanza della lingua e della cultura comuni attingendo al patrimonio lessicale e letterario di tutti e delle particolarità locali. Anche gli scrittori sono stati tra gli artefici principali della koiné di un popolo: dovranno essere aiutati a continuare nello sforzo, già in atto da qualche decennio, di un uso rinnovato delle varietà linguistiche dell'Isola. I notiziari televisivi, già operanti nell'uso di parlate della Sardegna, sono da incoraggiare perché aprono la strada a una maggiore comprensione tra i Sardi e costituiscono una delle vie maestre per la valorizzazione, senza lacerazioni di un sardo comune. Del resto grazie a radio e televisione, oltre che alla scuola media unificata, che si è arrivati alla diffusione generalizzata dell'italiano. Anche la Regione ha un ruolo importante nella valorizzazione della lingua sarda, per esempio avanzando la proposta perché sia considerata alla stessa stregua delle altre lingue con il suo inserimento tra le materie delle scuole di ogni ordine e grado. La Regione in via sperimentale potrebbe anche usare "in uscita", il sardo delle due macrovarietà e le parlate non ascrivibili al sardo senza privilegiarne alcuna come unica o unificata con la conseguenza della dialettizzazione delle altre. Un discorso a parte meriterebbe la proposta per un'ortografia del sardo: i sostenitori della Limba Sarda de Mesania vogliono un'ortografia lontana dalla tradizione per una sorta di fobia tutta ideologica dell'italiano, incuranti delle difficoltà che incontrerebbe l'insegnamento delle due lingue.

Franciscu Carlini, Giulio Angioni, Gabriella Da Re, Antonio Puddu, Salvatore Tola, Franco Fresi, Antonio Romagnino, Efisio Cadoni, Giorgio Ariu, Franciscu Pilloni, Giampaolo Pusceddu, Mariella Sestu, Giovanni Casciu, Sergio Talana, Dino Maccioni, Franco Sonis, Raffaele Piras, Rolando Ruggeri, Guglielmo Piras, Alberto Dal Cerro, Tore Erbì, Toto Putzu, Giulio Solinas, Tonino Langiu, Francesco Pitzalis.



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