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13/02/2005 Rassigna de s'imprenta - www.diario.it

Foibe e fobie

di Alessandro Marzo Magno 

Non se n’è parlato per 50 anni a causa della Guerra Fredda, ora se ne parla troppo a causa di garruli pseudo storici e di trombonici polemisti politici. 
Le foibe sono una tragedia, una vicenda maledettamente seria che sarebbe meglio lasciare agli storici ed evitare che diventi materia di dispute di parte. Purtroppo avviene esattamente il contrario. Come in questi giorni, con il dibattito attorno alla votazione alla Camera dell’istituzione, il 10 febbraio, anniversario della firma del Trattato di Parigi che sancì il passaggio della Venezia Giulia alla Jugoslavia, della Giornata della memoria dell’esodo e delle foibe. 
Persino il numero degli infoibati è oggetto di disputa, ammesso che faccia una qualche differenza che i morti siano stati poco più di 4 mila , come riportato in “Foibe”, di Rauol Pupo e Roberto Spazzali (Bruno Mondadori) o 15 mila, come sostiene la pubblicistica degli esuli. 

Tutto quello che è avvenuto ai confini orientali d’Italia è stato oggetto d’oblio per un motivo ben preciso: nel 1948 il maresciallo Tito abbandona Stalin e quindi l’Occidente, Usa in testa, decide di appoggiare la Jugoslavia in funzione antisovietica. In quest’ottica Belgrado rinuncia a processare gli italiani che si sono macchiati di crimini durante l’occupazione della Jugoslavia (luglio 1941-settembre 1943), l’Italia rinuncia a perseguire gli jugoslavi che hanno messo in atto le persecuzioni anti italiane, a partire dalle foibe. 
Se ne comincia a riparlare a livello di opinione pubblica dopo la dissoluzione della Jugoslavia, nel 1991. Ma da come vengono messe le cose sembra che in precedenza non se ne sia mai occupato nessuno che che siano state un’esplosione di bestialità anti italiana fine a se stessa. Non è così. 
L’Istituto regionale per la storia della resistenza del Friuli-Venezia Giulia, di cui Pupo e Spazzali fanno parte, si occupava di foibe da decenni e da lì sono venuti fuori gli studi più accreditati in materia. 
Non è assolutamente possibile comprendere il fenomeno foibe senza contestualizzare. 
Non è che i gli jugoslavi se la siano presa con gli italiani, è che i comunisti titini si sono messi a fare piazza pulita degli anti comunisti. In tutta la Jugoslavia le vittime di questa resa dei conti politica sono state decine di migliaia. La maggior parte degli sloveni e dei croati combattenti nella Seconda guerra mondiale non hanno militato nell’esercito di liberazione agli ordini di Tito, ma con i collaborazionisti filo nazisti: i domobranci in Slovenia e gli ustascia in Croazia. I partigiani titini, in maggioranza serbi, ne hanno ammazzati a migliaia (e magari questo aiuta a capire cos’è successo nel 1991). Nelle zone a ridosso del confine italiano, poiché parte della popolazione era italiana, le vittime sono state anche italiane. In maggioranza italiane , ma se si considera tutto l’insieme gli italiani sono solo una piccola parte. 

C’è stato un forte desiderio di vendetta, a causa delle sofferenze che il fascismo e l’occupazione avevano causato in quelle terre. Il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, ovvero il tribunale speciale fascista, istuito nel 1927, comminò 42 condanne a morte, 33 delle quali ad “allogeni” della Venezia Giulia, ovvero sloveni e croati. Vennero chiuse le scuole slovene e croate, fu proibito l’uso delle lingue slovena e croata in pubblico. Nel 1941 l’Italia annette parte della Slovenia e la Dalmazia. Nella “Provincia di Lubiana” (i cui abitanti in teoria erano uguali agli abitanti della provincia di Ferrara o di Salerno) il Regio esercito (soprattutto i granatieri di Sardegna) ammazza ben 1.700 persone tra l’estate del 1941 e il settembre 1943, ma soprattutto nell’estate 1942, (vedi “Diario” n. 37 del 15 settembre 1999), deportandone migliaia nei campi di concentramento sull’isola di Arbe (oggi Rab, in Croazia, 1.500 morti) e di Gonars (provincia di Udine, 500 morti). Nell’agosto 1942 Emilio Grazioli, alto commissario fascista di Lubiana, propone la deportazione in massa in Libia della popolazione slovena, da sostituire con contadini dell’Italia meridionale. Il generale Robotti scrive in una circolare : “Si ammazza troppo poco”. Il generale Roatta raccomanda l’uso dell’aviazione e dei lanciafiamme per distruggere i paesi. Quello stesso generale Roatta descritto qualche giorno fa sul “Corriere della Sera” come una specie di eroe buono che si dava da fare per salvare gli ebrei (cosa che non contraddice le stragi di sloveni e croati: gli ebrei non erano percepiti come nemici dal Regio esercito, sloveni e croati sì). Davvero si può parlare di foibe senza prendere in considerazione tutto questo? 
Oggi tutti si scusano per tutto, ma mai nessun rappresentante ufficiale dello Stato italiano è andato al campo di concentramento di Arbe per deporre una corona di fiori. 

Le foibe furono pulizia etnica? Non c’è dubbio che la paura di essere ammazzati favorì l’esodo degli italiani della Venezia Giulia. Ma è stato un disegno preciso? Un ordine del 30 aprile 1945 del Partito comunista jugoslavo dice di epurare sulla base del fascismo e non della nazionalità. L’ideologo del Pcj, lo sloveno Milovan Gilas, dice di svuotare l’Istria dagli italiani. Quale delle due impostazioni prevale? Pupo e Spazzali affermano che se le foibe fossero state pulizia etnica i morti sarebbero stati decine di migliaia, non migliaia. 

Comunque anche la pulizia etnica non è una cosa che nasce dal nulla nell’Istria del 1945. Dopo la dissoluzione dell’Austria-Ungheria, nel 1918, il capoluogo della Carniola, Marburg (tra l’altro città natale di Wilhelm von Tegetthoff, il vincitore di Lissa), ha 20 mila abitanti tedeschi e 3 mila sloveni. Dopo qualche anno, divenuta Maribor, è completamente slovena. Il primo presidente della Cecoslovacchia, Tomas Masarik, peraltro un vero democratico, in un intervista degli anni Venti con una giornalista americana afferma di aver ricevuto nel 1918 la città di Brünn completamente tedesca, mentre a quel punto Brno è ormai completamente ceca. 

Anche sul numero dell’esodo degli italiani dall’Istria e dalla Dalmazia bisognerebbe fare chiarezza: gli esuli parlano di 350 mila, ma probabilmente nemmeno gli abitanti dell’intera area arrivano a tanto. Le due città principali, Pola e Fiume, avevano 50 mila abitanti ciascuna e se è vero che a Pola era italiano l’85 per cento della popolazione, a Fiume gli italiani erano il 60 per cento. È probabile che il numero totale degli esuli sia attorno ai 250 mila. I tedeschi che abitavano lungo il Danubio e la Sava cacciati via dalla Jugoslavia nel medesimo periodo sono oltre 600 mila. Il totale dei profughi tedeschi cacciati dai territori annessi degli Stati poi destinati a passare oltre la Cortina di ferro è di 12 milioni. Attenzione, quindi, a parlare di “primo esempio di pulizia etnica”, come spesso di fa. 
La storia è un tantinello più complessa di quanto la si voglia far apparire, o di quanto la si riduca nelle polemiche politiche. 

Alessandro Marzo Magno 

fonte: www.diario.it 

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