Ho letto, l’altro giorno, un editoriale di Michela Franco Celani, giornalista del “Corriere dell’Alto Adige”. Mi piace farvi leggere una parte molto interessante, che ho tratto dall’articolo.
“Le parole che dividono.”
Nel nostro lessico quotidiano vi sono parole che entrano piano piano, inavvertitamente, parole che prima ignoravamo e che ora usiamo, ma che per noi di Bolzano hanno un valore diverso da quello delle altre parti d’Italia.
La parola che abbiamo appreso tutti recentemente dall’immane catastrofe del sud-est asiatico è subdola e ingannevole, sembra fatta apposta per demolire la tesi di quei linguisti che sostengono l’origine onomatopeica delle parole: “tsunami” è un dolce suono che si scioglie in bocca, potrebbe essere il nome di una fascinosa geisha intenta a trattenere con le sue arti qualche bell’ufficiale americano in una casa da tè alla luna d’agosto, invece è violenza, morte, distruzione.
In una simile riflessione lessicale non possono mancare le parole che hanno caratterizzato la storia dell’Alto Adige, in particolare quella più recente. Ci sarebbe da pensare a “terrorismo”, a “Los von Rom”, a “ Wiedergutmachung” et similia, fortunatamente sepolte, per sempre, sotto una spessa coltre di miliardi (di vecchie lire).
Mi riferisco a vocaboli più presentabili e tranquilli, quali “pacchetto”, “toponomastica” (distinta puntigliosamente in macro e micro), “maggioranza”, “minoranza”, “gruppo linguistico”, “gruppo etnico” (sic) “censimento”, “proporzionale” e via discorrendo. Tutti nomi che appaiono con rispettabilità ma a me sembrano piccini, direi quasi miserevoli se penso che sono creati per dividere e non per unire i due “gruppi linguistici” che devono convivere nello stesso territorio.
Anche “bilinguismo”, la parola più significativa di questo bizzarro campo semantico tutto tirolese, sconosciuto e incomprensibile al resto d’Italia come d’Europa e ai cui occhi vorremmo apparire quali antesignani di chissà che cosa, rischiando invece di fare la figura dei panda, ben lungi di volare libera e alta verso l’ampio orizzonte in cui le culture si confrontano, striscia meschina fra le pastoie di un esamuccio fatto apposta per arraffare un pezzo di carta. Senza il quale, però, ogni altra virtù, capacità, professionalità, sono niente di più che carta straccia.