LA LEGISLAZIONE NAZIONALE SULLE MINORANZE LNGUISTICHE.

Problemi, applicazioni, prospettive.

Udine, 30 novembre - 1 dicembre 2001

ALCUNE RIFLESSIONI SULLA LSU (LIMBA SARDA UNIFICADA)

Emilia Calaresu - Università di Modena

Come tutti sappiamo, con la presentazione pubblica del modello di LSU (cioè Limba Sarda

Unificada) avvenuta ai primi di dicembre del 2000 e la divulgazione del testo di questo modello

nella prima metà del 2001, si è aperto in Sardegna un dibattito, molto più che vivace, e che

riguarda forma e sostanza delle strategie di politica linguistica che la Regione Sardegna sembra

voler perseguire.

Uno dei punti di maggior attrito fra le diverse parti è stato inevitabilmente la preferenza

accordata al logudorese nella selezione di una varietà che possa fungere da modello linguistico

unitario per l'uso scritto del sardo (ma in possibili scenari futuri, anche di quello parlato).

Nel corso di questa mia relazione, che vorrebbe porsi come interlocutoria, intendo

organizzare e scandire i contenuti in base ad una serie di problemi, che credo aprano infine

anche un interrogativo molto più generale che riguarda che tipo di comunicazione, su questi

temi e seguendo determinati passi e strategie, viene instaurata fra organi di governo regionale,

in questo caso, e i cittadini.

Questa mia relazione però vuole anche essere "polifonica", citando commenti e giudizi sulla

LSU, non solo da pubblicazioni su libri, giornali e sul web, ma anche citando dalle discussioni

che si sono svolte in questi ultimi due anni via mail sulla lista di discussione su Internet sa-

Limba, che è una lista pubblica e aperta di discussione in sardo su lingua e cultura sarda (in

tutte le varietà di sardo, compresa l'interlingua di molti apprendenti anche non italofoni).

Credo infatti che sia decisamente importante in questo tipo di dibattiti tener presente e

ascoltare quanto può dire anche il parlante comune, cioè non necessariamente "tecnico" della

lingua, essendo poi di fatto soprattutto lui il destinatario di qualsiasi azione di politica

linguistica.

Entrando ora nel merito dei fatti, la Legge regionale n.26 del 1997 precede di ben due anni

quella nazionale, la n.482 del 1999 ".

In tutti e due i testi di legge viene utilizzata l'espressione 'lingua sarda', ma le varietà

implicitamente sussunte in quest'espressione sono in realtà diverse per ciascuna legge

(punto 1 dell'hand-out):

1) - Legge nazionale n.482 del 15.12.1999 "Norme in materia di tutela delle minoranze

linguistiche storiche" Þ «popolazioni ...catalane. ..e..popolazioni ...parlanti ...il sardo»,

2

- Legge regionale n.26 del 15.10.1997 "Promozione e valorizzazione della cultura e della

lingua della Sardegna "Þ fin dall'articolo 1 riferimento ai linguaggi della Sardegna, intendendo

cioè oltre al 'sardo' e al catalano di Alghero, come si può leggere al comma 4 dell'art.2, il

tabarchino delle isole del Sulcis, il dialetto gallurese e quello sassarese.

- Nella legge nazionale con 'lingua sarda' sembra lecito intendere tutti i linguaggi della

Sardegna diversi dal catalano di Alghero;

- nella legge regionale sarda vengono invece sussunte nell'espressione 'lingua sarda' tutte le

varietà di Sardegna che orbitano di fatto o idealmente nella coscienza di molti sardi, intorno ai

due poli o macro-varietà del sardo campidanese da una parte e del sardo logudorese dall'altra,

dal momento che la legge regionale, a differenza di quella italiana menziona esplicitamente

come linguaggi a sé il catalano, il tabarchino, il gallurese e il sassarese.

Prima ancora di entrare nel vivo dei problemi scaturiti da questa definizione al singolare (che

pare voler essere insieme descrittiva e progettuale), mi preme mettere in luce due fatti, a mio

parere cruciali e prioritari a qualsiasi altra successiva osservazione:

PRIMO: Né la legge regionale né quella nazionale parlano esplicitamente della necessità di

standardizzazione per superare il problema delle varietà (anzi dalla terminologia impiegata è

evidente che per le due leggi il problema delle varità non si pone proprio), ma la legge regionale

n.26 prevede esplicitamente al titolo III "Azioni e interventi", all'art.10, il censimento del

repertorio linguistico dei Sardi (punto 2 dell'hand-out):

2) da LR n.26: «Art.10 - Censimento del repertorio linguistico dei Sardi: 1. L'amministrazione

regionale realizza il censimento del censimento linguistico dei Sardi, secondo un progetto che

dovrà prevedere: a) la ricerca e la rilevazione in ciascuna comunità sarda del lessico ivi usato

anche in collaborazione con le Consulte locali di cui all'articolo 8; b) l'informatizzazione; c) la

pubblicazione dei risultati della ricerca, con particolare attenzione alla elaborazione dei

dizionari generali della lingua sarda, nonché dell'atlante linguistico della Sardegna»

SECONDO: La Giunta regionale sarda ha rimandato l'attuazione di questo censimento

richiesto esplicitamente dall'art.10 e ha dato invece la precedenza a qualcosa che ne sarebbe

semmai dovuto logicamente discendere e che né la legge nazionale né quella regionale

richiedevano o ponevano esplicitamente come priorità, cioè la creazione di uno standard che

unificasse le diverse varietà del sardo.

Come si può desumere leggendo dalla presentazione del testo Limba Sarda Unificada

l'incarico alla commissione di esperti per la lingua sarda risale già al 1998:

Leggendo poi dalla relazione dell'on. Pasquale Onida (assessore regionale alla Pubblica

Istruzione), letta alla 2a Conferenza Regionale sulla cultura e sulla lingua sarda del dicembre

2000,- conferenza in cui si dava notizia dell'avvenuto completamento e prossima pubblicazione

3

della LSU (punto 3 dell'hand-out):

3) dalla relazione dell'on. P. Onida alla 2a Conferenza regionale sulla Cultura e sulla lingua

sarda (Ala Birdi - Arborea (OR), 9.12.2000):

Altri importanti progetti, previsti dal piano triennale, non hanno potuto trovare accoglimento

nei piani finanziari per i drastici tagli apportati al bilancio regionale, che hanno ridotto del

50% gli stanziamenti rispetto a quelli iniziali del 1998.

La predisposizione degli indirizzi in relazione all'artcolo 10 della legge poiché è prioritario

un intervento di progettazione e avvio del dizionario della lingua sarda e dell'atlante

linguistico della Sardegna. Due opere di vasto respiro, la cui realizzazione richiede un

impianto scientifico rigoroso e l'impiego di personale che abbia una specifica preparazione

in campo linguistico.

appare evidente che, per quanto attiene l'articolo 10, soltanto i "prodotti" finali in quanto oggetti

(dizionario e atlante linguistico) paiono essere recepiti come obiettivo unico e assoluto, in un

certo senso trascurando o sottovalutando la reale portata conoscitiva di un censimento per

quanto riguarda qualsiasi scelta di politica linguistica per la Sardegna.

Il mettere in evidenza, come primo punto, questi due fatti non significa affatto, nelle mie

intenzioni, negare che prima o poi si sarebbe dovuto comunque e necessariamente affrontare il

problema della definizione di 'lingua sarda' e, conseguentemente, quello dell' assenza di una

lingua tetto e della necessità o meno di una selezione di varietà di riferimento (già esistente o

creata ad hoc).

Significa piuttosto esplicitare le perplessità e gli interrogativi provocati dal ribaltamento

delle fasi logiche e cronologiche di quello che anche sulla carta appariva già come un difficile

percorso di politica linguistica.

Infatti non esistono studi e indagini recenti ed esaustive né sullo stato di salute della "lingua

sarda" (chi parla quali varietà e dove e quando; chi ha competenza almeno passiva di quali

varietà; ecc.) né sul suo attuale statuto socio-linguistico e simbolico (chi pensa cosa del sardo,

quale varietà i sardi - sardofoni, semi-sardofoni e non-sardofoni- ritengono più prestigiosa e/o

eventualmente più rappresentativa, ecc.). L'ultima indagine sociolinguistica risale infatti ormai a

quasi venti anni fa ed era stata svolta per sola campionatura (quella in Sole 1990, in

bibliografia).

L'assenza quindi di dati più certi e più affidabili sulla situazione linguistica attuale in

Sardegna rende spesso interminabili o inconsistenti molte discussioni, poiché inevitabilmente il

discorso si arena sulla incerta negoziazione delle sole premesse.

Provo ad elencare ora quattro frequenti asserzioni, di tipo molto diverso, in realtà, che sono

frequenti nelle discussioni e che vengono spesso date per scontate ma del cui fondamento

effettivo solo un censimento linguistico e sociolinguistico potrebbe farsi carico.

Queste quattro asserzioni sono:

1) In Sardegna vige una situazione di diglossia;

4

2) La varietà di sardo che conta più parlanti è quella campidanese;

3) Coloro che sono contrari alla lingua unica sono in realtà contrari alla tutela e alla

promozione del sardo;

4) Il popolo sardo se gli si toglie la lingua non esisterà più.

Vediamole ora un po' più da vicino.

PRIMA: In Sardegna vige una situazione di diglossia. L'impressione di molti sardi, però,

compresa la mia, è che la situazione attuale, almeno in molti centri urbani e in varie zone

dell'Isola, sia ormai piuttosto di diffusa e crescente dilalia e che la lingua italiana abbia preso

fermamente piede in tutti gli ambiti. Naturalmente la eventuale conferma di ciò farebbe una

grande differenza, poiché non si tratterebbe più di portare il sardo fuori dall'ambito familiare e

amicale, ma, per prima cosa, di farcelo rientrare;

SECONDA: La varietà di sardo che conta più parlanti è quella campidanese. Su questo

punto è tuttora possibile sentire cifre molto diverse, basate comunque su dati di sola residenza

anagrafica e neanche troppo recenti.

Può essere interessante citare qui una mail di sa Limba in cui ad esempio si sosteneva che se

anche il numero di persone residenti nell'area di diffusione delle varietà campidanesi è

certamente più alto, il numero di parlanti sardo è comunque più alto per la varietà logudorese,

essendo la sardofonia più diffusa e capillare in quelle zone che non in quelle di influsso

campidanese.

Non siamo tuttora in grado di sapere, senza dati alla mano, quanto questo sia vero o no,

certamente però ne sarebbe valsa la pena saperlo prima che gli attuali sviluppi della discussione

andassero (o, piuttosto, vadano) a modificare i dati dell'indagine quando (e se) questa verrà

finalmente svolta. Non sembra infatti irragionevole prevedere che, in seguito al dibattito feroce

seguito alla presentazione della LSU e all'alzata di scudi dei "pro-campidanese", nell'atteso

censimento linguistico molti sardi non sardofoni non dichiarino più la loro non-sardofonia ma si

dichiarino piuttosto parlanti effettivi di una delle due varietà in base alla propria appartenenza

geografica, per dar insomma manforte alla prevalenza statistica della varietà corrispondente.

Ciò sarebbe comunque valido e significativo dal punto di vista sociolinguistico, per quanto

riguarda la funzione simbolica della lingua cioè, ma si rischiano dati falsati dal punto di vista

strettamente linguistico-statistico.

TERZA: Coloro che sono contrari alla lingua unica sono in realtà contrari alla tutela e

alla promozione del sardo.Questo è un concetto che finisce per irrigidire e bloccare la

discussione in una dicotomia che non pare confermata dalla situazione reale: infatti se è vero

che a livello politico le maggiori opposizioni all'ipotesi di standardizzazione sono emerse da

parte di esponenti di partiti storicamenti contrari ad ogni possibile "esproprio" della lingua

5

nazionale italiana da parte di altre lingue, varietà e parlate, è però altrettanto vero che molti

sostenitori della promozione e tutela del sardo sono però contrari alla "declassazione" (anche

solo prospettica) delle diverse varietà del sardo rispetto ad un'unica varietà o ad una qualsiasi

ipotesi di lingua unica;

QUARTA: Il popolo sardo se gli si toglie la lingua non esisterà più -cioè, in altri termini,

la completa equivalenza identità sarda = lingua sarda; questo è un punto abbastanza complesso

(cosa si intende per 'identità', per esempio), ma non sembra improbabile che la maggior parte

dei sardi semi-sardofoni, o addirittura non sardofoni, avrebbe una certa riluttanza ad accettare

l'esclusione da quella che chiamo la "sarda mater", esclusione che tale affermazione sembra

portare con sé .

È ora interessante ricostruire il percorso storico di quello che io chiamo l'incontro-scontro

con la LSU e ricostruirlo almeno in parte a ritroso, cioè partendo dai mesi a cavallo tra la fine

del 2000 e l'inizio del 2001, cioè dall'uscita pubblica della LSU al 1998 che è l'anno in cui la

Regione Sardegna firma la prima convenzione con la Commissione di esperti per la lingua

sarda. Si tratta, infatti, dello stesso tipo di percorso cronologico a ritroso che molti sardi hanno

dovuto compiere per capire perché dalle attese per una proposta di ortografia unificata ci si

fosse poi ritrovati con una proposta di lingua unificata.

Per circa due anni (dal gennaio 1999 al dicembre 2000), ad esempio, sulla lista sa-Limba si è

discusso spesso, anche nel dettaglio, il problema della standardizzazione ortografica. Le

discussioni hanno anche spesso toccato l'eventualità o meno di avere in futuro anche una

standardizzazione della lingua almeno per l'uso scritto, ma ancora nell'ottobre 2000 è evidente

dal contenuto dei diversi messaggi che le attese dei partecipanti alla lista rispetto ai lavori della

Commissione riguardano solo una "grafia unificada".

Infatti è soltanto con il convegno di Ala Birdi del dicembre 2000 che diventa palese che la

Commissione aveva lavorato ad una normalizzazione della lingua per l'uso scritto (e in

prospettiva, per quello parlato) - il che, anche per chi sia poco addentro alla terminologia

tecnica della linguistica, non è certo la stessa cosa di una normalizzazione ortografica.

Ed è quindi soltanto a questo punto che si è cominciata a intuire una certa disinvoltura

lessicale nell'uso di termini diversi come 'ortografia' da una parte e 'lingua scritta' dall'altra, da

parte soprattutto dell'amministrazione regionale, con tutti i fraintendimenti che ciò comporta.

Ancora nel gennaio 2001, ad esempio, già a una ventina di giorni dopo il convegno e lo

scoppio delle polemiche sulla LSU, l'assessore Onida seguitava ad alimentare la confusione

terminologica e sostanziale scrivendo su L'Unione Sarda (punto 4 sull'hand-out):

6

4) La "speciale commissione".... ha svolto un importante lavoro, essenzialmente per «elaborare

e presentare una ipotesi di normalizzazione ortografica della lingua sarda». (Pasquale Onida,

"Lingua isolana unificata? Informarsi e poi discutere", L'Unione Sarda, 12.1.2001)

A questo punto, ormai , è soltanto in seguito all'uscita tipografica e alla divulgazione del

testo della LSU, nei primi mesi del 2001, che è stato possibile per molti lettori scoprire, nella

pagina di Presentazione, che gli scopi della Commissione, in base alle due convenzioni stipulate

con la Giunta regionale, erano sempre stati in realtà tre ( punto 5 dell'hand-out):

5) elaborare e presentare, anche in equipe (sic) con altri esperti convenzionati, entro i termini

per ciascuno indicati:

- una ipotesi di normalizzazione ortografica, entro tre mesi di decorrenza dalla presente;

- un progetto, anche se non esaustivo, di unificazione linguistica ad esclusivo uso

dell'Assessorato [della P.I.], entro cinque mesi dalla decorrenza della presente;

- uno studio tecnico scientifico circa l'applicabilità operativa, sotto il profilo culturale, di

procedure ed azioni tendenti al raggiungimento degli obiettivi e delle finalità della legge

in riferimento alla propria materia, in vista soprattutto del piano triennale previsto dalla

medesima, entro la fine della decorrenza della presente convenzione (LSU: 3, nota 1)

Quindi, tre diversi obiettivi che però vengono poi nei fatti compendiati da uno solo, cioè

la stesura e la descrizione normativa della LSU a tutti i livelli, tranne solo quello sintattico, e

non quindi del solo livello ortografico.

C'è quindi da chiedersi se non sarebbe stato quanto meno più opportuno mantenere ben

distinti i tre diversi obiettivi, in modo da evitare che la "proposta ortografica" fosse poi: da un

lato, gerarchicamente dipendente da un modello linguistico completo già predisposto, e, perciò,

dall'altro, desumibile per sottrazione dal modello di lingua unica.

Procedendo invece con la fusione, e confusione, dei tre obiettivi, a mio parere, non si è fatto

altro che spingere più rapidamente quelli che erano comunque favorevoli ad un'ipotesi di

ortografia unica "normalizzata" ma non favorevoli a una "normalizzazione" linguistica, verso

una posizione contraria anche alla ortografia unica - poiché la ortografia unificata proposta

dalla Commissione è, di fatto, parte integrante del modello di lingua unica.

Entrando ora nel merito del modello linguistico proposto con la LSU, emergono ulteriori

"errori comunicativi" commessi forse nel tentativo di rendere accettabile il modello a tutti i

sardi, e anche una certa sottovalutazione, a mio parere, della consapevolezza metalinguistica dei

destinatari, cioè della popolazione sarda a cui la proposta è rivolta.

L'analisi che segue si basa in gran parte su quanto scritto nella parte introduttiva alla LSU,

cioè Presentazione, Premessa, Introduzione e Modalità e Criteri (LSU: 3-8).

Il primo Problema è quello della rappresentatività della LSU.

Nella Presentazione e nella Premessa della LSU si può leggere (punti 6 e 7 dell'hand-out):

7

6) Nella selezione del modello è stato preso in esame tutto il sardo nel suo complesso, senza

stabilire confini o preferenze. Ogni variante e ogni fenomeno fonetico diverso dagli altri è stato

considerato con attenzione, in vista della scelta del modello. La decisione è avvenuta in base a

criteri e modalità che sono espressi con chiarezza nelle Norme. Il risultato è una lingua naturale

"elaborata" tramite correttivi e compensazioni, "mediata" attraverso la ricerca della massima

coerenza e ampiezza d'uso, più sistematica rispetto alla tradizione letteraria e alle singole

varianti locali, più irregolari. (LSU: 4)

7) La norma standard unificata deliberata dalla Commissione intende realizzare una mediazione

fra le varietà centro-orientali, più conservative, e quelle meridionali dell'Isola, più innovative, ed

è rappresentativa di quelle varietà più vicine alle origini storico-evolutive della lingua sarda,

meno esposte a interferenze esogene, largamente documentate nei testi letterari, e fuori dalla

Sardegna maggiormente insegnate e rappresentate nelle sedi universitarie e nel mondo

scientifico. (LSU: 5)

in cui la LSU è presentata da subito come una varietà "elaborata" e "corretta" dalla

Commissione e come «mediazione» fra le diverse varietà, - il che farebbe subito pensare, se

non proprio ad una varietà costruita ad hoc come "minimo comune multiplo" (come nei

Grigioni in Svizzera), almeno a una certa ibridazione artificiale, voluta e cercata per non

scontentare troppo le diverse varietà all'interno dei due poli campidanese e logudorese.

In realtà, una volta terminata la lettura e l'analisi di tutto il modello linguistico della LSU,

grammatica compresa (a parte l'espunzione di qualche particolarità locale di tipo fonetico o

lessicale e la sparizione del passato remoto dal paradigma verbale), i parlanti varietà logudoresi

hanno immediatamente riconosciuto la propria macro-varietà logudorese, e anche i parlanti

varietà campidanesi hanno fatto lo stesso, hanno cioè riconosciuto il logudorese.

Di conseguenza, tralasciando per il momento tutte le possibili ragioni per cui il logudorese

possa o non possa essere ritenuto più rappresentativo del campidanese, resta il fatto comunque

che la LSU non può apparire ai campidanesi rappresentativa anche del campidanese, dal

momento che non ci sono scelte significative nella LSU che manifestino "mediazione" tra le

peculiarità del campidanese e le peculiarità del logudorese (mentre ce ne sono invece molte che

manifestano mediazione tra differenti varietà logudoresi).

Ad esempio, fra le caratteristiche che i sardi sentono come più vistosamente distintive

delle due macro-varietà possiamo ricordare il trattamento di (punto 8 dell'hand-out):

8)

camp. log.

articoli determinativi plurali: is sos, sas

forma dell'infinito: cantai cantare

forma dell'imperfetto congiuntivo: cantessi, cantessis,

ecc.

cantare, cantares, ecc.

trattamento delle vocali prostetiche: scola iscola

palatalizzazione vs. velarizzazione: cena chena

8

In tutti questi casi elencati in tabella, le scelte della LSU hanno sempre scartato le forme

campidanesi in favore di quelle logudoresi. Dunque diventa abbastanza difficile dar torto ai

campidanesi che protestano osservando che la LSU non rappresenta affatto una "mediazione"

fra tutte le varietà di sardo.

Il secondo problema riguarda il latino come riferimento prestigioso.

Già nella Premessa alla LSU si parla di selezione di «quelle varietà più vicine alle origini

storico-evolutive della lingua sarda»; e proseguendo la lettura, all'interno del sottocapitolo

Modalità si trova un elenco programmatico di quattro punti, di cui il terzo recita (punto 9

dell'hand-out):

9) 3. Prendere come base di riferimento per ciascun fenomeno il latino, in modo da stabilire con

maggiore chiarezza distanze e prossimità da esso dei diversi esiti sardi. (LSU: 7)

Le proteste di molti sardi, non solo campidanesi, documentabili anche sulla lista sa-Limba,

davanti a tale criterio, si possono riassumere semplicemente nella (solo) apparente banalità della

tautologia "Il sardo è sardo, cosa c'entra il latino?".

Infatti, è vero che per molti sardi è spesso motivo di orgoglio mostrare agli italofoni non

sardi peculiarità del sardo che manifestano la maggiore "vicinanza" del sardo al latino di quanta

non ne possa mostrare l'italiano stesso, ma ciò mi pare rientrare piuttosto nell'eterno rapporto

competitivo o dialettico con la lingua nazionale "vincente"; un po' come dire che se l'accesso

all'ambito romanzo è motivato dalla discendenza dal latino, allora i sardi hanno in questo un

pedigree di tutto rispetto e che dell'italiano il sardo non è certo figlio o figliastro.

Ma è piuttosto difficile immaginare che un sardo non sia orgoglioso, per fare un esempio fra

i tanti, anche di forme non derivate dal latino, come per es. 'tzíppiri', di origine probabilmente

punica, rispetto anche ad un ipotetico latineggiante *'rosmarinus', per il semplice fatto che

quest'ultimo termine non metterebbe in rilievo quanto 'tzíppiri' l' alterità del sardo rispetto

all'italiano.

Il riferimento saltuario o puntuale al latino è stato, ed è, in genere, gradito ai sardi come uno

degli strumenti più frequenti o disponibili di identificazione e alterità del sardo nella sua

battaglia ideologica per essere considerato lingua a tutti gli effetti e non dialetto dell'italiano.

Va da sé però che il latino stesso può diventare facilmente un nemico, nella percezione dei

parlanti, se utilizzato per discriminare internamente al sardo stesso forme e costrutti più o meno

"prestigiosi" o "illustri".

In ogni caso, entrando un po' più nel merito dei criteri della LSU, il problema del riferimento

al latino è anche quello di quale latino si stia parlando, in quanto, soprattutto leggendo i criteri 8

e 15 della LSU (LSU:7-8) (punto 10 dell'hand-out), è evidente che se per ragioni etimologiche

e «rifacendosi alla comune matrice latina» si preferisce la forma 'rosa':

9

lat.cl. rosa camp. arrosa log. rosa

e si è optato per la selezione di forme più vicine al latino classico e più arcaico (in grassetto le

forme selezionate dalla LSU):

lat.cl. cena [leggi kena] camp. cena log. chena

altre volte si è optato però per forme più vicine al «latino di una certa epoca» che non è quella

classica (LSU:8, punto 14):

lat.cl. schola camp. scola log. iscola

e altre volte, infine, non si è tenuto conto affatto del latino e dell'etimologia :

lat.cl. lingua camp. lingua log. limba

Per questi ultimi tre casi (chena, iscola, limba), tutti al punto 15 della LSU, si legge infatti che

il criterio è diventato quello di «preservare alcuni caratteri distintivi tipici del sardo» (LSU:8),

lasciando intendere implicitamente al lettore che sono le forme logudoresi quelle più distintive e

tipiche, anche al di là di ogni programmatico riferimento etimologico al latino.

Esiste poi un problema derivato dal riferimento al latino e alle "origini": cioè quello

della "purezza" e arcaicità.

Il criterio del latino come varietà prestigiosa di riferimento e la preferenza accordata a

«varietà più vicine alle origini storico-evolutive della lingua sarda, meno esposte a interferenze

esogene» (LSU:5), ha inevitabilmente scatenato forti polemiche sulla questione della maggiore

"purezza" e arcaicità di alcune varietà di sardo e sulla attribuzione di maggior valore positivo a

tali qualità, anche se 'purezza' e 'arcaicità' non sono fra i termini espressamente utilizzati dal

testo della LSU.

Già il giorno dopo la Conferenza di Ala Birdi, ad esempio, si poteva leggere sul secondo

quotidiano dell'Isola, La Nuova (Sardegna), di maggiore diffusione nel nord della Sardegna

(punto 11 dell'hand-out):

11) (...) un compromesso, in sostanza, che vede attingere i pregi di ogni idioma geografico. La

base sarà il logudorese antico ma, soprattutto, più puro perché nel tempo ha dimostrato di

aver subìto meno di altri contaminazioni gergali. Ma ogni parola del vocabolario sardo scritto

tiene anche conto delle pronunce più pure e che comunque sono anche quelle che possono

essere comprese e soprattutto utilizzate dalle 337 comunità isolane. È questa la novità più

importante emersa ieri nella prima giornata della conferenza. (Michela Cuccu, "Ecco Sa Limba

nella scrittura ufficiale", La Nuova, 10.12.2000, grassetto mio)

Vorrei limitarmi a registrare qui solo alcune delle estremizzazioni che la polemica sulla scelta

delle varietà di sardo "più pure" ha portato con sé, evitando per ora di addentrarsi troppo in

questioni pur fondamentali quali:

- il senso e il significato di attribuzioni quale 'pura/o' riferiti a una lingua (cos'è una lingua 'pura',

o 'più pura'? esistono, anche nel solo nostro contesto europeo, lingue 'pure'?);

10

- le evocazioni o valenze, anche talvolta addirittura raccapriccianti, che può suscitare l'uso del

termine 'purezza' se utilizzato per descrivere lingue, culture, razze - soprattutto se si tratta poi

per di più di descrizioni auto-referenziali e auto-promozionali.

Come traspare anche da vari messaggi arrivati su sa-Limba, la messa in campo di concetti

quali purezza e arcaicità ha finito infatti per esasperare la contrapposizione da un punto di

vista non più solo linguistico, ma anche culturale: all'indomani della divulgazione del testo

della LSU è stato infatti possibile sentire campidanesi sostenere apertamente che:

- la propria "cultura" è moderna, urbana e aperta mentre quella dei sardi del centro-nord, è

passatista, rurale, conservatrice e chiusa alle innovazioni;

- che la lingua logudorese è essenzialmente quella di pastori e di banditi;

- che questo tipo di politica linguistica mira a rinchiudere la lingua sarda, così come la

cultura sarda, in un museo;

- e anche che (citando da un articolo sull'Unione Sarda di quattro mesi fa) la LSU è frutto di

una «lobby barbaricina» e che rappresenta «un vero e proprio tentativo di genocidio culturale ai

danni di tre quarti della popolazione della Sardegna»; e così via.

In maniera più pacata e dialettica, però, ci sono state anche altre voci che hanno ricordato e

messo in rilievo, di contro al rischio di assumere acriticamente purezza e incontaminazione

come valori in assoluto più positivi di altri, le valenza positive di fenomeni quali l'ibridazione

linguistica e culturale, il multiculturalismo e il plurilinguismo, proponendo un'immagine

storica della Sardegna tutta come terra che ha il suo specifico culturale anche nelle

contaminazioni (ad esempio Marci 2001 e il docume nto del comune di Quartu che trovate in

bibliografia).

Come ultimo problema dei criteri della LSU prenderò in esame quello

della "praticità didattica".

Infatti, all'interno dell'elenco di Modalità e Criteri del testo della LSU si fa spesso

riferimento a "ragioni didattiche" per appoggiare la selezione di un certo fenomeno linguistico

davanti alle diverse opzioni fornite da altre varietà di sardo.

Sarebbe in ogni caso tutta da discutere la pertinenza della "ragione didattica" come

sostegno alla selezione di forme per una varietà che aspiri ad essere un modello di lingua

completo.

Non solo infatti esistono varietà diverse all'interno di una stessa lingua (in diafasia e in

diamesia, e alcune possono essere, e sono, più complesse strutturalmente di altre), ma

esistono pure gradualità nell'insegnamento e fasi nell'apprendimento e una qualsiasi lingua non

viene appresa e/o acquisita semplicemente sulla base di una sua eventuale semplificazione

formale.

11

Comunque, uno dei commenti più accorti e fulminanti sulla mancanza di coerenza interna

della LSU nell'appellarsi a ragioni didattiche è, mi pare , contenuto in una delle mail alla lista

sa-Limba che userò qui come esempio. Lo scrivente della mail prendeva in esame i criteri 6 e 7

del testo della LSU (punto 12 dell'hand-out):

12)

6. rendere coerenti e sistematici con il resto dei fenomeni alcuni casi che presentano differenze

parziali, per es. plurale meridionale is a fronte dei singolari su, sa. La differenziazione per

genere e numero negli articoli su, sa, sos, sas, con riferimento alla analoga e speculare

differenziazione nelle desinenze dei sostantivi e aggettivi in -u, -a, -os, -as, è sembrata

preferibile anche per ragioni didattiche.

14. privilegiare quanto più possibile la regolarità paradigmatica nei verbi, per favorire un

migliore apprendimento, es. l'adozione generalizzata del gerundio in -ende in tutte le

coniugazioni, -are, -er, -ire; la desinenza in -ia di tutti gli imperfetti dell'indicativo. (LSU:7-8)

Si intuisce che nel punto 6, sugli articoli plurali, le ragioni didattiche consistono nella

preferenza per un principio di analogia, mentre nel punto 14 per le stesse ragioni didattiche

di un supposto migliore apprendimento, si scarta il principio dell'analogia e si sceglie il

principio della semplifcazione di forme o riduzione del paradigma (che era stato invece

scartato nel caso degli articoli).

La conclusione, difficilmente contestabile a questo punto, è quindi che in entrambi i casi le

forme scartate sono comunque sempre quelle campidanesi.

Arrivando ora alla Conclusione:

Ho cercato fin qui di mettere in evidenza, attraverso la descrizione di una serie di problemi,

alcuni di quelli che mi sembrano gravi errori comunicativi e sostanziali tra

l'Amministrazione sarda e i cittadini ed anche aspetti critici e contraddittori nella stesura

e nella proposta della LSU.

Potrei provare a riassumere il tutto in cinque punti:

1. il problema di una proposta di una normalizzazione linguistica del sardo attraverso la

selezione di una sola varietà sulle altre:

- senza essere in possesso di, ed aver dato diffusione a, dati certi, recenti ed esaustivi sulla

situazione linguistica attuale della Sardegna;

- e senza aver sondato l'atteggiamento dei sardi nei confronti di un'eventuale

standardizzazione, non solo ortografica;

2. la mancanza di chiarezza e di informazione adeguata e costante da parte della Regione

Sardegna e degli organi di informazione;

3. (di conseguenza) la mancanza di un vero dibattito pubblico prima della compilazione e

presentazione della LSU;

4. l'aver perseguito strategie che finiscono per accentuare ulteriormente la frattura :

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- tra amministrazione e cittadini, cioè privilegiato strategie che vanno solo dall'alto in basso;

- tra i cittadini stessi, creando scontenti che in questo caso hanno finito per alimentare in

molti la certezza che esistano due blocchi socio-culturali contrapposti, corrispondenti alle

aree di diffusione di sardo logudorese e sardo campidanese;

5. la mancanza di chiarezza e coerenza nella giustificazione dei criteri di selezione alla base

della LSU.

Riguardo a quest'ultimo punto, si può aggiungere che sicuramente sarebbe stato reputato da

molti sardi più corretto o coraggioso affermare palesemente che per tutta una serie di ragioni

per lo più esterne al sistema linguistico in sé (ovviamente spiegando chiaramente quali) si

riteneva più rappresentativa e prestigiosa la varietà logudorese rispetto a quella campidanese,

anziché cercare di presentare la LSU come mediazione fra tutte le varietà esistenti e cercare

ragioni linguistiche interne alle varietà per giustificare la preferenza accordata al

logudorese.

Come ho cercato di mostrare, non si dovrebbe nemmeno sottovalutare in queste questoni la

capacità critica anche del semplice cittadino non linguista. Non andrebbe sottovalutato infatti

quanto, in contesti situazionali di lingue minoritarie in fermento, i parlanti siano attenti ad ogni

questione che riguardi il problema lingua, mostrando in questo maggiore consapevolezza

linguistica e metalinguistica rispetto a parlanti in contesti linguisticamente "stabili" perché

essenzialmente monolingue.

Un'ultima considerazione va necessariamente al ruolo dell'informazione pubblica e ai media.

È piuttosto sconcertante, mi sembra,, che a seguito del fermento e delle attese seguite alle leggi

regionali e nazionali sulla tutela e promozione delle lingue minoritarie, giornali e reti televisive

non si siano fatti carico, e fin dall'inizio, di promuovere il dibattito e fornire informazioni

costanti, chiare, dettagliate e pluralistiche e su quanto stava avvenendo all'interno degli organi

regionali, e anche su termini e concetti importanti di politica linguistica e sulle situazioni

linguistiche, analoghe e differenti, in altre zone geo-politiche, quanto meno d'Italia e d'Europa, e

delle soluzioni che sono state o non sono state colà adottate e con quali risultati.

È auspicabile, comunque, che, almeno in seguito alle polemiche sulla LSU, si riesca

finalmente ad aprire in Sardegna un vero dibattito, ampio e non settario o viziato da assiomi

e pre-giudizi anche di tipo personale, e che tutto questo avvenga prima (e per evitare) che

qualsiasi altra risoluzione dall'alto colga i cittadini impreparati e disinformati.

E soprattutto è auspicabile, ritengo, che non venga ritardata oltre l'organizzazione accurata e

l'attuazione del censimento del repertorio linguistico dei sardi, non limitandosi al solo lessico

e andando oltre a quanto detto nell'art.10, e che quella del censimento sia anche l'occasione

da non mancare per una seria e capillare indagine socio-linguistica, assolutamente previa

e necessaria per qualsiasi futura azione politico-linguistica in Sardegna.

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