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02/03/2005 Rassigna de s'imprenta - L'Unione Sarda - Cultura - del 26.02.2005

E sulla torre di Babele solo la limba de Mesania

de Giuseppe Corongiu

Sì al rispetto pluralistico delle varianti naturali, no a un'anarchica Babele che ha il solo scopo di fermare l'applicazione delle leggi sul bilinguismo. Per risollevare la lingua sarda dallo stato di prostrazione in cui è caduta sono necessarie diverse operazioni. Una di queste è l'ufficializzazione della lingua, ovvero il suo uso nell'amministrazione pubblica. Per sbarrare il passo alle inevitabili iniziative che il governo regionale dovrà prendere sulla questione della lingua è stata usata in questi mesi l'arma della polemica e della mistificazione. Si sono inquinate le acque. Ufficializzazione non significa unificazione e fa comodo lasciar credere che tutte le proposte in campo (Limba Sarda Unificada o Limba de Mesania) in questo senso siano uguali. In realtà così non è, e bisognerebbe almeno leggere le pubblicazioni di cui si parla. Anche perché molti filo-limba potrebbero cadere nella trappola della loro stessa buona fede. Chi scrive ha combattuto e criticato fin dal suo nascere la famosa proposta conosciuta oggi come LSU. Le accuse che si muovevano erano e sono in primis l'antidemocraticità di una proposta calata dall'alto con un non chiaro e non limpido iter di approvazione e collaudo da parte degli organismi preposti (infatti non si dice mai che la Commissione Regionale e la Giunta bocciarono in sede competente il famoso progetto dei linguisti che quindi non può essere considerato una proposta ufficiale, ma solo un'ipotesi di studio). Nel merito poi si è criticata la LSU perché è artificiale, cioè costruita a tavolino e non naturale né parlata da alcuno. È parziale perché predilige la macro-variante logudorese ed emargina i campidanesi considerati alla stregua di mezzosangue. È totalizzante perché si ispira al modello basco e catalano con l'uso in tutti gli ambiti possibili e immaginabili a discapito delle varianti effettivamente parlate. Oggi rappresenta, nella situazione di immobilismo delle autorità che dovrebbero far chiarezza, un bluff cultural-linguistico micidiale nelle mani di giocatori d'azzardo affetti da un protagonismo indicibile e impudico senza nessun consenso reale. Una bella falsa partenza, non c'è che dire. È bene chiarire che chi scrive aspira all'unità, ma il sogno e la realtà differiscono. Dunque bisogna optare per un modello realistico tutto sardo perché noi non siamo né italiani nè catalani né baschi, ma solo noi stessi. L'unificazione della lingua è un valore, ma è attualmente irrealizzabile. Anzi, è sentita dalle popolazioni come una forzatura. Pertanto, la proposta di Limba de Mesania (proposta dal Comitau abbia a su sardu comunu composto da associazioni, intellettuali, scrittori e linguisti) non è una seconda Lingua Sarda Unificata, ma propone un sistema assolutamente libero e polinomico dove ognuno possa usare la propria variante locale nell'arte, nella poesia, nelle canzoni, nella scuola, nei media e anche nelle amministrazioni locali e provinciali. Si pone il problema della Regione: quale variante deve usare l'istituzione che ci rappresenta tutti? Quale lingua ufficiale visto che è fondamentale per la ripresa della lingua che la nostra massima istituzione la renda visibile ai massimi livelli? Secondo chi propose un anno fa il sistema Limba de Mesania la Regione dovrebbe usare solo per i suoi atti amministrativi e solo in uscita quella variante di sardo di una fascia mediana della Sardegna che va dal Guilcieri fino all'Ogliastra dove le due macro-varianti si sono mescolate naturalmente (non a tavolino) e hanno dato luogo a parlate miste. Si tratta in realtà del modello della Carta de Logu del Giudicato di Arborea che è un precedente non di poco conto sopravvissuto fino al 1824. Se, pur non facendo i soliti provincialotti, vogliamo dare un respiro europeo, facciamo notare che una simile esperienza si è fatta in Svizzera nel cantone dei Grigioni con il romancio. Va chiarito fino alla nausea dunque che tale variante è naturale perché effettivamente parlata. È rappresentativa di tutte le maggiori varianti del sardo. È democratica perché parte dal basso, non totalizzante perché non toglie nulla alle varianti o macro-varianti che continuano ad esistere. Repetita iuvant: è una lingua che non si candida ad essere parlata perché resta una semplice lingua scritta amministrativa in uscita dalla Regione. Sostanzialmente è un simbolo ufficiale di unità linguistica e politica. La Regione accetta in entrata tutte le varianti. "Sas limbas de s'oru" (che non sono sarde) catalano, gallurese, sassarese e tabarchino saranno libere e dovranno dire loro cosa vogliono fare se aderire oppure no. Tale sistema è l'unico modello unitario realmente praticabile di governo della politica linguistica. Vi immaginate se la Sardegna fosse rappresentata in Europa con tutte le sue varianti? Sarebbe da ridere. Faremo una figura terribile. E vi immaginate quanto costerebbe alla Regione tradurre tutto in tutte le varianti possibili e immaginabili? È un problema di politica culturale. Chi propone la Babele del plurilinguismo sa benissimo che in questo modo bloccherà tutto e non si farà niente. È lo scopo ultimo è proprio questo. Niente di scandaloso, siamo in democrazia. Bisognerebbe solo essere più onesti e dire effettivamente ciò che si pensa invece di seguire vie tortuose di pensiero lambiccato utili a sviare gli scrittori in limba con il complesso di inferiorità. Si sostiene da più parti che le lingue in uscita potrebbero essere due: le macro-varianti campidanese e logudorese. Niente di nuovo, anche se manca la proposta tecnica degli standard. Allo stato si tratta di un'idea: è un modello che si è data la produzione letteraria degli ultimi secoli dunque rispettabile e perfino sperimentabile. La disponibilità è massima perché in molti vedono lì la soluzione. Ma visto che nel sistema di Limba de Mesania in uscita per la Regione sono fatte salve le macrovarianti letterarie perché rischiare questa piccola Babele biforcuta? Va benissimo per la poesia e i romanzi, ma per gli atti ufficiali? Per il linguaggio giuridico-amministrativo che ha caratteristiche sue proprie? È un problema di maturità. Uscire dalla vecchia concezione della lingua polverosa e "degli affetti" e dal ghetto delle arti e del folclore in cui siamo stati cacciati. È un problema politico che concerne l'unità simbolica del popolo sardo. Si romperebbe l'unione: si rafforzerebbe immediatamente un "noi" campidanesi e un "noi" logudoresi. E nell'area della Mesania cosa si dovrebbe usare? Per non parlare dell'emigrazione interna. Inoltre, sarebbero sempre varianti da standardizzare con regole fisse adatte alla scrittura degli atti. Non si salverebbe nulla di creativo. Su quale base? Si ricomincerebbe da capo con le liti dei cagliaritani e dei marmillesi sul vero campidanese. E i baroniesi accetterebbero il logudorese "illustre" di Ozieri o Bonorva? E chi ha detto poi che le macrovarianti sono due? La situazione è più complessa anche se i linguisti giustamente cercano di semplificarla. E visto che sono gia 2 perché non aggiungere anche il gallurese? E faremo torto al turritano? E i funzionari regionali quanti standard dovrebbero apprendere? Così via all'infinito verso la Babele che gli anti-limba ora promuovono. L'unico risultato sarà riportare in auge la LSU. Però essi non dicono che quando nella torre biblica Dio fece nascere mille linguaggi, il lavoro si fermò. Noi invece vogliamo, senza offendere Dio, che la nostra torre dell'identità linguistica sarda, o il nuraghe che è la stessa cosa, continui a esistere e a crescere. Mettendo insieme gli elementi veri della nostra identità: quel nostro immarcescibile tetragono municipalismo (la nostra vera forza esistenziale che ci fa essere sardi), il plurilinguismo con la nostra aspirazione a essere un popolo. Uno, non due, o sette, o trecentosettanta, quanti sono i comuni. Non saremo dogmatici, se ci sono proposte unitarie più convincenti non faremo le barricate. È un problema politico, la scelta della soluzione non verrà dagli scienziati. La lingua serve a unire e a farci sentire un popolo. O a cos'altro? 


Giuseppe Corongiu

26/02/2005

A segus