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13/12/2005 Interventos 

Un'àndala natzionalitària po su comunismu sardu

de Paolo Ignazio Pisu - Consigliere regionale


Partito della Rifondazione Comunista 

2° Congresso Regionale Sardo

Cagliari – Hotel Setar 
3 – 4 Dicembre 2005 

Intervento di Paolo Pisu

Illustri ospiti, compagno Migliore, compagne e compagni.

Il congresso che stiamo svolgendo, avviene in un momento particolarmente importante per almeno due ragioni: il primo riguarda il ciclo politico che sta vivendo il nostro mondo, l’Europa, l’Italia e, segnatamente la nostra Isola; il secondo è quello che attiene alla costruzione o ricostruzione del partito in Sardegna, alla sua unità e coesione, per rappresentare al meglio e dare risposte concrete alle classi popolari e al popolo sardo.

Sul primo punto: il recente dibattito in Comitato Politico Nazionale, ed in particolare la scelta politico-strategica uscita dal recente congresso di Venezia, credo ci abbiano fornito la bussola per orientare il nostro agire politico generale nell’era della globalizzazione liberista.

Essendo questo un congresso del partito in Sardegna credo che il nostro sforzo debba essere indirizzato alla costruzione di una strategia politica, adeguata alle condizioni contingenti che vivono le classi popolari della nostra Isola, tutelandole direttamente; ma, nel contempo, partecipando, contestualmente, alla difesa degli interessi economici, sociali, culturali e politici di tutto il popolo sardo, di modo che le classi sociali più svantaggiate siano tutelate anche in forma indiretta, come in parte, stiamo facendo in questo momento sul tema delle “entrate ...”.

Questo intreccio tra la difesa della classi popolari e, contemporaneamente, del popolo sardo, deve essere l’asse fondamentale della nostra linea strategica e dell’agire politico quotidiano del nostro partito in Sardegna.

Mi rendo conto delle differenze tra i due aspetti e del fatto che per noi comunisti la contraddizione principale è sempre quella capitale-lavoro. Io penso che all’interno di una nazionalità siano due facce della stessa medaglia! 

Ritengo per questo che dobbiamo collocare la moderna questione sarda, ancora irrisolta, tra le “contraddizioni prevalenti” della nostra epoca, come quelle sulla pace, l’ambiente o di genere, per citare solo alcuni esempi. Certo si tratta di tematiche chiamiamole “interclassiste”, a cui possono concorrere anche forze non anticapitaliste, ma che devono vederci protagonisti in prima persona, “attrezzandoci” ad esercitare quella sana egemonia, in senso gramsciano, rapportandoci a queste contraddizioni da un punto di vista comunista.

In questo modo noi del P.R.C. in Sardegna, svolgiamo il nostro ruolo di rappresentanza degli interessi dei nostri soggetti sociali di riferimento, ma anche di quelli come dicevo prima più generali del nostro popolo. Dobbiamo farlo in modo unitario, ma anche senza confonderci con gli altri, e tantomeno “iscrivendoci” a quel “partito dei sardi”, di cui tante sirene moderate, liberiste e reazionarie oggi parlano, a partire dal Presidente emerito Cossiga. 

Ma per fare questo non basta approvare ordini del giorno, come abbiamo fatto in ben due congressi del PRC o tenere qualche convegno sul federalismo, da noi promosso qui in Sardegna, in ritardo e in un momento particolare.

E’ invece indispensabile approfondire, da un lato, la ricerca e la conoscenza sulle “vittime della globalizzazione liberista oggi” e di come essa colpisca le classi popolari, i soggetti più deboli, marginalizzi vaste aree geografiche del pianeta, produca povertà diffusa, e nella sua politica e processo di omologazione tenda ad annullare ogni diversità. Tra queste vi sono quelle rappresentate dai popoli, soprattutto quelli collocati dentro grandi stati-nazione, privi di adeguati strumenti giuridici e politici di tutela e in condizioni economiche e sociali di oggettiva debolezza, come la Sardegna. L’unità di tutte queste “vittime” del capitalismo moderno sono la precondizione per riuscire a dare gambe all’ipotesi di un “altro mondo possibile”. 

Il fatto che il tema sardo non abbia avuto il clamore mediatico delle vicende della Corsica, Catalogna, Paesi Baschi o Irlanda del Nord (per restare in Europa), non deve portarci a ritenerlo meno importante.

Del resto, è bastata la manifestazione sulle entrate o la questione sulla chiusura della base USA di La Maddalena o il tema delle servitù militari, a far conoscere all’Italia e al mondo alcune importanti problematiche della nostra terra.

Dunque, secondo me una questione sarda esiste e si manifesta, oltre ai temi citati, nella crisi profonda della Sardegna, che va dalla rivolta dei pastori alle lotte degli operai nelle poche fabbriche che abbiamo e che sono in crisi. Per non parlare poi di un artigianato e delle piccole imprese in difficoltà permanenti. La riduzione dei servizi e della qualità della vita nell’80% del territorio sardo dell’interno o delle aree svantaggiate, dove sono insediati il 92% dei comuni dell’Isola, che non superano i 3.000 abitanti, con alti indici di malessere (che sono alla ribalta della cronaca in questi giorni), e con tassi di disoccupazione tra i più alti d’Europa, ha fatto si che oramai da alcuni anni è ripresa fortemente l’emigrazione soprattutto giovanile. A questo si può aggiungere il diritto alla mobilità con l’esigenza, della continuità territoriale per le persone e le merci, il costo del credito e dell’energia, che ci penalizzano, e le altre problematiche che conosciamo tutti.

Come non collocare tra queste le “tematiche identitarie” (lingua, cultura, tradizioni), così sentite e presenti nella nostra società. Questo non per enfatizzare pure nostalgie passatiste o per isolarci. Tanto meno per escludere o non riconoscere i non sardi presenti nella nostra isola, che dobbiamo rispettare nella loro identità culturale specifica, oltre che tutelarli nei loro diritti civili e politici, ma per affermare i nostri diritti di popolo e sancirli con leggi ispirate al diritto internazionale sulla tutela delle nazionalità e dei popoli nel mondo. Del resto come potremmo non riconoscere ad altri ciò che è ancora a noi negato, ed essendo un popolo dimezzato per effetto dell’emigrazione ?
Dunque un insieme di temi, collocabili, come dicevo, in un’unica questione sarda, che in parte questa nuova maggioranza alla Regione sta cercando di portare avanti e di dare una qualche risposta. 

Ma quello che dobbiamo recuperare è il ritardo del nostro partito su questi temi, che non possono essere delegati al gruppo in Consiglio Regionale, alla sensibilità di qualche compagno o circolo o federazione, ma devono diventare patrimonio culturale e politico di tutto il partito.

La questione sarda, le crisi economico-sociali dei comparti strategici della nostra economia o delle industrie di importazione, l’emigrazione e le zone interne (e tutto l’altro), sono problematiche che vengono da lontano nel tempo.

Esse attengono in parte alle dominazioni coloniali a cui siamo stati lungamente sottoposti, in tempi moderni alla formazione dello Stato italiano da parte della borghesia piemontese, ed in epoca recente all’uso che si è fatto dell’isola come area di servizio (industrie nere e inquinanti, servitù militari, carcerarie, turismo d’élite, ecc. ...), allo scambio diseguale che ci ha ulteriormente impoverito (esportando materie prime e manodopera, ed importando prodotti esterni con alto valore aggiunto), con rapporti di subalternità ad uno Stato centralista che ci ha usato per autofinanziarsi e sviluppare le aree più forti del paese, lasciandoci in una condizione di sviluppo del sottosviluppo e di crisi finanziaria drammatica.

Si pensi soltanto che il 61% degli occupati in Sardegna dipendono dal settore pubblico, mentre non è mai stato avviato uno sviluppo autocentato che valorizzasse tutte le nostre risorse locali, creando reddito e lavoro stabili nel tempo.

A tutto questo come possiamo rispondere ? Con una grande lotta popolare per ottenere un nuovo Statuto speciale, per avere i poteri e le risorse per organizzare il nostro Piano Regionale di sviluppo, reggere meglio il confronto internazionale, affermare i nostri diritti identitari.

Il nuovo statuto è la parte più importante del processo di riforme in atto.

Direi che è “la madre di tutte le riforme”, perché deve ricontrattare i rapporti tra la Sardegna e lo Stato Italiano, essendo l’attuale Statuto di Autonomia insufficiente e superato.

Ma non si tratta di farne un altro con un pò di poteri e risorse in più. 

Si tratta di pensarlo in modo totalmente nuovo. Non con l’ottica dello Stato che decentra ad un qualsiasi ente locale minore, seppur equoordinato dalla riforma del Titolo V°, ma un nuovo Statuto predisposto da noi sardi, ritagliato sulle nostre esigenze presenti e future, sulla base di una concezione nuova, che tenga conto che esiste una nazionalità sarda, che deve essere riconosciuta, rispettata e tutelata, che deve avere livelli di sovranità alta, pur all’interno dello Stato Italiano e in una Europa e un mondo degli Stati ma anche di popoli.


Per questo io penso che il nuovo patto tra la Sardegna e lo Stato italiano debba essere orientato su basi federalistiche. Dentro questo Statuto, ovviamente ci vanno in primis i diritti dei lavoratori, dei cittadini, il progetto di rinaturalizzazione dell’Isola, il lavoro e lo sviluppo, il reddito minimo di cittadinanza, il ruolo di pace, di incontro e dialogo, della Sardegna nel mondo, anche per la sua collocazione strategica nel Mediterraneo, oltre agli altri temi di cui ho parlato.

Dunque, alla fine di questo congresso, il cui documento finale mi auguro contenga questi elementi che ho cercato di argomentare, ci troveremo costretti a parlare e a misurarci sul nuovo Statuto.

Per questo c’è l’urgenza di approfondire il tema subito, forse non solo dentro il nuovo Comitato Politico Regionale, ma anche attraverso un seminario o convegno specifico.

Ci troveremo di fronte a chi sostiene l’Assemblea Costituente o la Consulta Statutaria, agli autonomisti moderati o più convinti (come ci diceva Cossuta), ai federalisti delle varie scuole o ai gruppi e partiti indipendentisti.

Io penso che il Compagno Migliore e il gruppo dirigente di questo partito sappiano che noi non annoveriamo il sedicente “federalismo della Lega Nord” tra queste scuole, che sappiamo non esistere una “nazione padana”, che la devolution Bossiana, accettata dalla CdL, rispecchia fedelmente il contenuto e le finalità della Lega, il cui programma era ed è centrato sull’egoismo sociale e territoriale, per garantire le classi e le aree più ricche del paese, con venature xenofobe e razziste, contro i diversi, extracomunitari, meridionali o sardi che siano.

Il nostro federalismo deve essere solidale, democratico, di rispetto dei popoli veri, che ci sono anche in Italia, chiarendo agli indipendentisti, che non si difende meglio il popolo sardo costruendo una Repubblica autonoma, ma garantendo i livelli adeguati di sovranità; e dicendo al contempo ai cosiddetti autonomisti timidi o camuffatti che noi non siamo solo una Regione, seppur speciale (che è una categoria giuridico-politica), ma una nazionalità. Cioè una entità etno-storica, che è una categoria culturale, che non può essere confusa genericamente con un “cosmopolitismo di maniera” (per dirla con Gramsci), sostenendo le vecchie e rozze parole d’ordine “che il proletariato non ha nazione ...”, per poi esaltare le lotte di liberazione dei popoli, compreso il Chiapas o la Palestina.

Dobbiamo anche capire che queste questioni non sono delegabili o appannaggio solo del PSd’Az. e degli altri partiti o movimenti che esistono solo in Sardegna. Attenti compagni che con le battaglie in corso, dalle entrate allo Statuto, da ciò che dicono i politici da Soru a Sale, rischiamo di lavorare per il Re di Prussia, dove loro incamereranno tutto il sentimento nazionalitario che queste lotte stanno già alimentando e che si rafforzerà nel prossimo futuro.

Delegarle a loro sarebbe come se i comunisti parlassero solo di lavoro, lasciando ai Verdi di occuparsi di ambiente o ai Radicali di diritti civili, per citare solo due esempi. Essere comunisti, oggi, significa assumere anche queste sensibilità.

Sulla costruzione di un Partito Comunista Sardo, di cui si parla e si parlerà nei prossimi mesi, credo si debba essere prudenti. E’ una cosa troppo seria per essere strumentalizzata e bruciata sull’altare della tattica politica, da chi forse a gennaio lo proporrà. Questo lo si troverà comunque nel dibattito sulla costruzione del Partito della Sinistra europea in Sardegna.

Pertanto, invece io penso che siano maturi i tempi per costruire, come dicevo all’inizio, una nostra linea politica complessiva che, assieme all’unità e alla corretta gestione del partito in Sardegna, ci consenta di rispondere alla domanda politica pressante che ci viene dai lavoratori, ma anche dall’intero popolo sardo. 


Paolo Ignazio Pisu, consigliere regionale 

A segus