© LimbaSarda 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

18/04/2005 A subra de sa Limba de Mesania

Ite novidade: Fois e Cossu contras a sa proposta

Rassigna des'imprenta - La Nuova del 18.04.2004


FURBI CUSTODI DELLA LINGUA

di Marcello Fois

La questione della Lingua in Sardegna andrebbe sottratta alle secche della
complicazione in cui è stata artatamente disposta e riportata alla sua
complessità naturale. Andrebbe cioè sottratta al controllo delle caste
sacerdotali furbescamente "unificatorie", per restituirla alla gente.

Certo rinunciare al governo della Lingua in questo momento della storia sarda
significherebbe rinunciare ad una forma di satrapìa strisciante e, perché no,
all'accesso a un bei po' di fondi regionali concessi dalla Legge 26 e
dintorni. Ma proviamo a proporre un paesaggio diverso partendo proprio da
quello che nessuna legge sancisce: la soluzione del Sardo Unificato, o
"mesanizzato" che sia. Che poi si decida per queste forme artificiali è solo
una strada come un'altra, ma chi ha detto che sia l'unica? Proviamo ad esporre
la situazione in atto. Quando si parla di Lingua Sarda, sembra che ci piaccia
l'idea che una lingua non abbia contatti col mondo circostante, parliamo cioè
di una sorta di gas perfetto, di un oggetto inanimato.

Guardiamo alla nostra Lingua come qualcosa che non ci appartenga. L'idea è
sempre quella che la Sardegna normativa, quella dell'economia del folklore,
quella, per intenderci, che fa audience, è enormemente più ristretta della
Sardegna geografica. Il concetto

deprimente è che esista una Sardegna vera e una Sardegna così così. Una
Sardegna vera che ha lingua, civiltà, costumi, canti, cibi, balli ecc.; e una
Sardegna così così che non ha niente di tutto questo.

Quando si pensa ad un Sardo artificiale si pensa, in fondo, ma nemmeno tanto,
che ci sia una parte della Sardegna, e non piccola, che possa, anzi debba,
rinunciare alla propria visione del mondo in nome della Sardegna Sardegna. La
verita, io credo, è che le cose stiano diversamente. E sarebbe che complicare
il problema della Lingua in nome di una unificazione posticcia significhi
rinunciare ad una complessità di visioni e di intenti che sono un valore in
una Cultura e non un disvalore. Consideriamo tra l'altro che la questione
della Lingua diventa fondamentale in Sardegna solo grazie al fatto che si è
deciso di finanziaria salatamente. La presunzione delle caste sacerdotali
linguistiche arriva fino a inv ocare per la Sardegna il "modello Catalano" che
è un molello di economia egemone ma non certo di cultura, sotto molti aspetti
un modello leghista, prodotto cioè da un classe dirigente forte che "impone"
la propria diversità attraverso una lingua pensata a tavolino. Per un modello
del genere occorre un'economia forte, occorre cioè una visione 'prepotente' di
se stessi e della cultura come territori di conservazione e di egoismi.

Cli attinge dalle leggi attuali salvaguardia della Lingua e Ila Cultura in
Sardegna con ritento di costruire ex novo ''idea di sardità, commette, a mio
parere, l'errore di piangere un morto che non esiste.

commette l'errore di non considerare esperienze straordinarie e di segno
opposto come quella del Friuli.

L'errore gravissimo a mio parere sarebbe coprirsi gli occhi di fronte alla
meravigliosa varietà che questo territorio ora miracolosamente esprime. ora
può darsi che quello è diventata la Sardegna dopo un secolo e passa di
unificazione, dopo la scrittura, dopo televisione, non piaccia a yuole imporre
la Sardegna Sardegna, ma io credo che costoro debbano considerare il peso
della Storia e della realtà. Il fatto di dare un giudizio negativo della
Storia e Realtà non significa che queste due forze terribili non abbiano
attraversato comunque la Sardegna. L'idea di dare lo status quo per diventare
genitori di una Lingua, di una Storia, di una realtà che non esiste, mi pare
un modo per rinunciare a contare veramente. Perciò credo in definitiva, il
progetto Sardo Unificato, in fonndo un ammissione di sconfitta, l'ennesima di
chi preferisce produrre il turismo di se piuttosto che vivere con coraggio la
propria condizione di cittadini del mondo.

La protezione della riserva indiana è per alcuni preferibile al rischi di
guardarsi allo specchio. La lagna perenne è per alcuni preferibile alla
coscienza della propria responsabilità. Una Cultura forte è una Cultura in
cammino. Possiamo pure decidere di mettere in gabbia una Lingua, ma lei
tenterà comunque di scappare, E allora sarebbe auspicabile un idea della
Sardegna che non partisse da una scala di valori determinata dalla quantità di
sardità che essa esprime, anche perché quell'idea di sardità è assolutamente
relativa, ma dalla pari dignità. E allora preferirei che affianco al concetto
di Lingua Sarda fosse sempre presente il concetto di Lingue e dialetti
attraverso i quali i sardi si esprimono. Non inferiori. Idee del mondo che
nessuno ha il dirito di cancellare in nome di un sardo posticcio. Lingue che
andrebbero tagliate in nome della necessità di non tagliare le lingue.

Non è paradossale ciò? Che per rispondere al taglio del Sardo si proceda al
taglio dei Sardi? Ci sono intere aree della Sardegna che vengono trascurate,
quando si parla di Lingua: il Sassarese per esempio, variante urbana
supportata persino dalla grande poesia di Calvia. E il magnifico Gallurese,
perché dovrebbe sottostare alla geografia etnofolkloristica che lo vede .in
terza o in quarta fila rispetto al sardo sardo? E il tabarchino? Perché
dovrebbe rinunciare ad esprimere la sua misura di apporto, trasposrto e
supporto, travaso da una civiltà all'altra in nome di una casualità
geografica? E' presto detto: perché ci stiamo abituando a un'idea di noi
stessi che è inferiore a quanto noi stessi riusciamo ad esprimere. Perché la
complicazione dell'economia di sussistenza ha inventato voci di bilancio che
invitano a costituire curricula e pedigree: più sardi, meno sardi. E perché a
decidere il più e il meno sono sempre gli stessi che a suo tempo non trovavano
strano "sprovincializzarsi e togliersi di dosso il puzzo di pecorino".

Ci sono gli spazi, nonostante i tentativi, nemmeno tanto nascosti, di
banalizzarci, per esprimere con forza tutta la nostra magnifica complessità.

Non si può accettare di far parte di una Cultura che abbraccia un modello
classista ed egoista e che risponde con la legge del taglione a quanto avrebbe
subito. Ammesso che ciò sia avvenuto e che non sia stato il prodotto di una
resa incondizionata. Studiarne, conserviamo, finanziamo, ma non vorrei mai la
responsabilità di essere fra quelli che decidono quale sia la morfologia, la
biologia. la genetica del sardo sardo contro il sardo così e così.

Se non accettiamo le nostre differenze di popolo perché gli altri dovrebbero
accettarci come popolo differente?





LA «LIMBA 'E MESANIA»

I SIMBOLI IDENTITARI SONO INUTILI E DANNOSI

di Costantino Cossu

Ho imparato a usare con parsimonia le parole da mia nonna, che era analfabeta
e sapeva parlare solo il logudorese. Delle parole lei

aveva un rispetto quasi sacro, non le usava mai per dire di cose inutili. Per
quelle, le cose inutili, c'era il silenzio. Scrivere per parlare di «limba 'e
mesania», quindi, è contravvenire alla regola d'oro appresa alla scuola d'una
donna a suo modo coltissima. E' contravvenire a quella regola perché la «limba
'e mesania» è, prima di tutto, una cosa inutile. Siccome, però, oltre che
inutile è anche dannosa, poche righe bisognerà metterle insieme. Per dire
perché è inutile e per dire perché è dannosa.

La «limba 'e mesania» sarà (se mai nascerà) una lingua inventata, di plastica.
La dovrebbero mettere insieme un gruppo di esperti, riuniti in commissione e
pagati dalla Regione, agitando nello shaker alcune delle varianti del sardo,
magari il barbaricino più le parlate delle altre zone centrali dell'isola,
oltre la Barbagia. Chi userebbe questa lingua? Ovviamente nessuno. Una lingua
inventata non la può parlare nessuno. Ne ad alcuno verrebbe mai in mente
d'insegnarla o di apprenderla per conto proprio. Potrebbe però usarla

l'amministrazione regionale negli atti ufficiali e solamente in uscita,
sostiene Renato Soru nell'intervento che pubblichiamo in queste pagine. «Nelle
prossime settimane - dice Soru - la giunta quasi certamente deciderà di
istitituire una commisione tecnico-scientifica». Dovrà fare alcune cose che
anche a noi sembrano utili, la commissione, ad esempio, dice Soru, «una
ricerca sull'uso della lingua in Sardegna.

sul numero di parlanti e su coloro che la capiscono. Ms poi: dovrà anche
"prendere una decisione, magari transitoria, per un codice che non sia "la
lingua sarda" ma al quale va assegnato un ruolo piccolo piccolo che riguarda
solo la pubblica amministrazione regionale e solo in uscita. Di scrivere con
un sardo che è più vicino a tutti quanti e che abbia un valore più simbolico
che comunicativo». Soru dice che i Comuni e le Province devono usare il sardo
che c'è, quello che la gente parla. E va benissimo.

Per la Regione, invece, prefigura un «codice». Che cosa vuoi dire un codice?
Una lingua artificiale? Ma se è così, che bisogno ce n'è? Si vuole una lingua
regionale da usare come simbolo? Se ne scelga una di quelle vive e si abbia il
coraggio di scegliere il barbaricino o il campidanese o il logudorese (o tutte
le varianti come giustamente Soru propone per lo Statuto) piuttosto che
stringersi in un abbraccio, tra il ridicolo e il tragico, con un cadavere, il
«codice», al quale si fa finta di dare vita. Perché, al di là dell'inutilità,
il anno, come fa opportunamente rilevare qui sotto Marcello Fois, è che «per
rispondere al taglio della lingua sarda si procede al taglio dei sardi». O,
più semplicemente, alla realtà viva si sostituisce un fantasma simbolico. A me
i simboli, quando si parla d'identità etnica e di lingua, fanno venire i
brividi.

Il Novecento ne ha prodotti abbastanza di simboli identitari inutili e
tragici.

Lasciamo perdere, per favore. Teniamoci il sardo «lingua della confidenza»,
come lo chiama lo stesso Soru. Lo usi, il presidente, anche per gli atti
pubblici regionali, quel sardo, ma che sia il sardo dei vivi, quello degli
straordinari racconti d'una nonna analfabeta.

A segus