Sul nostro pianeta si parlano circa 6.800 lingue. Ogni quindici giorni ne spariscono due e con esse muoiono antiche culture, usi, costumi, tradizioni, leggende, riti, medicine naturali. Entro il 2100, il 90 per cento di tutti gli idiomi umani, sparirà per sempre. Le previsioni più ottimistiche dicono che soltanto la metà, sarà estinta. Quelle ormai irrimediabilmente perdute, secondo i calcoli dei linguisti, potrebbero essere tra quattro e nove mila.
Il 96% della popolazione mondiale utilizza soprattutto quattro lingue: il cinese mandarino o putonghua, parlato da un miliardo di persone, come l’inglese, l’Hindi/Urdu (900 milioni) e lo spagnolo (450), seguito da russo, arabo, bengali, portoghese, giapponese, francese, tedesco, italiano. Il restante quattro per cento parla tutte le altre.
I ricercatori escludono dal rischio d’estinzione soltanto 600 lingue nel mondo, perché sono ancora insegnate ai bambini. In Canada e Stati Uniti, il 90% delle lingue native, non è appreso dalle nuove generazioni. Su 300 lingue parlate sul territorio americano in età colombiana, soltanto dieci sono ancora utilizzate da gruppi superiori ai diecimila individui. In Australia si stanno estinguendo il 90% delle 250 lingue aborigene, mentre in Alaska una sola persona parla l’Eyak, in Idao cinque abitanti parlano Coeur d’Alena. Idiomi come lo Iowa e Catawba, sono irrimediabilmente perduti.
Nel continente sudamericano resistono ancora 640 lingue, il 27% delle quali è a rischio. I quattro quinti degli idomi sono usati da gruppi inferiori ai diecimila individui. Nell’area amazzonica peruviana soltanto cinque persone parlano ancora il Chamicuro.
Gli scienziati stimano che, in Africa su un patrimonio di 1.400 lingue 54 sono ormai estinte, 116 sono vicine all’estinzione, 250 sono minacciate e 600 in forte declino. In Asia meno di diecimila persone parlano circa la metà delle lingue autoctone. Nel Kashmir il Brokshat è parlato da tremila persone, il burmese da 250, mentre nelle Filippine poche famiglie parlano ancora l’Arta.
Il 90% degli idiomi umani non è presente su Internet. I contenuti della Rete sono per il 68,4% in inglese; seguito dal giapponese con il 5,9%, dal tedesco con il 5,8% e dal cinese con il 3,9%.
L’80% dei linguaggi esistenti non ha una forma scritta e la metà di essi è concentrata in otto paesi: Papua Nuova Guinea (832), Indonesia (731), Nigeria (515), India (400), Messico (295), Camerun (286), Australia (268) e Brasile (234).
Le regioni con la più alta biodiversità sono quelle più ricche anche dal punto di vista linguistico: le lingue parlate nelle isole, ad esempio, si sono sviluppate, come le specie viventi, in modo unico e completamente autonomo. Gli abitanti del piccolo Arcipelago di Vanuatu, nel Pacifico, parlano ben 110 lingue.
La perdita di lingue uniche, nella loro identità culturale e nei loro contenuti storici, (l’Igo, parlato da seimila persone nel Togo meridionale, molto probabilmente conserva tracce della migrazione africana occidentale) rende più difficile la nostra comprensione della diversità biologica. I linguaggi utilizzati nelle foreste tropicali o sulle isole, sono notoriamente molto ricchi di vocaboli specifici per la descrizione della natura. Gli hawaiani chiamano i pesci con nomi che indicano il periodo di riproduzione, gli usi medicinali e i metodi per catturarli. In Papua Nuova Guinea, le lingue locali comprendono centinaia di nomi diversi per ogni specie di volatile presente sulle isole, mentre il Pidgin, (un misto anglo-cinese diffuso in estremo oriente) ne comprende al massimo due.
Molti ricercatori studiano gli elementi strutturali della grammatica e del vocabolario, per capire se alcune regole fondamentali del linguaggio, abbiano valenza mondiale e se è possibile trovare un riscontro fisico nella struttura del cervello umano. La scoperta del gene del linguaggio, Foxp2, da parte di ricercatori dell’Istituto di Antropologia Evoluzionistica di Leipzig, in Germania e del Centro di Genetica Umana di Oxford, nel 2002, ha chiarito il mistero del linguaggio umano. Le persone che nascono con una sola copia del gene, hanno, infatti, problemi ad articolare il linguaggio, a comprenderlo e a seguire le regole grammaticali. La mutazione del minuscolo frammento di DNA, sarebbe avvenuta fra i 120 e i 200 mila anni fa, nella stessa epoca in cui comparve l’Homo Sapiens. La perdita di migliaia di lingue, potrebbe dunque compromettere importanti ricerche scientifiche.
Una èquipe italo-tedesca di neurologi e linguisti dell’Università Vita e Salute del San Raffaele di Milano e dell’Ospedale Universitario di Amburgo, ha recentemente scoperto che esiste una “grammatica universale”, unica in tutte le lingue, governata da precisi meccanismi biologici. L’esperimento che ha portato alla scoperta, annunciata dalla rivista “Nature Neuroscience” nel giugno 2003, è stato effettuato ad Amburgo. La teoria sulla quale è stato eseguito il test, appartiene al linguista americano Noam Chomski, del Massachusetts Institut of Tecnology, fondatore della scuola “generativista” che studia le leggi che producono il linguaggio. Chomski ha sostenuto l’idea che il linguaggio umano potrebbe essere innato, chiedendosi se le regole, che si registrano in ogni singola lingua, hanno un fondamento biologico. Gli scienziati dell’èquipe italo-tedesca hanno insegnato l’italiano a un gruppo di tedeschi, mescolando alle regole grammaticali reali, altre impossibili. Quando i volontari imparavano le regole possibili, nel loro cervello, si attivava un’area specifica del linguaggio, chiamata “area Broca”, che rimaneva silente quando imparavano le regole impossibili. Come controprova, i ricercatori hanno ripetuto l’esperimento, insegnando ai soggetti di lingua madre tedesca, il giapponese, ottenendo gli stessi risultati. La conclusione dell’esperimento dimostra che il linguaggio ha un fondamento biologico e le operazioni linguistiche sono quindi “biologicamente determinate”.
PER SALVARE LE LINGUE
Il ruolo dell’UNESCO
Decine di esperti linguisti, rappresentanti delle comunità linguistiche e delle Organizzazioni Non Governative, provenienti da tutto il mondo, hanno partecipato, nel marzo del 2003, a un meeting internazionale, promosso dalla sezione olandese dell’UNESCO, sulle lingue in pericolo.
Nel corso dei lavori, gli esperti hanno chiarito il ruolo che può svolgere l’UNESCO per salvaguardare il nostro patrimonio linguistico, e hanno elaborato alcune “Raccomandazioni”, per i progetti previsti nel biennio 2003/2005.
Invitando gli Stati membri a mobilitarsi attivamente in difesa delle lingue in pericolo, è stata avanzata la proposta di creare un fondo finanziario a sostegno di tutte le iniziative, compreso l’aggiornamento di archivi e documenti già esistenti, come l’Atlante Mondiale delle Lingue a Rischio.
Le Raccomandazioni invitano a:
- stimolare la coscienza civile sulla situazione delle lingue in pericolo, attraverso l’informazione, l’organizzazione di eventi pubblici e artistici;
- realizzare un network internazionale in cui comunità e organizzazioni possano incontrarsi per condividere conoscenze e archivi;
- sostenere l’educazione e la formazione per le ricerche sulle lingue a rischio;
- facilitare gli scambi di informazioni tra gruppi indigeni e organizzazioni;
- coordinare il lavoro di ricercatori, ONG, e dirigenti politici, nello studio di soluzioni generali.
Per il 2004/2005, l’UNESCO ha previsto un budget di un milione 839 mila dollari americani per sostenere le diverse risorse, linguistiche e culturali e per conservare il patrimonio di audiovisivi e documentari.
La Giornata Internazionale della Lingua Madre
La Conferenza generale dell’UNESCO del 1999, con le risoluzioni n° 12 e 37, auspicando l’adozione di una politica linguistica mondiale basata sul multilinguismo e garantita dall’accesso alle tecnologie informatiche, ha istituito la Giornata Internazionale della lingua Madre. L’iniziativa è partita da una proposta presentata dal Bangladesh e sostenuta da altri 28 paesi. La scelta della data è caduta sul 21 febbraio, giorno in cui, (nel 1952) nell’allora Pakistan orientale, esplose la rivolta in difesa della lingua parlata nel paese: il Bangla.
L’iniziativa vuole risvegliare la coscienza civile in difesa del patrimonio linguistico, minacciato dalla globalizzazione. Fin dal 1999 l’UNESCO è dunque impegnata nella creazione di condizioni ambientali, intellettuali e sociali per la sviluppo del plurilinguismo, quale mezzo d’accesso democratico alla conoscenza. Le lingue materne devono essere difese non soltanto per salvaguardare le differenze culturali ma, soprattutto, per alimentare una cultura di solidarietà, sensibile alle tradizioni, aperta al dialogo e alla tolleranza. L’abbandono progressivo di una lingua – affermano gli esperti – può essere provocato da cause diverse: le migrazioni di intere comunità, l’omologazione di culture minoritarie a quelle dominanti dal punto di vista economico, lo sfruttamento esasperato dei territori, lo sterminio di popolazioni sottomesse.
L’UNESCO pubblica periodicamente il Libro Rosso, un atlante mondiale sulle Lingue in pericolo e sostiene il progetto Linguapax, ( http://www.linguapax.org ) che promuove una cultura di pace e il rispetto della diversità linguistica.
Per la Giornata Internazionale della Lingua Madre, in collaborazione con l’UNESCO, Discovery Communications, ha pubblicato sul suo sito ( http://www.discovery-italia.com/archivesbabel/feature1.shtml ) brevi filmati di popoli le cui lingue sono a rischio e numerose schede di presentazione sulle lingue Tobas (Argentina), Sharda e Idu Mishmi (India), Ainu (Giappone), Cucupa (Messico), Kadazandusun (Malesia), Saami (Svezia), Haida (Canada).
Messaggio del Direttore Generale UNESCO nella Giornata Internazionale della Lingua Madre – 21 febbraio 2004 -.
Il Direttore Generale dell’UNESCO, Koichiro Matsuura, in occasione della Giornata Internazionale della Lingua Madre 2004, ha diffuso il seguente comunicato:
“Questo è il quinto anno consecutivo che il 21 febbraio celebriamo la Giornata Internazionale della Lingua Madre. Noi celebriamo così quasi seimila lingue, tutte creazioni del genio umano, che esprimono ciascuna in modo unico una visione del mondo, un sistema coerente di valori e significati. Infatti le lingue costituiscono un vero specchio della diversità culturale dell’umanità. Assicurare che queste lingue, il 95% delle quali è parlato dal 4% della popolazione mondiale, possano continuare ad essere usate accanto alle maggiori lingue internazionali di comunicazione, è una vera sfida per i 200 Paesi del mondo.
È quindi fondamentale non solo, in nome della diversità culturale, ma anche in nome del diritto ad una educazione di qualità per tutti, che l’utilizzo delle lingue madri sia favorito nei sistemi scolastici, fin dall’infanzia. Le ricerche più recenti dimostrano chiaramente che l’insegnamento combinato della lingua madre con una lingua nazionale ufficiale, permette agli studenti di ottenere migliori risultati scolastici e stimola il loro sviluppo cognitivo e le loro capacità di studio. È questo lo spirito del sesto degli obiettivi formulati nel 2000 a Dakar, durante il forum dell’Educazione Mondiale, che fa riferimento alla necessità di migliorare, sotto tutti i suoi aspetti, la qualità dell’educazione, al fine di ottenere per tutti risultati di apprendimento riconosciuti e misurabili.
Mi compiaccio che la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, adottata qualche mese fa dalla Conferenza Generale, faccia riferimento esplicito alle lingue come veicoli del patrimonio culturale intangibile. Spero che questa Convenzione contribuirà, in questo modo, alla salvaguardia della diversità linguistica, che costituisce una urgenza di fronte al ritmo con cui le lingue stanno scomparendo (due al mese in media). Penso in particolare alle popolazioni indigene, per le quali la difesa della lingua madre resta una rivendicazione centrale per il rispetto della loro identità e la salvaguardia del loro patrimonio. L’insegnamento delle lingue, e in particolare delle lingue madri, diventa quindi più importante che mai, in un mondo che deve sapere comunicare a livello globale ma che deve anche sapere preservare per ognuno la possibilità di parlare la sua lingua madre come unica forma di espressione nel corso della vita...”.
Internet arca delle lingue
Internet è oggi lo strumento di informazione e di comunicazione, più adatto alle esigenze del lavoro scientifico. La Rete offre non soltanto la possibilità di trovare in pochi minuti documenti e ricerche inserite da studiosi in ogni parte del mondo, ma consente anche l’incontro e lo scambio fra ricercatori impegnati nello stesso settore. Linguisti, Associazioni, Fondazioni, privati che hanno interesse verso le lingue in via d’estinzione, svolgono sul web una vivace attività. I siti sull’argomento sono centinaia, forse migliaia. In pochi anni la Rete è diventata uno dei veicoli più importanti per la catalogazione e la conservazione di ricchissimi archivi. Navigando in Rete con una semplice ricerca si trovano centinaia di siti, sostenuti da Fondazioni private, organizzazioni internazionali, grandi Università, progetti come Endangered Languages Fund, sostenuto della Yale University, mentre la Stanford University sostiene i progetti di The Long Now Foundation di San Francisco, promotrice del Rosetta Project.
L’Università di Tokio ha creato The International Claring House for Endangered Languages, un punto di raccolta di documenti internazionali (http://www.tooyoo.l.u-tokyo.ac.jp/ichel.html) e pubblica un bollettino periodico, sullo stato delle lingue a rischio. Oltre al vasto archivio, ha creato inoltre una sezione dedicata al Libro Rosso dell’UNESCO ( http://www.tooyoo.L.u-tokyo.ac.jp/Redbook/ ).
In Rete agisce anche Terralingua Internazionale, ( http://www.terralingua.org ) una organizzazione senza scopo di lucro che studia i collegamenti fra diversità biologica e culturale. Tra i siti più interessanti: Ethnologue ( http://www.ethnologue.com ), il Sil ( http://www.sil.org ), il progetto europeo Eblul ( http://www.eblul.org ).
La Fondazione Volkswagen
L’allarme lanciato dai linguisti di tutto il mondo, in questi ultimi anni, è stato raccolto da numerose istituzioni pubbliche e private. In Germania, la fondazione Volkswagen, (VolkswagenStiftung), dietro proposta del Comitato per le lingue a rischio, Fur Sprachwissenschaft die Deutsche Gesellschaft, ha lanciato il Progetto DoBeS – Dokumentation Bedrohter Sprachen - stanziando due milioni di dollari in borse di ricerca per creare un archivio multimediale che raccolga dati sulle lingue in pericolo. L’archivio si trova presso il Max-Planck-Institut per la Psicolingua in Olanda. Il Programma DoBeS finanzia attualmente 20 squadre di documentazione. L’archivio contiene dati, registrazioni video e audio, fotografie, illustrazioni, note lessicali e grammaticali. Tutte le informazioni relative al programma si trovano sul sito http://www.mpi.nl/DOBES/dnd2-index-pv1.html.
La Fondazione Ford
La Ford Fondation ( http://www.fordfound.org ) ha invece stanziato un cospicuo contributo a favore di vari progetti, compresa l’iniziativa lanciata dall’Università di Berkeley e da alcuni nativi americani, nel 1992, per contrastare l’imminente scomparsa di circa 50 lingue indigene parlate in California. I membri delle comunità in grado di parlare la lingua madre, vengono pagati tremila dollari per insegnarla a un componente più giovane nell’arco di sei mesi. Lo studente viene a sua volta retribuito per imparare. Con questo sistema sono state trasmesse ai giovani circa 25 lingue.
Il Progetto Rausing
Una nuova iniziativa britannica, il Lisbet Rausing Charitable Fund, ha stanziato 30 milioni di dollari per un progetto che documenterà grammatica, vocabolario, fonetica, delle lingue a rischio, (http://www.sigrid-rausing-trust.org). Una parte del finanziamento è stata devoluta alla SOAS - School of Oriental and African Studies di Londra per la realizzazione del “Progetto Rausing” (HRELP). Un programma accademico per formare linguisti in grado di documentare sul campo le lingue in via d’estinzione; un programma di documentazione e finanziamenti a sostegno delle lingue a rischio; la realizzazione di un archivio digitale e di metadati ( http://www.soas.ac.uk ).
La Fondazione ha donato circa 56 milioni di dollari, per finanziare dieci anni di ricerche. Il progetto del SOAS è, probabilmente, il più grande intervento di salvataggio in atto. Le ricerche fino ad oggi limitate, al già vasto campo delle lingue africane e asiatiche, sarà ampliato a tutte le lingue del mondo.
L’OLAC
Alcuni membri del SIL International (Istituto Summer di Linguistica), per mettere ordine tra le diverse ricerche, stanno realizzando un Open Language Archives Community (OLAC) che, utilizzando una sorta di catalogo di schede digitali (metadati) uniformerà i maggiori archivi linguistici. Una volta completato il mega-archivio, consentirà agli studiosi di analizzare grandi quantità di dati sull’evoluzione delle lingue, le migrazioni dei popoli, i limiti del linguaggio. ( http://www.language-archives.org )
Il Progetto Ethnologue
Una delle fonti più autorevoli è rappresentata da (http://www.ethnologue.com) un vero e proprio motore di ricerca, realizzato a Dallas. Il progetto nato dal SIL International, (http://www.sil.org), promuove da oltre cinquant’anni, la diversità e lo sviluppo linguistico, la ricerca, la traduzione e l’alfabetizzazione. Ogni quattro anni stampa, in versione cartacea e digitale, il rapporto “Languages of the World”, giunto alla quattordicesima edizione. Il database di cui dispone è, probabilmente l’elenco più completo di informazioni sulle lingue conosciute. Migliaia di ricercatori, in tutto il mondo, possono contare sul materiale disponibile e continuare ad arricchirlo con i propri contributi. Il sito offre, oltre a una minuziosa catalogazione delle lingue viventi, anche una ricca bibliografia on line, consultabile per paese, per autore, per materia e con parametri di ricerca personalizzati.
Foundation for Endangered Languages
Nata a Londra, nel 1996, la Fondazione per le Lingue a Rischio d’Estinzione, (http://www.ogimos.org) stimola con ogni mezzo la consapevolezza della grave perdita che la scomparsa di una lingua comporta. Sostiene l’uso delle lingue madri in tutti i contesti: nella formazione, nella vita sociale, culturale ed economica dei territori. Sostiene economicamente la formazione di linguisti e ne agevola le pubblicazioni. Finanzia la raccolta di informazioni e diffonde i risultati ottenuti. “Quando una lingua muore – scrivono nel proprio Manifesto – ci sono anche altri tipi di perdite, in ogni campo della conoscenza. Con la morte di una lingua, la scienza, la linguistica, l’antropologia, lo studio della preistoria, la psicologia, perdono una fonte preziosa di dati, il senso delle cose, vario ed unico, che la mente umana esprime nella sua struttura linguistica e nel suo vocabolario”.
Dai geroglifici allo spazio
Il primo oggetto scritto dall’uomo, rinvenuto a Creta, nel palazzo minoico di Phaistos, è un disco d'argilla di circa 16 centimetri di diametro e 16 millimetri di spessore, risalente a 1.600/1.700 anni avanti Cristo. Sulle due facce del “Disco di Festo”, sono stati incisi dei simboli che seguono una precisa sequenza a spirale. Probabilmente i segni sono stati impressi con un punzone di legno o metallo (qualcuno pensa all’oro per la precisione dei contorni), sull’argilla fresca. Il linguaggio impresso sul disco non è stato ancora decifrato, in assenza di una iscrizione bilingue.
Il disco di Festo fu ritrovato dall’archeologo Pernier, inviato di una spedizione italiana, la sera del 3 luglio 1908. I simboli rappresentano guerrieri, prigionieri, natura mediterranea, oggetti d’uso comune. Il misterioso oggetto, si trova oggi nel Museo di Iraklion, a Creta.
Il secondo importante reperto è la famosa Stele di Rosetta, un blocco di diorite (basalto nero) sul quale sono incise tre sezioni di scrittura: una parte superiore con 14 righe in geroglifico, una parte centrale 22 righe in demotico e, in basso, 54 righe in lettere greche maiuscole. L’iscrizione, effettuata nel 196 avanti Cristo, è un decreto sacerdotale in onore di Tolomeo V Epifane, per una generosa offerta la Tempio. La pietra fu ritrovata nel luglio del 1798 dagli scienziati al seguito di Napoleone Bonaparte. Grazie alle iscrizioni, molti anni dopo, lo studioso francese Jean Françoise Champollion, genio della linguistica, riuscì a decifrare i geroglifici, basandosi su un'altra antica lingua egiziana: il copto, dando così origine all’egittologia.
Confiscata dagli inglesi dopo la sconfitta napoleonica, la Stele è oggi conservata al British Museum di Londra. Tra gli oggetti più antichi va ricordato anche il giapponese Hyukamanto Darani, risalente al settimo secolo. Si tratta di un punzone di legno katsura a forma di pagoda, con sotto impresso un sutra di pace. Risale alla fine del 700 il primo tentativo di elencare le lingue del mondo. L’indagine commissionata da Caterina la Grande, ha prodotto la traduzione parallela di una preghiera in 500 lingue nel noto documento Mithrades de Adelung.
The Rosetta Project (Long Now Foundation – San Francisco)
Piccoli archivi, ricerche personali. Il faticoso lavoro compiuto per salvare le lingue meno parlate, rischia di rimanere nascosto o perdersi anche a causa di supporti inadeguati. La conservazione linguistica richiede tempo e impegno. Basti pensare alle tre generazioni di studiosi che si sono alternate alla compilazione del dizionario in sanscrito. Il lavoro, avviato nel 1958 ha prodotto la prima parte soltanto nel 2003.Per i prossimi sei volumi, bisognerà attendere altri 50 anni. A Bombay, sedici linguisti lavorano manualmente a nove milioni di citazioni scritte nella lingua dell’antica India. In Europa, la stesura del Le Trèsor de la langue Française, ha richiesto trent’anni di lavoro.
Il Rosetta Project, della Long Now Foundation, ha lo scopo di salvare almeno 1.400 idiomi a rischio. A San Francisco sono stati organizzati gruppi di ricerca che hanno lavorato sugli archivi delle Università di Stanford, Yale e Berkeley, sulla Biblioteca del Congresso e sul materiale del Summer Institut. L’archivio nato dal progetto è disponibile al pubblico on-line, in versione cartacea e inciso su un particolare disco.
Per garantire al database la massima longevità possibile (circa 2000 anni) e una densità di memoria analogica molto alta, i tecnici dei laboratori di Los Alamos e di Norsam Tecnology, hanno approntato una tecnologia che consente di microincidere un disco di nichel all’acquaforte, con una densità di 30 mila pagine. Una parte dei caratteri potrà essere letta con una semplice lente d’ingrandimento, mentre per decifrare i caratteri più piccoli servirà un microscopio ottico 1000X. Il design del disco di Rosetta, circa otto centimetri di diametro, è stato elaborato da progettisti, artisti, linguisti e archivisti. Nella parte più esterna è incisa l’origine geografica della lingua seguita dai primi tre capitoli della Genesi, tradotti nelle otto principali lingue del mondo: inglese, russo, hindi, spagnolo, ebreo, mandarino, arabo e swahili. Le altre microincisioni sono tradotte in 1.400 lingue. La scala dei caratteri comincia con quelli visibili a occhio nudo, per ridursi sempre di più man mano che si avvicina al centro. Le immagini sono state incise con i raggi laser. Il contenitore è sferico ma tagliato in due parti: al centro, in una rientranza della superficie, è stato posto il disco. L’emisfero superiore è di vetro a doppia ottica con visore 6X, mentre l’emisfero inferiore è di acciaio inossidabile.
Uno dei mille dischi di nichel incisi, sta viaggiando nello spazio a bordo della sonda europea per lo studio delle comete, “Rosetta”, lanciata il 2 marzo in orbita intorno al Sole. Nel 2014, dopo tre passaggi attorno alla terra e uno attorno a Marte, raggiungerà la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, entrerà nella sua orbita e lascerà un lander sul suo nucleo.
“Anche dopo la fine della sua missione verso la cometa, nel 2015, – ci ha spiegato il dottor Guido De Marchi, astronomo dell’European Space Agency – Rosetta continuerà ad orbitare intorno al Sole, diventandone, in pratica, un satellite artificiale permanente. Rosetta, quindi, preserverà per un lunghissimo tempo questa preziosa memoria delle lingue terrestri. Se un evento inatteso dovesse un giorno cancellare tutte le civiltà della terra, Rosetta continuerà a orbitare intorno al sole, custodendo una parte del nostro patrimonio. Mi rendo conto che è un pensiero un po’ triste – ha commentato l’astronomo – ma è esattamente la ragione per la quale il disco di nichel è stato piazzato su Rosetta, per preservarlo da eventuali catastrofi sul nostro pianeta”.
Le leggi in difesa delle lingue
In ambito internazionale l’Articolo Uno della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 10 dicembre del 1948, afferma che – Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti... -.
Articolo 2 - Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione -.
Articolo 19 – Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione...
Articolo 27 – Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità... -.
In ambito europeo il documento conclusivo della Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa (Helsinki 1975), nella dichiarazione sui Principi che reggono le relazioni fra gli Stati partecipanti, “Questioni relative alla sicurezza in Europa”, punto VII. Rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali inclusa la libertà di pensiero, coscienza, religione o credo, precisa: - ...Gli Stati partecipanti nel cui territorio sono presenti minoranze nazionali, rispettano il diritto delle persone, che appartengono a tali minoranze, all’uguaglianza davanti alla legge, garantiscono loro la piena possibilità di godere effettivamente dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, tutelando in tal modo i loro legittimi interessi in materia... -.
In materia di Cooperazione nel settore umanitario e in altri settori, al punto 3 sulla Cooperazione e Scambi nel campo della Cultura: - Minoranze nazionali o culture regionali - Gli Stati partecipanti, riconoscendo il contributo che le minoranze nazionali o le culture regionali possono apportare alla cooperazione tra di essi, in diversi campi della cultura, si propongono, laddove esistano sul loro territorio tali minoranze o culture, e tenendo conto degli interessi legittimi dei loro membri, di facilitare questo contributo.
La risoluzione del Parlamento Europeo sulla Carta Comunitaria delle Lingue e Culture regionali e la Carta dei Diritti delle minoranze etniche, (Risoluzione Arfè) adottata il 16 ottobre 1981 - preso atto della rigogliosa revivescenza di movimenti espressi da minoranze etniche e linguistiche che aspirano ad un approfondimento delle ragioni della loro identità storica e al loro riconoscimento... ravvisando nel fenomeno di rinascita delle lingue e culture regionali, un segno di vitalità della civiltà europea e uno stimolo al suo arricchimento... ritenendo che la salvaguardia di un patrimonio vivente di lingue e di culture non possa realizzarsi se non creando e consolidando le condizioni idonee e necessarie... nell’intento di preservare le lingue viventi... Si rivolge ai governi nazionali e ai poteri regionali e locali, perché, pur nella grande diversità delle situazioni e nel rispetto delle autonomie, pongano in opera una politica in questo campo e li invita: a consentire e promuovere l’insegnamento delle lingue e culture regionali, nell’ambito dei programmi ufficiali, dalla scuola materna all’Università;
a consentire e a rendere possibile l’accesso alla radio e alla televisione... per garantire la continuità e l’efficacia della comunicazione...
Una successiva Risoluzione del Parlamento Europeo sulle Lingue e sulle Culture delle minoranze, (Risoluzione Kuijpers) adottata il 30 ottobre 1987, raccomanda agli stati membri di organizzare ufficialmente l’istruzione nelle lingue regionali e minoritarie, equiparata con l’insegnamento nelle lingue nazionali... Nella Risoluzione Killilea, adottata nel 1994, il Parlamento Europeo proclama la necessità di una cultura linguistica europea e riconosce che questa cultura comprende anche la difesa del patrimonio linguistico, il superamento della barriera linguistica, la promozione delle lingue meno diffuse e la salvaguardia delle lingue minoritarie... considerando i diritti dei popoli, affermando la diversità linguistica costituisce un elemento fondamentale della ricchezza culturale...
Il testo guida al quale si devono conformare le diverse leggi nazionali è la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, adottata a Strasburgo, il 5 novembre 1992. L’Italia ha sottoscritto la Carta nel giugno del 2000, ma l’attuazione delle sue indicazioni era già in parte prevista dalla legge n° 482 del 1999 “norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”.
Nella Costituzione della Repubblica Italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, il tema della lingua è toccato direttamente negli articoli 3 e 6, indirettamente nell’articolo 9 e nel primo comma dell’articolo 21.
Articolo 3 – Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali. É compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Articolo 6 – La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.
Articolo 9 – La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Articolo 21, 1° comma – Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezze di diffusione.
fonte:
-http://guide.supereva.com/intercultura/interventi/2004/07/168898. Ida Sconzo