04/04/2005 Rassigna de s'imprenta/Unione sarda
de su 03/04/2005
Un idioma standard flessibile e vario
de Enrico Chessa
Se ci spostassimo, mettiamo caso, da Anela a Cagliari o da Oristano a Gavoi, i cambiamenti linguistici, che man mano troveremo nel nostro cammino, sarebbero graduali. Quasi impercettibili. Sarà soltanto l'accumulo di successive piccole differenze su tutto il territorio a determinare diversità dialettali, più o meno sostanziali, fra zone geograficamente distanti (Anela e Cagliari, per esempio, presenteranno delle differenze sostanziali che non si riscontreranno invece tra Bitti e Orune). All'interno di una qualsiasi area linguistica non si incontrano, infatti, né cambiamenti improvvisi né blocchi dialettali discreti. I diversi modi di parlare si articolano invece all'interno di un continuo linguistico senza linee nette di demarcazione. Le suddivisioni dialettali non sono altro che mere astrazioni teoriche, dettate da esigenze pratiche e/o accademiche. Molto raramente, infatti, all'attraversare una linea immaginaria di divisione dialettale, ci troviamo di fronte ad una nuova ed alquanto differente varietà linguistica. Per tanto, qualsiasi area geografica -in cui si parli la stessa lingua, composta di diversi modi di parlare concatenati- andrà rappresentata non come un susseguirsi di zone linguistiche dai colori nettamente diversi, ma bensì con un colore unico dalle diverse sfumature. Pur tuttavia, le differenze, che come abbiamo visto, si danno all'interno del continuo linguistico tra varietà geograficamente distanti, sono un fatto che i parlanti tendono a tenere in grande considerazione e, sovente, ad amplificare. La nostra percezione della realtà ?strettamente vincolata al territorio in cui siamo nati e/o cresciuti, alla sua storia, alla sua economia, al modo di concepire i rapporti sociali della nostra gente, ecc.- è molto facile che ci conduca a interpretare il nostro codice linguistico come una varietà a sé stante e ben differenziata dagli altri modi di parlare, pur gravitando all'interno della stessa area linguistica. Va da sé quindi che il pianificatore linguistico, impegnato nella messa in atto di un processo di Politica Linguistica, dovrà tener conto di almeno tre elementi fondamentali: 1. La lingua nel suo insieme - il continuo linguistico; 2. Le differenze oggettive al suo interno; 3. Le percezioni dei parlanti. Dovrà, in buona sostanza, coniugare gli interessi della comunità linguistica-nazionale con le esigenze locali. Tra gli interessi nazionali c'è, senza dubbio, quello di disporre di una lingua comune ? uno standard; per almeno due ragioni: 1. Perché una nazione necessita di almeno una varietà linguistica amministrativa; e 2. Soprattutto perché una nazione ha bisogno di una lingua simbolica: un segno chiaro di differenziazione con l'esterno e un elemento di forte coesione interna. La lingua standard rappresenta in molti casi una nitida linea di confine. Ogni nazione che si rispetti (self-respecting con parole di Haugen), cioè che rispetti se stessa (che abbia, in definitiva, un minimo grado di autostima) ha (o reclama) una lingua comune. Un riferimento linguistico. Uno standard. Il Popolo Sardo si trova, oggi più che mai, davanti ad un bivio: o adeguarsi all'idea di un regionalismo periferico, subalterno, e folklorico; o intraprendere con decisione un percorso di autodeterminazione nazionale, il quale non può prescindere dalla lingua, né da una Politica Linguistica organica, che della lingua ne faccia sia uno strumento di lavoro che un simbolo nazionale. Per quanto riguarda, invece, le esigenze locali, queste potranno essere garantite solo e se: a) la lingua di riferimento nazionale contemplerà ?nei limiti del possibile- più varianti morfosintattiche possibili; e b) verrà gestita in maniera non troppo rigida. Uno dei presupposti di un processo di standardizzazione è sì la creazione e diffusione di una varietà comune, ma ciò deve darsi nel rispetto di tutti i parlanti della comunità. Se, per esempio, a Oristano veicolassimo la forma di saluto A Mezus Bider, in un certo qual modo staremmo contravvenendo a tale presupposto. Di conseguenza, è molto probabile che questa forma di saluto ? in quanto non autoctona- venga percepita come aliena e frutto di un'imposizione; crei "malumori" fra la popolazione e, in ultima istanza, venga rifiutata. Quante più saranno le forme aliene alla comunità tanto più elevato sarà il rischio di rigetto verso la varietà standard. Per cui, il principio da veicolare e diffondere, e su cui poggiare la rinascita (linguistica) della Sardegna, dovrà articolarsi, a mio avviso, sui seguenti tre punti: 1. Il Popolo Sardo per emanciparsi ha bisogno (anche) di una sua lingua completa ed efficiente, pienamente funzionale, da utilizzarsi in tutti gli ambiti della vita amministrativa; 2. Lo standard è soprattutto una varietà linguistica di riferimento ?un simbolo, in definitiva- per tutta la comunità sarda (o per chi vi si voglia identificare); 3. Lo standard è prevalentemente una varietà amministrativa (scritta) che non deve danneggiare le altre varietà dialettali. I presupposti (iniziali) sui quali deve basarsi la diffusione dello standard devono quindi essere i seguenti: a) Bisogna creare e diffondere uno standard flessibile e che contempli un po' tutte le varietà dialettali ?la proposta della Limba de Mesania, per esempio, va sicuramente in questa direzione; b) Lo standard non deve essere utilizzato da tutti né in tutte le occasioni, ma da chi lo necessiti nel momento e luogo adeguati; e c) Si dovrà fare in modo - tramite gli strumenti messi a disposizione dalla Politica Linguistica - che le comunicazioni intradialettali avvengano nella varietà del gruppo mentre quelle pubbliche amministrative interdialettali nella varietà standard. Se non si affronta il discorso linguistico in questi termini, in Sardegna si corre il rischio che tutte le iniziative atte a rafforzare l'uso della lingua sarda sortiscano l'effetto contrario. Una visione monolitica della lingua può creare (in parte della popolazione) diffidenza e, nella migliore delle ipotesi, disinteresse. In un momento sociolinguistico delicatissimo come quello che stiamo vivendo, è d'obbligo agire con cautela, se non si vuole (paradossalmente) accellerare il processo di sostituzione linguistica. È altresì importante che il Governo della Sardegna faccia delle scelte linguistiche chiare e precise, nel rispetto di tutti i cittadini che parlano o vorrebbero parlare il sardo, e in linea con le dichiarazioni identitarie del Presidente Soru. Enrico Chessa