(RELAZIONE ALL’ASSEMBLEA CONGRESSUALE DEL PSDAZ TENUTA A TRAMATZA IL 26 NOVEMBRE.)
I lavori dell’assemblea congressuale, che mi onoro di aprire ufficialmente, in qualità di segretario nazionale, sono l’ultimo appuntamento di un’altra stagione politica vissuta intensamente da sardisti.
Per la storia, la ottantaquattresima della nostra esistenza, di fedeli militanti del Partito Sardo d’Azione.
Il congresso nazionale di Ala Birdi, ha deliberato un’apposita sessione per lo svolgimento della conferenza programmatica.
Garantendo – allo stesso tempo - alle decisioni che ne scaturiranno la legittimazione propria dell’assise congressuale.
Un appuntamento, dunque, importante e certamente solenne.
Che segue ad altri appuntamenti politici importanti, che con passione abbiamo svolto, nei limiti delle nostre capacità, politiche, umane e organizzative.
I delegati che ad Arborea hanno determinato:
- scelte politiche strategiche,
- assegnato priorità agli obiettivi da raggiungere,
- e votato liberamente dirigenti e organismi,
oggi sono chiamati a compiere un ulteriore sforzo di responsabilità.
Individuare un percorso programmatico, per dare risposte ai troppi bisogni della Sardegna in crisi.
Per rilanciare – cioè - con il ritrovato consenso dei sardi, la politica e soprattutto l’azione del nostro partito.
Per riaffermare, nei contesti nuovi, i nostri valori antichi: di libertà e di sovranità.
Un compito non facile ma neppure impossibile, per chi come noi, può contare sull’inestimabile patrimonio di idee e valori che, i nostri padri fondatori, ci hanno tramandato come la più preziosa delle eredità.
Per chi come noi vanta, da sempre, tradizione politica e programmi incentrati sui reali bisogni dei sardi.
Per chi come noi, ha idee così forti, che ci consentono di superare, non soltanto i mutamenti storici degli scenari della politica, ma soprattutto, di sopravvivere alle leggi elettorali liberticide che hanno ridotto gli spazi della democrazia.
La forza delle nostre idee ci ha, infatti, consentito di raggirare gli ostacoli del finto bipolarismo italiano, di restare lontani dalle brutture della politica che si è fatta spettacolo, e di scavalcare il maggioritario che cancella le identità.
E oggi, per questo, siamo pronti a scommettere che non ci faremo uccidere neppure dalla “truffa proporzionale” fatta per annientare le diversità.
E’ vero, gli ultimi anni sono stati particolarmente difficili. Per il partito come per la Sardegna.
Abbiamo dovuto compiere scelte dolorose. Lavorando nella consapevolezza, di non poter contare sulla gratificazione politica immediata.
Abbiamo dimostrato di saper fare rinunce. Di saper investire in credibilità politica ed in affidabilità.
Ma le idee sardiste non si sono mai fermate. Hanno continuato a correre. Anzi, sono cresciute. Si sono affermate e hanno trovato conferme importanti la dove già erano arrivate.
Sono state il lievito delle poche cose buone che in questi ultimi anni si sono prodotte su quest’Isola. Nella politica, nell’economia, nella cultura, nella società.
Hanno invaso nuovi spazi della politica sarda.
Sono sentire comune nel popolo sardo.
E in questo processo di affermazione e crescita dei valori identitari, i sardisti tutti, hanno il loro merito. Ognuno di noi ha contribuito con il suo impegno e la sua passione civile a far crescere le nostre idee, a diffondere il nostro programma, a migliorare le scelte amministrative.
Oggi però è arrivato il momento di fare un salto di qualità. Di affronatre nuove sfide.
Nella proiezione del partito all’esterno e nella stessa organizzazione del partito al suo interno.
Non credo che qualcuno possa vantare una ricetta immediata, per risolvere problemi complessi che vengono anche da lontano.
Ciò che oggi è importante e costruire un percorso comune e un progetto condiviso. Fissare gli obiettivi programmatici e mettere in campo la strategia politica più corretta per raggiungerli.
E per farlo occorre guardare dentro la realtà politica, economica e sociale della nostra Sardegna.
Lasciando da parte le lenti che distorcono la realtà per compiere una analisi obiettiva. Spietata ma corretta. Perché rappresenta la base sulla quale costruire il nostro percorso programmatico da sardisti.
Noi oggi, non possiamo prescindere dal prendere atto che la Sardegna continua a vivere una situazione di crisi profonda.
L’economia sarda è in grave difficoltà. Lo confermano i dati dei più autorevoli istituti di rilevazione: dalla Banca d’Italia al Crenos.
Tutti i settori produttivi sono in una fase di stasi: dall’industria, all’agricoltura, passando per il turismo e i servizi.
L’occupazione continua a calare. E persino il turismo ha vissuto una contrazione del numero degli occupati.
I dati della disoccupazione, continuano, invece, a fare paura: il 14 per cento dei sardi non ha un lavoro.
L’industria italiana che perde competitività e mercati, scarica sul sistema sardo gli effetti della recessione.
Con la chimica smantella anche il tessile. E dopo l’espansione di qualche anno fa, persino il sughero e l’agroalimentare fanno passi indietro.
Il nanismo delle imprese sarde non aiuta la ripresa.
Le esportazioni, tranne che quelle della benzina di Moratti, hanno valori insignificanti.
E i consorzi continuano a restare una scommessa persa dell’intero sistema produttivo isolano, per vincere le sfide nei mercati internazionali.
I nodi storici che relegano la Sardegna al sottosviluppo, restano irrisolti e sono lì a testimoniare il fallimento della politica sarda.
L’energia, in Sardegna, continua a costare sempre più cara rispetto al resto dell’Italia.
Il credito, nell’Isola, costa sempre più caro rispetto alle realtà continentali.
I trasporti, per i sardi, ritornano ad essere un diritto negato e minacciato dalla mancata applicazione della continuità territoriale esterna ed interna.
Le infrastrutture, in questa terra, restano un gap che ci separa dai mercati e che ci penalizza, tutti.
Il nostro sviluppo, continua a restare legato e senza autonomia. Finanziato dal debito e dai trasferimenti della pubblica amministrazione.
Non si possono truccare le carte su questi dati.
Non è consentito a nessuno mistificare la realtà.
Niente può giustificare un’altra presa in giro per i sardi in un momento che è obiettivamente drammatico.
La Sardegna vive una fase di stagnazione e non si intravedono segnali per invertire la rotta.
In Italia, intanto, cresce la disparità tra le zone forti e quelle più deboli del paese.
Nell'Isola aumenta soltanto la differenza di reddito tra i sardi.
Tanto che oggi diciamo che vi è una vera e propria questione sociale. Che complica il sentirsi uniti, il sentirsi legati da comuni interessi.
E tanto più è grande questa questione sociale emergente e tanto più si dimostra lontana dalla politica.
Oggi, in Sardegna, è ritornata la disperazione della gente.
E i disperati non si rivolgono più ai Comuni, alle Provincie, alla Regione.
Oggi la disperazione degli operai che perdono il lavoro, dei pastori che non hanno più un pascolo, degli operai dei cantieri senza sicurezza, dei precari sfruttati e sottopagati, finisce, nella migliore delle ipotesi, nelle prefetture della Sardegna.
E non è soltanto una questione solo di targhe e di indirizzi diversi.
È la conferma che serve una prospettiva politica più ampia.
Le istituzioni non sono più percepite come luogo di mediazione e confronto e i partiti non sono ritenuti strumento utile per la risoluzione dei problemi.
La politica dei tagli e del rigore in bilancio, mette una pezza al debito finito fuori controllo, ma la Regione da un colpo mortale ai settori già in crisi nella nostra regione.
Smantellare il sistema della formazione professionale, abbandonare le miniere, lasciare l'industria al suo destino e il latte in balia del mercato, significa assestare un colpo mortale ad un tessuto sociale fortemente compromesso.
Ed è per queste ragioni che la Sardegna ha bisogno di un progetto nuovo. Che unisca e non che divida i sardi. Che aiuti i partiti a ritrovare un ruolo. Le istituzioni a riconquistare prestigio. Che ricucisca le organizzazioni dei lavoratori, le associazioni dei produttori, gli amministratori e i cittadini attorno ad un prospettiva comune per un riscatto vero.
Attorno cioè ad un grande progetto di libertà e sovranità.
E per questo che diciamo che oggi come ieri, la Sardegna ha bisogno di un grande Partito Sardo d'Azione. Dei suoi programmi, dei suoi valori, delle sue proposte. Ed è un compito al quale non intendiamo sottrarci. Consci però, che un grande progetto per la Sardegna, non può essere frutto soltanto della nostra elaborazione interna.
Ma la garanzia che si realizzi, passa per la capacità di confronto che sapremo dimostrare con i partiti e, soprattutto con l'intero popolo sardo.
Oggi la priorità è quella di restituire una grande dimensione politica agli interessi dei sardi.
La ricerca della dimensione istituzionale non è il primo punto all'ordine del giorno.
È sufficiente guardare a quanto accade in Europa.
Baschi, Catalani o Scozzesi, sono grandi nazioni senza stato - che vantano grandi partiti identitari - costituiti sui bisogni dei loro rispettivi popoli e contano molto di più - rispetto a tanti piccoli Stati - privi di identità e peso politico.
I soggetti della politica italiana frantumano invece la rappresentanza degli interessi profondi dei sardi, in Italia, come in Europa e nel mondo.
Ecco perché serve una nuova dimensione politica per garantire e tutelare gli interessi dei sardi.
Ed ecco perchè il Psd'Az deve favorire la creazione di nuovi spazi di agibilità politica che vadano nel verso dell'unità dei Sardi e non nel verso della ulteriore frantumazione del popolo sardo.
Non credo che i sardi, anche quelli che stanno dentro i due poli, per unirsi debbano aspettare che a Roma decidano che è il tempo del partito unico.
La sfida – oggi - è unire i sardi - in Sardegna - sugli interessi del nostro popolo.
E l'unità passa per un progetto sardo e non per un contenitore italiano.
Ed è per questo che oggi pensiamo a un programma che sappia dare unità.
Perchè i processi italiani che vanno verso il partito unico, produrranno delle conseguenze anche nello scenario sardo.
Sia all'interno degli stessi protagonisti che danno vita al soggetto unico e sia in quelle forze politiche che vedrebbero, nel partito unico, annientate la loro identità e la loro diversità.
Il primo pensiero va a quelle forze che stanno sì dentro i poli ma che esistono soltanto in Sardegna.
Ma penso anche che qualcuno - ad esempio nei Ds o nella Marherita in Sardegna - se si imbatte in un progetto unitario per i sardi, penso possa desistere nel ricercare l' unità fino al partito unico italiano e dentro la scatola continentalista.
Sta, quindi, a noi, mettere in campo le nostre migliori risorse per favorire uno spazio politico nuovo e un percorso comune dentro il quale realizzare il più grande progetto unitario dei sardi. In grado di coinvolgere le vere forze riformatrici in Sardegna e fare più grande anche il nostro partito.
Un cammino programmatico che non sarà mai un percorso in solitudine.
Perchè è dentro il solco del partito dei popoli europei. È dentro cioè l'allenaza libera europea. Che è la stella polare del nostro agire politico e che stiamo faccendo diventare operativo non soltanto a Bruxelles, ma anche nei singoli stati dove sono presenti i partiti e i movimenti che aderiscono all'Ale. E sarà così anche in Italia per tutte le competizioni elettorali, ad iniziare da quelle per il parlamento italiano.
E a questo proposito, sono convinto che il centro sinistra, non perderà l'occasione per diventare interlocutore privilegiato dell'Ale in Italia.
Ma, per ritornare alle questioni strettamente legate al programma e alle linee di indirizzo che dovremo stabilire in questa assemblea, mi limito ad evidenziare alcune questioni.
La prima attiene a quello che viene definito il tema delle riforme che in Sardegna significa principalmente Statuto. E aggiungono i sardisti: statuto di sovranità.
E a questo proposito ribadisco quanto già affermato in diverse circostanze.
La Costituente del popolo sardo è l'unico strumento che consente al popolo sardo di riscrivere il nuovo patto con l'Italia e l'Europa. È una battaglia del Psd'Az che abbiamo condotto insieme ad altre forze politiche ma soprattutto insieme alla società sarda.
Siamo arrivati fino a dove si poteva arrivare. Non soltanto abbiamo “socializzato e volgarizzato” una questione costituzionale centrale. Ma l'abbiamo fatta diventare movimento di popolo e abbiamo tradotto in legge del consiglio regionale, lo strumento per riscrivere il nostro statuto di sovranità.
La risposta del Parlamento Italiano è stata quella che da cinquantotto anni viene riservata alle proposte di modifica costituzionale approvate dalla nostra regione. Cioè, la legge sarda, non è stata discussa ed è arrivata soltanto all'uscio della commissione affari costituzionali.
Nel frattempo, la regione ha un altro governo e un'altra maggioranza, che non ha mai mostrato favore per la costituente. E la preferenza del centrosinistra per la consulta, non è la scelta dei sardisti. Ma ritengo che nessun statuto possa scriversi senza il contributo delle idee e dei valori sardisti. E per questo che dico che il Psd'Az deve partecipare ai lavori della Consulta. Non perchè crede nello strumento ma perché deve migliorare il prodotto finale che quello strumento è chiamato a produrre.
E colgo l'occasione per richiamare i fautori della consulta ad una riflessione. In questi giorni il popolo, primo fra tutti quello sardo, viene chiamato a mettere riparo alle brutture costituzionali prodotte dal parlamento Italiano. Diventa difficile capire perchè il popolo è maturo per bocciare una cattiva riforma e non è considerato capace di partecipare alla scrittura una buona riforma.
Sono contraddizioni che meriterebbero considerazioni più approffondite e anche un esame di coscienza da parte di chi pensa di azzeccarle tutte e non solo in Sardegna.
Ma con le contraddizioni, come sardisti, siamo abituati a convivere. E' sufficiente considerare quanto accade per la questione delle entrate. Da più di dieci denunciamo lo scippo dello Stato. Da anni abbiamo presentato in Consiglio regionale la legge per garantirci la restituzione del maltolto. Eppure qualcuno ancora oggi si permette di domandarci se saremo della partita. E anche per quale squadra giochiamo.
Come se noi chiedessimo a un produttore di computer se andrà in fiera allo Smau.
La battaglia per le entrate è una grande battaglia dei sardisti e della Sardegna intera.
E oggi ringraziamo il presidente Soru per averla sposata e condotta con determinazione e coraggio nell'interesse esclusivo del nostro popolo.
Come ringraziamo, quanti, hanno sposato la battaglia di sovranità sulle servitù militari e per liberare La Maddalena dai sommergibili atomici. Oggi li invitiamo con noi a costruire un grande piano di riconversione di tutte le basi militari presenti sul territorio sardo, con la partecipazione dei cittadini, delle istituzioni, delle forze politiche e sociali.
E guardiamo a queste grandi battaglie di libertà e di sovranità, come esempi tangibili per dimostrare che è possibile costruire un grande nuovo progetto per la nostra terra. Un progetto unitario di riscatto del nostro popolo. Un grande progetto sardista che non sarà soltanto dei sardisti ma della Sardegna intera